IL RISPARMIO PREVIDENZIALE: MIRAGGIO OPPURE OASI?

31 Maggio, 2017 | Autore : |

 

Lo studio del presente articolo darà diritto a 5 crediti formativi in materia obbligatoria 

 

Una delle più grandi mistificazioni che riguarda il cosiddetto “risparmio previdenziale” è quella secondo cui la parte debole dell’avvocatura italiana voglia pagare meno contributi in ragione di una mancanza di “previdenza” riguardante il proprio futuro. Una delle frasi che va forte nella propaganda della Cassa di Previdenza Forense è che la sfida di un avvocato non deve essere di “guardare all’oggi, ma al domani”. Si tratta ovviamente di concetti totalmente censurabili, sul piano politico, ma ciò che troppo spesso manca ai colleghi che si oppongono a questo racconto, è una cultura concettuale, economica, giuridica, che possa permettere di smentire certi assunti, presentando le proprie ragioni in modo corretto e suffragandole con argomentazioni solide. Proprio per consentire ai colleghi di avere contezza della propria situazione, NAD deve provare a dare un contributo, sperando che sia ritenuto valido, che illustri alcuni aspetti della condizione attuale dell’avvocatura massificata e proletarizzata, dando modo di ricondurre il fenomeno della sopravvivenza forense in un alveo che appaia molto meno irragionevole di quanto possa sembrare ad uno sguardo superficiale o in mala fede.

 

LA FRONTIERA DELLE POSSIBILITA’ PRODUTTIVE, ADATTAMENTI AL CASO DI SPECIE.

 

 

In economia per “frontiera delle possibilità produttive” si intende sostanzialmente l’insieme di combinazioni produttive che consentono la massimizzazione della produzione per un determinato paniere di beni. In altri termini, dati come esempio due beni, che possono essere computer e cibo, come rappresentato nella figura sopra, e ritenendo costanti i fattori che consentono ad ogni produttore di produrre il massimo valore combinato di computer e di cibo, la curva di frontiera delle possibilità produttive è quella curva che consente di massimizzare la produzione, combinando la quantità dei due beni.

Tutte le combinazioni produttive che si troveranno al di sotto della frontiera, indicheranno che il produttore sta producendo meno di quanto potrebbe, mentre tutti i punti al di là della frontiera, indicano un livello produttivo impossibile da raggiungere per il produttore.

 

Questi concetti, che pure dovrebbero appartenere agli avvocati che si occupano di politica forense, proveniendo da studi obbligatori nel programma universitario dei corsi di laurea in giurisprudenza, sembrano essere incompresi dai più, allorquando si parla delle possibilità di incremento del reddito degli avvocati, ignorando totalmente le rigidità, le costanti non mutabili ed in definitiva le limitazioni che vincolano ciascuno di noi alle proprie “frontiere delle possibilità produttive”.

 

 

NON E’ SEMPRE POSSIBILE FARE DI PIU’. 

Può sembrare addirittura banale come concetto, eppure viene costantemente ignorato, da coloro che hanno tutto l’interesse a vendere agli avvocati i presunti strumenti per aumentare le proprie possibilità produttive. Prestiti, welfare attivo, fondi europei, formazione, concentrazione in grossi studi multifunzionali, sono tutti elementi che vengono pubblicizzati dal regime dell’istituzionalizzazione forense. All’avvocato in crisi reddituale viene fatto credere di trovarsi costantemente al di sotto delle proprie possibilità produttive e per colpe proprie, per incapacità di sfruttare i fattori della propria produzione, che devono necessariamente produrre reddito, invece che beni, visto che lo scopo del professionista che opera in regime di mercato è quello di procacciarsi un reddito.

 

La rappresentazione è ovviamente fuorviante. La verità è che moltissimi avvocati agiscono sulla frontiera delle proprie possibilità produttive, scontando rigidità e fattori limitanti all’espansione dei propri redditi che non possono venire “volontariamente” superati.

 

 

LA COLPEVOLIZZAZIONE DI CHI NON CE LA FA: ELEMENTO FONDAMENTALE PER LA VENDITA DI AIUTI DA PARTE DEL REGIME. 

C’è una precisa strategia politica dietro la colpevolizzazione degli avvocati in crisi. Il regime dell’istituzionalizzazione forense non può e non vuole ammettere che la frontiera della produttività di reddito possibile, per molti avvocati, è limitata dalla perdita di possibilità operative derivante dall’inettitudine e dalla corruzione delle istituzioni forensi italiane. Non è un caso che le analisi sulla restrizione di disponibilità del principale fattore di ricchezza per l’avvocatura italiana, che è ancora il fenomeno contenzioso, vengano presentate come un elemento positivo per i colleghi, che sono invitati dalla cupola a gioire per la diminuzione del fenomeno che consente a loro di sopravvivere.

Ora, tralasciando le analisi sul fenomeno dell’efficienza e dell’efficiente allocazione di valore, che ci porterebbe a chiederci se l’ottimo sociale e l’ottimo individuale coincidano o non siano piuttosto molte volte in contrasto, per restare al tema di questo articolo, è evidente che i fattori e le rigidità esterne, che non dipendono dall’avvocato, abbiano costituito negli ultimi 20 anni delle oggettive limitazioni all’espansione reddituale possibile per la categoria, molto più di quanto abbia fatto la capacità del singolo avvocato di adattarsi al mutato scenario.

E’ evidente che si tratta di valutazioni qualitative, che concorrono alla determinazione del quadro che l’articolo vuole analizzare. Non si vuole affatto negare che alcuni o molti avvocati potrebbero fare di più, se lo facessero meglio. Al contrario, si vuole affermare con forza che ci sono molti avvocati che non possono fare (ottenere) di più, perché limitati da fattori che oggettivamente ne comprimono le possibilità di espansione operativa e reddituale.

 

Tale situazione viene sapientemente occultata dalla cupola dell’istituzionalizzazione forense, ma viene ormai percepita con sempre maggior forza dalla base, dall’avvocatura che fa fatica a procurarsi i redditi di cui abbisogna per vivere e tale consapevolezza sta portando parte di quell’avvocatura di base a reagire alla storiella dell’avvocato che dovrebbe darsi da fare, più e meglio. Questa storiella, banalmente, comincia a fare acqua da tutte le parti.

In molti finalmente comprendono che toccherebbe ad istituzioni forensi decenti, che non abbiamo, il compito di garantire ai propri rappresentati di poter fare ed ottenere di più e meglio.

 

 

CONTRO LO STORYTELLING DELLA CASSA FORENSE: DI COSA E’ FATTA LA FRONTIERA? 

 

NAD deve dunque attuare una sorta di “operazione verità” sui fattori che limitano le capacità espansive dell’avvocatura, preoccupandosi di indirizzare i singoli verso la rimozione dei fattori microeconomici che li penalizzano, ma denunciando con forza le storture che nel quadro macroeconomico tengono l’avvocatura italiana schiava del bisogno economico e sempre più povera. I principali fattori che ci hanno portato al collasso, se analizziamo lo scenario macro, possono essere indicati in:

 

  1. CRESCITA ABNORME DEL NUMERO DI AVVOCATI IN ITALIA; 
  2. DIMINUZIONE DRAMMATICA DELL’EFFICIENZA DEI RIMEDI PROCESSUALI PER I NOSTRI CLIENTI; 
  3. AUMENTO SPROPOSITATO DEI COSTI DI ACCESSO ALLA GIUSTIZIA; 
  4. AUMENTO SPROPOSITATO DEI TEMPI DI DEFINIZIONE DEI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI; 
  5. AUMENTO DEGLI ONERI E DELLE VESSAZIONI IMPOSTE ALL’AVVOCATO DAL REGIME DELL’ISTITUZIONALIZZAZIONE FORENSE;
  6. DRASTICA RIDUZIONE DI CONTENZIOSO, ANCHE IN AREE INEFFICIENTI E CORROTTE, DIVENUTE INACCESSIBILI AGLI AVVOCATI.  

 

Ecco, al netto delle chiacchiere, queste categorie, a mio parere,  rappresentano le principali macrocause del progressivo impoverimento dell’avvocatura italiana, dagli anni ’80 fino ad oggi. Ribadisco, enunciare i fattori macro che limitano la produttività dell’avvocato non vuole fornire un alibi a chi, nel proprio habitat operativo, non tenta di ottimizzare i fattori che possano portarlo ad incrementare i propri redditi. Lo scopo di questa analisi è dimostrare la falsità dello storytelling del regime, secondo cui l’avvocatura è povera perché individualmente inadeguata. Ciò è falso: la povertà dell’avvocatura deriva dalla progressiva impossibilità per l’avvocatura di massa di operare in condizioni di redditività. Ciò è avvenuto in gran parte per fattori di scenario indipendenti dall’agire e dalle possibilità del singolo operatore ed in buona parte anche per una risposta adattativa inadeguata da parte del singolo.

 

 

PRESENTE E FUTURO: UNA DICOTOMIA NON PIU’ ELUDIBILE. 

 

 

Quando la Cassa Forense racconta che gli avvocati dovrebbero pensare di più al futuro e meno al presente, ovviamente racconta una favola. Gli avvocati pensano al presente perché non sono in condizioni di pensare al futuro. Del resto l’accantonamento di quote di reddito in vista del futuro, ovvero il risparmio previdenziale, è stato possibile per anni in Italia solo grazie a prospettive reddituali stabili, per i lavoratori dipendenti, o addirittura crescenti, per i liberi professionisti. In altri termini gli avvocati potevano pensare di accantonare quote di reddito attuale in vista del proprio futuro, solo perché le proprie prospettive reddituali, in costanza di operatività, gli consentivano di privarsi di quote di reddito, sapendo che il restante reddito era comunque sufficiente ad alimentare le proprie esigenze di vita, ma soprattutto avendo la ragionevole certezza che in futuro i propri redditi sarebbero aumentati, fino a raggiungere livelli di agiatezza quasi scontati.

 

 

In altri termini, se torniamo all’esempio da cui siamo partiti, ed immaginiamo che il trade off tra produzione di quantitativi di beni possibili sia espresso dal trade off tra consumo di reddito attuale ed accantonamento di reddito in vista di esigenze future, comprendiamo come sia utile il concetto di frontiera delle possibilità produttive, per spiegare come l’avvocatura povera non scelga di non risparmiare, ma sia costretta a non farlo.

Si guardi la figura soprastante e si consideri che per “investimento”, opposto a “consumo” di reddito, si intenda il risparmio previdenziale dell’avvocato. Se si immagina una frontiera della produzione e dell’accantonamento di reddito in cui i livelli di consumo attuale consentano il sostentamento del professionista solo in prossimità del massimo sfruttamento delle risorse oggi disponibili, ci si rende conto di come la frontiera del “risparmio previdenziale possibile” tenda ad azzerarsi per tutti gli avvocati poveri.

In definitiva, un avvocato che guadagni meno di 10 mila euro all’anno, condizione che oggi accomuna oltre un terzo dell’avvocatura italiana, si troverà costretto a destinare tutto il suo reddito al consumo e pochissimo reddito al risparmio previdenziale. Lungi dall’essere una scelta dettata da “ignoranza previdenziale”, come insinuato spesso dagli illuminati leader della Cassa Forense italiana, questa opzione sarà il frutto di un livello reddituale troppo basso per poter conciliare il risparmio ed il consumo. In tali circostanze è addirittura scontato che l’avvocato, tra il sopravvivere oggi e il farlo domani, scelga l’oggi, anche perché è abbstanza improponibile il ragionamento che tenti di convincere un individuo consapevole che, pur morendo oggi, se egli accantona risparmio previdenziale, vivrà meglio domani. Non si è mai visto infatti un morto vivere meglio di un vivo.

 

LE RIGIDITA’ E LA SOPRAVVIVENZA: ISTRUZIONI PER L’USO. 

 

 

In questo scenario, spiegati i concetti, diventa facile zittire i retori che blaterano dell’aumento dei redditi, che dicono che il problema degli avvocati poveri non sono i contributi vessatori ed esosi, ma che questi avvocati, sciocchini, non intendono aumentare i propri redditi, per fronteggiare tali contributi. Il concetto di frontiera delle possibilità produttive (in questo caso, di reddito), chiarisce che moltissimi avvocati producono il massimo di reddito che possono produrre, evitando di risparmiare per le proprie pensioni unicamente perché un livello reddituale troppo basso, oggi, li costringerebbe  a  livelli di consumo incompatibili con la vita, se volessero contemporaneamente vivere e risparmiare per le proprie pensioni.

 

La figura in alto illustra così un altro aspetto della sopravvivenza degli avvocati poveri, ovvero il valore della permanenza nell’Ordine Forense e del mantenimento del titolo di avvocato, pur in presenza di condizioni reddituali difficili. Molti istituzionalizzati infatti, hanno una soluzione pronta per gli avvocati poveri: la cancellazione dall’Ordine. Anche su questo aspetto il discorso da fare è chiaro:

 

  • Se infatti, a livello individuale e microeconomico, ogni soggetto ha il dovere di calcolare e massimizzare le proprie scelte operative, in funzione del massimo reddito di vita accumulabile, nell’arco della propria carriera lavorativa, è altrettanto vero che i fattori in grado di portare ad un azzeramento delle possibilità di vita, in caso di abbandono di un elemento di “capitale” lavorativo, quale è il titolo di avvocato, correttamente spinga molti colleghi in difficoltà a tentare di sopravvivere come avvocati, piuttosto che a lasciare la professione forense, pur in presenza di redditi molto bassi. 

 

Parimenti, se la politica deve offrire soluzioni collettive, capaci di risolvere i problemi delle persone, che siano diverse dalle soluzioni che ciascuno, sul piano individuale e microeconomico può agilmente trovare da solo, appare banale che la risposta che mira a dire all’avvocato povero di cancellarsi dall’Ordine, pur comprensibile come suggerimento individualistico, è del tutto inadeguata come risposta politica generale.

 

Il titolo di avvocato costituisce, per il professionista che lo ha acquisito, una forma di investimento a lungo termine. Il valore del titolo non consiste solo nei magri redditi che esso può consentire oggi, ma nelle possibilità di guadagno che grazie al titolo il si possono acquisire nell’arco di tutta la propria carriera lavorativa. E’ dunque comprensibile, banale, evidente, che il professionista in difficoltà tenti di mantenere il “capitale” prima di cancellarsi dall’Ordine Forense, non guardando solo all’oggi, ovvero alle possibilità immediate di maggiori guadagni dati da un diverso impiego, ma valutando (del tutto correttamente, sul piano dell’agire economico razionale), le possibilità di guadagno che la condizione di avvocato offre al professionista nell’arco della sua vita lavorativa.

Si tratta di mero buon senso, di comportamenti perfettamente razionali, che contrastano la spinta all’espulsione di massa che il regime dell’istituzionalizzazione forense suggerisce agli avvocati in difficoltà.

 

CONCLUSIONI: SENZA PROSPETTIVE LA PENSIONE E’ SOLO UN MIRAGGIO, CHE ATTIRA IL MALCAPITATO AVVOCATO NELLE SABBIE MOBILI DELL’INEDIA.  

 

 

Perché il risparmio previdenziale abbia senso e sia perseguito dall’avvocato, occorre il verificarsi di alcune condizioni:

 

  • redditi sufficienti al soddisfacimento delle esigenze di vita presenti, al netto della contribuzione corrisposta;
  • prospettive di stabilità reddituale futura, che consentano l’accantonamento di reddito, in vista di un futuro remoto, senza dover pensare di dover accantonare in vista di una penuria nel futuro prossimo;
  • possibilità di godimento del reddito accantonato in una fase della vita non coperta dall’alea della sopravvivenza e dunque in età non avanzata.

In assenza di tali fattori, il risparmio previdenziale è solo un miraggio, una truffa, un grande inganno, che non può attrarre gli avvocati poveri. Non è un caso che l’avvocatura povera rifiuti in massa il cosiddetto “welfare attivo” e chieda misure di decontribuzione previdenziale. Non si tratta di giovani inconsapevoli, di persone prive di cultura previdenziale, di sciocchi scapestrati. E’ solo buon senso, quello che manca alla cupola della Cassa Forense, che conosce benissimo la situazione, ma continua a vendere fumo e propaganda a chi stenta a sopravvivere, proponendogli di risparmiare in vista di un futuro che, semplicemente… non ci sarà mai.

 

Avv. Salvatore Lucignano

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