Quando un buco nero supermassiccio, posto al centro di una galassia primordiale, non riesce più a bilanciare la compressione della sua massa con i gas che precipitano al suo interno, si generano esplosioni che determinano i fenomeni più energetici dell’universo, dopo il big bang: i quasar. I quasar sono le sorgenti luminose più brillanti mai viste, capaci di superare la brillantezza di qualsiasi oggetto celeste.
Il principio può essere applicato, seppure con i dovuti adattamenti, a quello che sta avvenendo all’interno dell’avvocatura italiana. Per anni si è generato un fenomeno di arroccamento e chiusura di un “nucleo” di istituzionalizzati, che ha blindato sempre più le proprie posizioni, generando una sorta di spinta alla concentrazione del potere. Attorno a questo gruppo di avvocati si muove la professione massificata, che il nucleo non può inglobare, e che dunque, una volta che le tensioni tra vertici della cupola e base diventano ingestibili, viene espulsa, con violenti fenomeni di epurazione.
IL FALLIMENTO DELLE ISTITUZIONI
Nel 1985 gli avvocati iscritti all’albo erano 48.327, quelli iscritti alla Cassa Forense erano 37.495. Da allora gli avvocati sono diventati circa 240.000 ed ogni iscritto all’albo si è dovuto iscrivere alla Cassa Forense. Il numero di avvocati in Italia è quintuplicato in trent’anni, quello degli iscritti alla Cassa Forense è aumentato di oltre sei volte.
Paragonare le due entità è dunque un mero esercizio di stile. L’avvocatura di massa del 2017 non ha nulla a che vedere con l’avvocatura elitaria del 1985. La coesione della corporazione andava costruita con sistemi inclusivi, capaci di rendere le istituzioni rappresentative dell’intera categoria, non solo sul piano elettorale e politico, ma culturale. Ciò non è avvenuto.
Invece che sforzarsi per costruire un tessuto comune, capace di tenere insieme l’avvocatura di massa con il nucleo istituzionalizzato, gli esponenti del sistema hanno continuato a rinchiudersi nei propri rituali, nei valori arcaici degli anni 80, nel linguaggio paludato e stanco, che non può comunicare con chi gravita ai margini della professione.
L’incapacità di utilizzare la rappresentanza come un elemento votato alla ricerca di una sintesi inclusiva ha generato il distacco antropologico dell’avvocatura di base dai suoi vertici, che oggi agiscono rapportandosi ad una piccolissima parte degli iscritti all’albo, ed ignorando tutto ciò che parla una diversa lingua, che ha preoccupazioni, bisogni, istanze e richieste totalmente estranee a ciò di cui si occupa la cupola.
IPERNOVA CHALLENGE EXPRESS
Ritenere che la deflazione della bulimia di massa dell’avvocatura italiana possa essere governata da un nucleo oscuro ed ostile alla base è pura utopia. Gli strumenti repressivi del dissenso, i procedimenti disciplinari intimidatori, la sordina ai social network, non riescono a reggere alla pressione degli strumenti di ribellione utilizzati dagli avvocati emarginati.
Le vessazioni più intollerabili, quelle che stanno provocando le prime crepe nel meccanismo ottuso e cieco inscenato dal regime, sono quelle previdenziali. Sono ormai migliaia i colleghi che non reggono al peso di una contribuzione previdenziale insostenibile e che comprendono la truffa del cosiddetto “welfare attivo”, che altro non è che un’elemosina concessa ad alcuni, per rafforzare il potere della cricca che comanda la Cassa Forense, in cambio dello sterminio della parte più giovane e più debole della categoria.
Questo ingranaggio è destinato a rompersi, è solo questione di tempo. Perché però ciò avvenga in tempi brevi, è necessario che tutti i soggetti marginalizzati dall’avvocatura di massa si uniscano, individuando il vertice della cupola forense come l’unico nemico da abbattere.