Esistette un tempo in cui si poteva immaginare che la linea dell’evoluzione fosse orientata secondo un disegno che mettesse nel futuro il meglio e nel passato il peggio. Esistette un tempo in cui esistevano cose che non esistono. Esiste un tempo in cui esistono parole che non esistono.
La ragionevolezza del linguaggio e dell’azione è solo un dogma, non è né una necessità, né un elemento verificabile in concreto, all’interno dei gruppi sociali di riferimento. Il bene si muove secondo logiche caotiche, non di rado derivanti da percezioni soggettive, o al massimo condivise da cerchie di individui più o meno ristrette. Non c’è una linea dritta, che parte dal caos e giunge all’ordine. Nel giorno dell’indipendenza, capitolo “la rigenerazione”, tutto viene illustrato con estrema chiarezza. Un’astronave grande più o meno quanto l’Oceano Atlantico si attacca alla superficie terrestre, più o meno come una cozza. E’ lì che capisci che il progresso è solo uno dei miti della civiltà di massa, destinato a soccombere, sotto i pazienti frangenti della verifica sperimentale.
E’ come voler spiegare l’utilità del danno della storia, o diffondersi sul danno della storia, in termini di utilità. Sono considerazioni inattuali. Esistettero, resistevano, resistettero. Nulla garantisce che il senso delle cose si esprima con una correlazione soddisfacente tra premesse ed effetti. Questa mera legge dell’esistente, che esiste e basta a se stesso, sfugge ad ogni forma di libertà entropica. Non è importante, non importa, non serve. Persino il conflitto, che può generarsi da nobilissime ragioni, da sentimenti ben piantati alla base delle coscienze, vive un continuo alterco con l’abbandono. L’altrove, che diventa vita possibile, richiama il vociare delle possibili vie d’uscita. Conteggio parole. Analfabetismo funzionale. Caos.
Uno degli elementi della scrittura libera è l’apparente assenza di correlazioni puntuali tra le parti iniziali e quelle finali di un qualsiasi discorso. Il famoso, o famigerato, che dir si voglia, “senso compiuto”. Laddove compiuto, per unanime convenzione, attiene alla possibilità che non esista un oltre che aggiunga dell’altro. Ecco che si torna all’utilità ed all’inutilità della storia. Esperimento: quanti conoscono i vizi di Giulio Cesare? Nella mitologia dell’approssimazione storica, complice la distanziometria neologica della riduzione trattativa, Cesare era un condottiero assassinato per impedirne la tirannia. Tutto è semplice, le sfumature si perdono, non ci sono selfie imbarazzanti, o intercettazioni telefoniche.
La costante messa alla prova del principio di indeterminazione descrittiva sta corrodendo inesorabilmente l’etica del giudizio politico. La trasparenza impedisce che quei processi occulti, funzionali al quieto vivere sociale, si tengano nelle zone d’ombra in cui nessuno potrà scovarli, mandando a monte accordi, contratti, matrimoni, alleanze politiche e patti tra scellerati. E’ il mondo alla rovescia. Ora tutto ciò che viene illuminato dalle particelle quantiche della contemporaneità mediatica… semplicemente, fatalmente, soccombe. Si è costretti ad inventare una dimensione asociale ed asocialica della coordinazione dei gruppi, in cui essere entità anonime, prive di passato, attente a gestire scheletri che non devono esistere. Eppure esistono, esistettero, resistono. Ci è un modo e un tempo per tutto. Ci è. Punto. E non solo questo è ciò che muove in un territorio surreale, in cui il piacere della scoperta è misto al terrore della verità.
Colonne d’Ercole. 45, 28, 13. SOS.
Il senso compiuto del messaggio nella bottiglia è che la foga catara e manichea che arde le moderne masse di smartphonati critici della ragion spuria si nutre di una conoscenza morbosa ed approssimativa dei fatti, che mira a distruggere tutto ciò che è men che santo, come una sorta di ottuso malanno autoimmune. C’è un che di sadico e di tragico nella capacità di consumo del possibile, operato dall’inabile. Parola di Ismaele.