Ritorno sul tema della mia radiazione dall’Ordine Forense. Nei giorni scorsi si è concluso il primo grado del procedimento disciplinare avviato dal Presidente della Cassa di Previdenza Forense, Nunzio Luciano, a mio carico. Ho ricevuto un “avvertimento”, ovvero una sanzione disciplinare risibile, della quale non so che farmene. Gli addebiti, a mio parere, erano tali da rendere incomprensibile la decisione del Collegio Distrettuale di Disciplina, anche se sono ancora in attesa delle motivazioni e potrò fare una valutazione approfondita solo all’esito di tale comunicazione.
A distanza di qualche giorno dal primo comunicato di NAD sulla vicenda, posso però aggiungere ulteriori dettagli, che rendono maggiore chiarezza in merito alla vicenda, per come è stata ricostruita nell’istruttoria svoltasi a Napoli l’11 aprile scorso. Ebbene, due testimonianze hanno confermato che il post su facebook che avrebbe dato luogo alle doglianze del Presidente Nunzio Luciano, nei giorni in cui venne resa pubblica la notizia dell’esposto mosso a mio carico, fu condiviso e rilanciato da decine e decine di avvocati italiani. I testimoni del procedimento disciplinare hanno confermato che tale “condivisione” non avvenne solo nell’accezione legata ad un uso inconsapevole dei social network, ma che decine, centinaia di avvocati italiani dimostrarono di condividere il tenore ed il contenuto di quel post, utilizzando l’opzione “condividi” al fine di aderire alle considerazioni in esso espresse.
Tutto questo è stato registrato dal collegio di disciplina e pone a mio avviso un problema di natura politica, oltre che strettamente disciplinare: che legittimità ha un procedimento azionato nei confronti di “uno”, quando le stesse cose vengono dette e ribadite da molti? Come si concilia l’esigenza di assicurare il rispetto generalizzato delle norme deontologiche, da parte degli avvocati italiani, se il Presidente della Cassa Forense, in merito alla vicenda in oggetto, ha candidamente dichiarato che il perseguire l’Avv. Salvatore Lucignano aveva una valenza deterrente, non potendo la Cassa Forense perseguire “tutti” coloro che la criticano? Quali criteri sono stati scelti dall’Avv. Nunzio Luciano per scegliere di perseguire proprio l’Avv. Salvatore Lucignano? Domande che attendono risposte e che certo non rinuncerò a porre all’attenzione dell’avvocatura italiana.
Un ulteriore dettaglio, nel corso dell’istruttoria, mi ha molto colpito. Uno dei due testimoni escussi dal collegio ha dichiarato di aver voluto assicurarsi del tenore del post “imputato”, di averlo letto e condiviso, ricopiandolo e pubblicandolo, perché ne condivideva il tenore. Vi è stata dunque, da parte di un avvocato presente nel dibattimento, una chiara autodenuncia, la rappresentazione di un fatto storico che lo ha messo nelle stesse, identiche condizioni del sottoscritto. Ovviamente non è mia intenzione sollecitare alcun procedimento disciplinare nei confronti del collega, ci mancherebbe altro, ma non posso non notare come quella ammissione contribuisca a sgretolare ancora di più il sistema che ha l’obbligo di giudicare sulla deontologia degli avvocati. La realtà che emerge dai fatti, ed oggi, grazie al procedimento Luciano vs. Lucignano, anche dagli atti, è di una disciplina che funziona a comando, in cui si recita a soggetto, incapace di operare un controllo effettivo ed uguale sulla generalità degli avvocati iscritti all’Ordine.
E’ la pura verità. Come ho avuto modo di rappresentare nel corso del dibattimento, i comportamenti che violano le norme deontologiche, per quanto riguarda la forma espressiva degli avvocati, sono centinaia e i social network li fotografano, ogni giorno. Lo stesso collegio chiamato a giudicarmi, nel corso dell’istruttoria, non ha potuto fare a meno di negare che la situazione attuale vede una mole di esposti assolutamente abnorme, collegata all’impossibilità di contenere le violazioni segnalate, rispetto a prassi comportamentali ormai largamente diffuse all’interno dell’avvocatura massificata. Siamo in presenza di norme che hanno perduto completamente il senso della realtà, che non rispondono più, in alcun modo, al fondamentale criterio dell’effettività. Tutti o molti sono passibili di esposto disciplinare, moltissimi violano le regole scritte, ma grazie al fatto che il sistema non funziona e non è in grado di far rispettare quelle regole, ci si accontenta, nelle alte sfere, di punire solo “qualcuno”, ovvero coloro che incappano nell’astio di qualche collega, pronto a denunciare ciò che non di rado egli stesso commette, o di qualche boss dell’avvocatura, desideroso di eliminare un avversario politico, con altri mezzi, cioè con le sanzioni disciplinari.
L’effetto del procedimento disciplinare azionato da Nunzio Luciano contro di me era infatti quello di “espellermi dal sistema”. Lo ha dichiarato, nel famosissimo editto delle oche giulive, quello pronunciato dinanzi alle silenti esponenti dei Comitati Pari Opportunità di mezza Italia, allorquando ha spiegato le ragioni che lo hanno spinto a denunciarmi. Sono fatti notori, non c’è bisogno di provarli, perché l’avvocatura italiana che segue la politica forense ha avuto più volte modo di prenderne visione, attraverso le pubblicazioni che abbiamo provveduto ad effettuare, sui nostri gruppi facebook dedicati alla lotta contro la Cosa Nostra Forense.
Ebbene, se l’obiettivo del mio amico Nunzio era la mia espulsione dal sistema politico forense, l’avvertimento costituisce un risultato insufficiente allo scopo, non essendo idoneo ad impedirmi candidature future. Ciò che però mi chiedo è: ma è possibile che un avvocato possa essere ritenuto inidoneo a concorrere al governo delle istituzioni forensi, laddove sia stato oggetto di sanzione disciplinare generata dalle istituzioni forensi, per comportamenti di critica verso… le istituzioni forensi? A me sembra un evidente cortocircuito. Credo che il lavoro che stiamo portando avanti, come Nuova Avvocatura Democratica, debba spingere gli avvocati italiani seri a chiedere la revisione dei criteri di eleggibilità nelle cariche istituzionali. Se si tengono fuori gli avvocati scomodi dalle cariche istituzionali, ne risulta inevitabilmente compromessa la dialettica politica tra sostenitori ed oppositori del sistema.
Un’ultima notazione: il collegio di disciplina napoletano è alle prese con un’altra gatta da pelare, la mia autodenuncia per mancato assolvimento dell’obbligo formativo. Il mio rifiuto di prendere i crediti formativi messi in palio dalla lotteria Cosa Nostra Forense S.p.A. prevede la sanzione della cancellazione dall’albo. Il procedimento stenta a vedere la sua conclusione. E’ chiaro a tutti che ci si trova dinanzi ad un caso di obiezione di coscienza, così come tutti sanno che il sistema dei crediti formativi è corrotto e impresentabile alla società italiana. Eppure una decisione dovrà essere presa e nessuno la auspica più del sottoscritto, e in tempi brevi. Mi chiedo: chi ha più paura della decisione? Chi dovrà subirla o chi è chiamato a renderla? Lo scopriremo presto.
Avv. Salvatore Lucignano