Come la mano destra e la mano sinistra del diavolo? Non scherziamo. Non facciamo accostamenti con la mitologia cinematografica più riuscita di tutti i tempi, la mitica saga di Trinità e Bambino. Qui siamo a livelli molto molto più bassi, altro che l’arte di rubare cavalli, praticata da Bambino! Altro che l’abilità al tavolo di poker, ovviamente come baro, di Trinità! No, qui la partita è diversa, la posta in gioco sono i denari degli avvocati italiani e la destrezza non attiene alle azioni di forza o alla manualità conquistata con anni ed anni di pratica. Nulla a che vedere con le doti, al limite del soprannaturale, del mio amico Gianfranco Preverino, Re dei prestigiatori ed uomo di straordinario talento.
No, cari miei piccoli inferiori, qui il talento non c’entra per nulla. La vicenda è tutt’altra e parla di una coppia di apicali, anche detti Andrea & Pirlotto, che da anni è arrivata a fondere gli incarichi onorifici assunti nelle istituzioni forensi nazionali con le sorti delle proprie auguste personalità. E’ una compenetrazione totale, una sorta di elevazione spirituale, che consente ai nostri eroi di ritenersi quali emanazioni, o protuberanze, ovvero escrescenze, che dir si voglia, delle cariche rivestite. In pratica è un’appropriazione di sogliola pontificia, per cui la persona si sostituisce all’istituzione. “Le CNF et la Cassà… c’est moi…”
sembrano dire i nostri eroi. E’ l’aspetto padronale della vicenda politica e istituzionale vissuta dall’avvocatura italiana in questi anni, quel processo che porta i rappresentanti pro tempore a comportarsi come padrini, come capi assoluti, gestendo i propri incarichi come un fortino da proteggere, piuttosto che come un ruolo di servizio per gli inferiori.
E cosa c’è nel fortino, di tanto prezioso, da meritare tanto accanimento, tanta abnegazione nel tenersi stretto, per mandati innumerevoli, per anni ed anni, il gravoso incarico? Semplice… all’interno c’è il tessssooooooorroooooo….
Il tesoro però, stando ai nostri eroi, è ben giustificato. La chiamano “responsabilità professionale”. In pratica, la teoria della pallottola magica sostiene che, siccome quegli incarichi comportano “responsabilità”, devono essere retribuiti. La retribuzione è dunque il contraltare delle responsabilità, da un lato, e della perdita di opportunità di dedicarsi alla professione forense, dall’altro. Si, perché i sacrificati lo dicono chiaramente: “occuparci di queste faccende ci rende impossibile attendere ai nostri studi legali, non ce la facciamo più, non riusciamo più a fare gli avvocati…”
Bene, analizziamo i due aspetti della faccenda. I fratelli indennità sostengono che gli incarichi che svolgono siano di grande responsabilità. Utilizziamo il rasoio di Paperoccam: cosa vieta ad un avvocato dotato di spirito di servizio di assumere gratuitamente responsabilità verso i suoi colleghi? Chi impone agli apicali di assumere responsabilità dietro compenso? Cosa vieta di gestire quelle responsabilità non per denaro, ma bensì per la volontà di impegnarsi pro tempore, gratuitamente, per l’avvocatura? Misteri della fede, rendiamo grazie al gettone.
Continuiamo a ragionare, a vagare raminghi nei territori oscuri della logica e della decenza: se gli apicali impegnati nella gestione dei loro incarichi non sono più in grado di svolgere la professione forense, perché continuano? Se gli incarichi assunti devono essere davvero professionali, perché non prevedere che chi si candida a svolgerli, per il periodo durante il quale li svolge, non possa continuare a fare l’avvocato? Cosa lo vieterebbe? Visto che, come detto da uno degli esponenti della strana coppia, ormai detti incarichi costituiscono un’attività professionale, perché non trattare i nostri eroi da professionisti? Perché non metterli sotto contratto? E a quel punto, perché non mettere sotto contratto professionisti scelti al di fuori dell’avvocatura? Perché non ingaggiare manager disposti a partecipare ad una gara, in piena regola, che mostri le capacità di gestione tecnica di un ente previdenziale così “difficile” da mandare avanti, ovvero si muovano nei meandri della produzione normativa e regolamentare con agio e perizia comprovate, così come deve fare l’apicale seduto in cima alla cupola del Consiglio Nazionale Forense?
Misteri, che non impediscono ai protagonisti di questa triste storia di accreditarsi mensilmente succulenti stipendi, a parziale ristoro degli immensi sacrifici che decidano alle loro mansioni. Sacrifici così inenarrabili, insostenibili, raccapriccianti, da non consentirgli di smettere, smettere, mai…