L’IMPIETOSA LEGGE DEI NUMERI
Risale al 2014 (o al 2013, confesso di non ricordarlo con certezza) la manifestazione che i Consigli dell’Ordine degli Avvocati orgnizzarono a Roma, per protestare contro l’allora Ministro della Giustizia Severino. Anche allora il sistema non lesinò nulla per portare la propria gente in piazza. Se oggi il COA di Roma prometteva deontologia in regalo ai propri adepti, allora il COA di Napoli non lesinava il denaro di tutti gli iscritti per fornire trasporti gratis ai propri elettori. La manifestazione fu molto partecipata e tanti avvocati si recarono nella capitale. Gli esiti furono probabilmente scarsi, viste le successive norme emanate dai governi, che proseguirono e tuttora proseguono verso lo sterminio dell’avvocatura di base e verso la drastica riduzione della tutela giudiziaria concessa ai cittadini onesti. Vi furono invece risultati politici interni all’avvocatura abbastanza evidenti. La supremazia politica dei Consiglieri dell’Ordine sull’associazionismo forense fu rafforzata e dimostrata: sarebbe stata la base per la fascistizzazione della rappresentanza politica dell’avvocatura, realizzata nell’ottobre del 2016 al Congresso Nazionale Forense di Rimini.
Questa drammatica evoluzione ha di fatto sancito una verità che tutti conoscono, ma che pochissimi hanno il coraggio di denunciare: i Consigli dell’Ordine degli Avvocati, che dovrebbero essere enti pubblici, sono da tempo immemore consorterie private, che gestiscono la vita professionale e politica della gran parte degli avvocati, utilizzando logiche clientelari e corruttive, in cui lo scambio di utilità personali estranee alle funzioni degli Organi si pone alla base del consenso politico.
Ciò che però sta accadendo all’interno dell’avvocatura italiana è che questo sistema di potere personale, con le proprie clientele, affamate di favori e prebende, non riesce più a giustificare se stesso, perché la corruzione interna al sistema ordinistico ha frammentato e polverizzato così tanto la classe forense, da renderla totalmente irrilevante sul piano politico e sociale. Oggi, nel 2017, l’avvocatura in Italia non esiste. Esistono bande di satrapi, che sventolano il decoro e il prestigio ammuffito di una professione ormai morta, arraffando tutto ciò che possono, derubando i colleghi più deboli ed indifesi… ed esistono tutti gli altri, il volgo, la massa, che giocano il ruolo di meri sopravviventi. Non c’è un solo elemento unificante, sul piano politico e culturale, che consenta agli avvocati italiani di riconoscersi in una classe, anche perché l’istituzione che assomma su di sé la gran parte del potere, il Consiglio Nazionale Forense, è un coacervo di marciume, una congrega, una cupola affaristica ed autoritaria, che nemmeno tenta di rappresentare l’avvocatura, ma opera esclusivamente per arricchire e rappresentare se stessa.
In questo quadro è maturata la manifestazione del 13 maggio 2017, promossa da “noi professionisti”, che ha visto una partecipazione degli avvocati infinitamente inferiore a quella che nel 2014 (o 2013? Giuro che davvero non mi interessa…) fu organizzata dall’allora cosiddetta “Federordini”.
Intendiamoci, Nuova Avvocatura Democratica ha più volte manifestato ed espresso rispetto per tutti i professionisti che ieri si sono recati a Roma ad esprimere il proprio disagio e la richiesta di compensi dignitosi. Guai a trattare con sufficienza o disprezzo le manifestazioni pacifiche di piazza, che costituiscono sempre un momento di partecipazione politica importante e positivo per la società.
Il punto è semmai cercare un’analisi politica del senso di questa manifestazione, che certifica, putroppo, la scomparsa dell’avvocatura dalla società italiana.
Secondo stime assai benevole, ieri gli avvocati presenti in piazza erano poche centinaia. Rispetto al 2014 si è dunque verificata una spaventosa contrazione della capacità del sistema ordinistico di mobilitare la sua gente. Per quali ragioni?
Analizziamole. Beh, in primo luogo, almeno a Napoli, Nuova Avvocatura Democratica ha impedito che i soldi di tutti i colleghi fossero utilizzati per finanziare lo spostamento di alcuni colleghi. Chi ha manifestato lo ha fatto con il proprio denaro e questo ha contribuito ad una presenza davvero scarsa di avvocati napoletani in piazza. Se si considera che i Consigli dell’Ordine di Napoli e Roma avevano investito parecchio, in termini di peso politico, su questo evento, si comprenderà bene cosa significhi questo dato.
Vi è poi il certificato fallimento della nuova rappresentanza politica dell’avvocatura, quell’Organismo Congressuale Forense, figlio della totale scomparsa delle associazioni forensi italiane dallo scenario politico forense, che nel 2016 si è illuso di rilanciare il ruolo egemonico dei Consigli dell’Ordine, passeggiando sui cadaveri di un associazionismo forense a sua volta corrotto, fallito e totalmente inutile per la categoria.
Un ultimo fattore che ha contribuito alla scarsa risposta di piazza degli avvocati, è che ormai il sistema ordinistico non riesce più ad intercettare il disagio dell’avvocatura libera. Molti avvocati stanno comprendendo il sistema, si rendono finalmente conto che sono proprio i Consigli dell’Ordine degli avvocati, che tentano di riaccreditarsi come difensori degli avvocati più deboli e vessati, ad esserne i principali aguzzini, attraverso il sostegno alla cupola retta dal Consiglio Nazionale Forense. Finalmente le galline rinunciano ad assegnare alle faine il ruolo di guardiani del pollaio.
Qualcuno avrebbe detto: la situazione è grave, ma non è seria. L’avvocatura italiana, distrutta dagli abusi, dalla corruzione, dall’incapacità delle sue classi dirigenti di costruire una professione credibile, lentamente muore, ogni giorno più in fretta. Il sistema non lo capisce, ostinandosi a perseguire una via che si dimostra sempre più fallimentare, ovvero quella della negazione della rappresentanza politica unitaria, basata su una rigida, insormontabile separazione dei poteri e delle funzioni, pubblicistiche e ordinistiche, da un lato, politiche e sindacali, dall’altro.
La fame, la ormai atavica assenza di luoghi politici democratici ed unificanti, il fallimento di un Congresso Nazionale bulimico, composto in gran parte da delegati cooptati dalle realtà locali, totalmente privi di conoscenze politiche e di una visione nazionale della professione, fanno il resto.
Nel 2016 Nuova Avvocatura Democratica era stata l’unica espressione dell’avvocatura italiana a proporre la nascita di un Parlamento Nazionale della categoria, votato a suffragio capitario e diretto, composto da 300 avvocati e dunque solo dai più bravi e rappresentativi, che desse a sua volta vita ad un governo politico della professione, che avesse solo funzioni politiche, di difesa corporativa e sindacale dei legali e lasciasse ogni altra funzione, di tipo pubblicistico, allo Stato.
Oggi è sempre più evidente che il sistema ordinistico, così come congegnato, ovvero con la presenza in capo agli stessi soggetti di funzioni pubbliche e private, sia irrimediabilmente destinato ad implodere. Se gli avvocati italiani vogliono avere una flebile possibilità di ricominciare a contare qualcosa nella società italiana, l’unica speranza che hanno è la nascita di un governo politico unitario e plurale della categoria, forgiato dalla democrazia e dalla partecipazione di tutti i colleghi, a differenza dell’assetto attuale, aperto ai vecchi, chiuso ai giovani e ai deboli, intriso di affarismo, corruzione ed autoritarismo di stampo fascistoide.
Nuova Avvocatura Democratica continuerà a combattere perché in Italia nasca finalmente l’avvocatura. E’ una battaglia di portata storica, che tocca interessi fortissimi e che sta provocando in molti avversari reazioni scomposte, al limite dell’impazzimento. Noi abbiamo però il dovere di continuare. L’alternativa sarebbe il rassegnarsi alla scomparsa della nostra professione dal paese. Un’ alternativa che non consideriamo e che infatti ci fa dire che non abbiamo alternative.
Avv. Salvatore Lucignano
Segretario Nazionale Nuova Avvocatura Democratica