L’idea di aggregare soggetti capaci di esprimere una politica radicale, sul piano della difesa dei valori di inclusione dei colleghi nelle istituzioni forensi, è diventata una drammatica necessità, dopo che a Rimini il regime dell’istituzionalizzazione forense italiana, costituito dagli avvocati che fanno politica usando le istituzioni forensi come strumento di cooptazione, clientelismo e corruzione, ha raggiunto l’apice delle sue velleità egemoniche.
Il Consiglio Nazionale Forense aveva spianato la strada, con atteggiamenti padronali e muscolari: stipendi e giornali, proroghe e deroghe, il disprezzo e la derisione, arrivata spesso anche in occasione di uscite pubbliche del suo Presidente, verso i colleghi “non allineati”, e la protervia di chi, grazie a meccanismi di rappresentanza che privano le istituzioni forensi di qualsiasi rappresentatività, non ha mai rinunciato a dire “qui comando io”.
La crisi morale e reddituale dell’avvocatura italiana affonda le proprie radici nella distanza, ormai incolmabile, tra coloro che accettano di stare nelle regole imposte dai vertici istituzionali, e coloro che invece si comportano come ribelli, trovandosi necessariamente a violare regole ingiuste, che spesso sono emanate dalle istituzioni contro i propri rappresentati. Abbiamo bisogno di O.U.A., ovvero di un Organismo politico che diventi il centro pulsante, il motore, la fucina di idee e di comportamenti, capaci di indicare all’avvocatura italiana un’altra strada possibile.
Il futuro che vogliamo è fatto di lotte in difesa dei colleghi più giovani, più deboli e più bisognosi di una buona politica forense. Vogliamo istituzioni forensi che non facciano politica di parte, ma siano davvero la casa di tutti, rinnovate negli uomini, che vogliamo vengano sostituiti dalle donne, e stravolte nelle procedure. Vogliamo costruire un Congresso degli avvocati liberi, in cui si discuta di tutto, in cui non ci si riunisca per concedere sterili passerelle autoreferenziali ad esponenti di assemblee e decisioni assunte altrove.
Uno degli aspetti più criticabili del XXXIII Congresso Nazionale Forense è stato infatti il ruolo plebiscitario assunto dall’assise. L’assetto rappresentativo approvato a Rimini era stato già deciso da alcuni, fuori dal Congresso, presentato già impacchettato ai delegati che avevano il mero compito di dire “SI”. La discussione nel Congresso è stata assente, testimoniata dallo sfregio del rifiuto di mettere al voto persino emendamenti marginali del progetto padronale di OCF, che è stato imposto come il più banale dei “prendere o lasciare”.
Quello che doveva essere il luogo di confronto, di scontro e di sintesi di tutti gli avvocati, è stato certificato come il passacarte dell’Agorà degli Ordini e del Coordinamento degli Ordini, soggetti autoreferenziali ed autoconvocati, che hanno discusso e mediato la Bozza Vaglio/Paparo, senza lasciare più margini a chi pensava, al di fuori dei COA, di poter rappresentare qualcuno o qualcosa in grado di incidere sulle decisioni assunte dal sistema ordinistico.
Per carità, questa situazione impone riflessioni autocritiche, prima che critiche. L’incapacità di costruire soggetti in grado di contrastare lo strapotere ordinistico è argomento su cui altri devono interrogarsi, piuttosto che rimuovere il problema. Lo strapotere di alcuni è sempre legato all’assenza di contrasto efficace da parte di altri. Contro le situazioni di arbitrio si può combattere, magari soccombere, ma se invece ci si limita ad atteggiamenti tremebondi, che oscillano tra la volontà di ascriversi al novero dei vincitori ed una puerile scrollata di spalle, volta a dire “il Congresso non ci interessa”, ecco che si gettano le premesse per una inevitabile sconfitta, ancor più dura da accettare, in quanto maturata senza lottare.
Qualcuno ha detto: “ogni domenica o si vince o si perde, non è importante, l’importante è vedere se si vince o si perde da uomini”. Ebbene, prima di Rimini e poi, durante il Congresso Nazionale, c’è chi non ha lottato e ha perso male, dimostrando di non cogliere la drammaticità del momento.
Il direttivo di NAD – Nuova Avvocatura Democratica ha espresso unanime apprezzamento per il tentativo di costruire, assieme ad altre associazioni radicali e decise a combattere il regime dell’istituzionalizzazione forense, un Organismo di lotta e di governo, che costituisca un contraltare alle istituzioni ordinistiche. Il quadro politico è chiaro: i COA si sono presi tutto, considerano chi non sta sotto di loro un estraneo da cacciare non solo dalle istituzioni forensi, ma dall’avvocatura stessa. Se vogliamo dare ai nostri colleghi un’altra prospettiva, costruire istituzioni inclusive, plurali, rette da regole certe e non dall’arbitrio dei padroni, dobbiamo costruire O.U.A.
I nostri associati hanno un solo dubbio: che le associazioni che intendono ragionare della possibile nascita dell’Organismo non abbiano la buona fede e la determinazione necessaria per staccarsi definitivamente dai compromessi con il regime.
Noi di NAD proporremo regole, modalità operative, obiettivi interni ed esterni. Vogliamo un Organismo VERO, decidente, retto da regole democratiche che diano a ciascuno il diritto di contare per ciò che vale, obbligandolo a rispettare il peso ed il valore delle altre componenti di OUA. Vogliamo un Organismo retto da donne giovani. Faremo la nostra parte, daremo il nostro contributo. OUA può vivere e a nostro parere, vivrà.
O.U.A., Organismo Unitario Associazioni, sia perciò il luogo in cui l’avvocatura libera fa confluire tutto ciò che le istituzioni forensi hanno calpestato in questi anni: ascolto della base, apertura e democrazia, trasparenza dei processi di elaborazione e decisione, inclusione delle diversità, confronto vero. Se questo esperimento riuscirà, gli avvocati italiani avranno finalmente una casa, un luogo in cui poter ambire a fare buona politica. Dal fallimento di questo esperimento passa invece una spinta ancora più irreversibile al declino della nostra categoria.