Quando ho cominciato a parlare di teoria dei veri, all’interno dell’avvocatura italiana, per definire un fattoide con caratteristiche adeguate allo sviluppo dei mass media contemporanei, il concetto di post-verità non era ancora stato utilizzato come mainstream. La teoria dei veri peraltro non è sovrapponibile tout court al concetto di falso, perché si muove all’interno di un contenitore che ho usato per definire i veri in movimento, ovvero la “bulimia cazzoide”, che contiene veri e falsi.
In un universo di proposizioni che hanno le caratteristiche della bulimia cazzoide, il fattoide, o vero, che lo si voglia chiamare, non deve per forza essere falso. Il vero può essere fuorviante, irrilevante, mistificatorio, e come tale può agire per finalità assai disparate, giungendo a rendere non solo il verosimile, ma anche il probabile, possibile o semplicemente bizzarro, elementi che si muovono nell’insieme dei veri. I veri non sono falsi, ma ovviamente non sono nemmeno veri e questo permette di giudicare la post-verità come una relazione tra la bulimia cazzoide ed il vero assoluto.
Il proibizionismo nella diffusione dei veri è tecnologicamente impossibile, politicamente ingestibile ed è destinato al più misero dei fallimenti. L’evoluzione della dimensione virtuale della realtà comporta un influsso sempre più invasivo dei veri contemporanei all’interno dell’opinione delle masse. E’ pero straordinariamente deludente che pochissimi oppositori all’oscurantismo dei veri si richiamino alle esperienze storiche pregresse, in cui i miti creavano certezze, giustificavano guerre, viaggi ai confini della Terra ed ogni altra forma di folle manifestazione dell’agire umano. Proibire la circolazione dei veri sul web non è solo puerile, ma è anche una forma di controllo delle colonne d’Ercole, che mira a tenere rinchiusa la morìa, in un contesto in cui le elaborazioni che fino ad oggi erano costrette all’interno delle sinapsi, si apprestano a divenire a breve trasferibili su schermi e in ambienti virtuali/reali, creando allucinazioni assolutamente vere, che renderanno il reale virtuale, e viceversa.
Il downshifting si fa beffe di simili tentativi di limitazione. Gran parte della vita che si svolge nelle società connesse al world wide web è ormai digitalizzata. Il processo di smaterializzazione delle emozioni è così radicato ed avanzato, da rendere sempre più insignificante la separazione tra personale e avatar. La comunicazione socialica è parte fondante della persona, delle proprie relazioni e possibilità. Un mondo di impulsi elettrici, trasformati in file, che sfida le chiavi, gli schermi, le torri oscure di Mordor. Il downshifter non combatte la bulimia cazzoide ricercando il vero, ma costruendo un rapporto fecondo con i veri, scegliendo gli elementi, virtuali e reali, con cui arredare la propria dimensione cognitiva ed emozionale. Il cittadino futuro non distinguerà più il vero dal falso, non avrà più alcuna forma di privacy, si troverà costretto a codificare convenzioni che facciano ritenere “segreto”, anche ciò che invece sarà tecnicamente di dominio pubblico.
La vera sfida che attende le società che verranno non sarà la limitazione dei veri e della post-verità, ma la ricreazione delle colonne d’Ercole, ovvero di uno spazio ignoto che sia funzionale alla stabilità dei legami sociali. La tecnica, che presto spazzerà via quegli spazi, dovrà essere sostituita dalle regole scritte dagli uomini, ed allora il virtuale diverrà ancora più difficile da separare dal reale, perché un “segreto”, non sarà più ciò che è tale, ma ciò che, come in un gioco infantile, i grandi dovranno imporsi di considerare tale.
Penitenziagite. Downshifting is the way.