Le grandi manifestazioni di piazza sembrano essere definitivamente tramontate dall’orizzonte politico dell’avvocatura italiana. L’ultimo tentativo di portare gli avvocati in piazza, su vasta scala, ha scavalcato i confini della professione, con l’operazione “Noi professionisti” del maggio scorso. Prima ancora, il nostro tentativo di portare a Roma l’avvocatura di base, per protestare contro il potere della Cassa Forense, non era riuscito ad andare oltre un’avanguardia di meno di duecento persone. I costi, umani e politici, della mobilitazione, sconsigliano di utilizzare la lotta come mezzo per migliorare le proprie sorti. E’ un fenomeno che va di pari passo, sia nell’avvocatura che nella società italiana. Spariscono le masse, intese come collettività che si battono per obiettivi comuni, mentre emergono singoli e gruppi, che sfruttano la visibilità del potere per occuparlo, rinunciando a progetti di profondo cambiamento.
In questo contesto, persino l’esercizio della parola viene associato all’irrilevanza. Il potere agisce e non parla, o parla solo per rafforzarsi. Chi ambisce ad un cambiamento politico, secondo l’ideologia dominante, distoglie le proprie energie da attività più importanti. La politica diviene accettabile solo come espressione del successo già raggiunto, mentre la lotta appare velleitaria.
Parlare diventa il simbolo della sconfitta. E’ come se chi parli lo faccia perché non agisce, è come se l’agire sia nemico della parola, e viceversa.
In questo clima surreale, di disinteresse, di antipolitica e disfattismo, il silenzio assurge ad una nuova nobiltà. Il potere non parla, il potere si esercita. E’ un assurdo alimentarsi di spinte antisociali, che mirano ad impedire ogni fenomeno di aggregazione su vasta scala. Al politico che non voglia limitarsi familiarizzare con il potere, come elemento fine a se stesso, non rimane che la denuncia, la battaglia antisistemica, oppure il mutismo, l’accettazione di una minorità dell’animo e dell’ideale, barattata con le possibilità di ottenere privilegi, veri e presunti, per la propria condizione personale. La parola, valida o meno, viene scavalcata e svilita, mentre chi parla, all’atto stesso di provarci, si condanna ad una sorta di diminutio, basata sull’indifferenza generalizzata verso la buona politica.
Avv. Salvatore Lucignano