Crediamo di aver già usato il riferimento al film di Wolfgang Petersen del 1984 per il titolo di qualche altro pezzo.
Mai come in questo caso, però, la citazione è d’obbligo, vista la piega che prenderà il processo penale con l’entrata in vigore della riforma della prescrizione voluta dal ministro Bonafede.
È da un anno che Nuova Avvocatura Democratica si affanna nel tentativo, ad oggi vano, di far comprendere alla politica ed alla società che sospendere il corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado non servirà affatto ad ottenere processi più rapidi o efficaci e di certo non servirà a far ottenere alle vittime la giustizia, cui legittimamente aspirano.
Sospendere la prescrizione prolungherà solo l’attesa di tutte le parti interessate all’esito di un processo, aggravando all’infinito la sofferenza degli imputati ed anche l’attesa delle vittime.
Nessuno trarrà un effettivo vantaggio dalla dilatazione senza limiti dei tempi del processo.
E, allora, cui prodest?
Che ragione ha la politica – o una parte di essa – ad insistere caparbiamente per l’attuazione di questa norma sconsiderata?
L’unica ipotesi fattibile – almeno allo stato – è che essa possa rappresentare il punto di saldatura tra le istanze securitarie avvertite come primarie da una parte della popolazione – e di cui alcune forze politiche hanno inteso farsi rappresentanti – e il legalitariamo becero di alcune correnti della ANM.
Se questa è la verità, dunque, l’avvocatura non può non schierarsi con forza a salvaguardia dello stato di diritto e della nostra cultura giuridica, intraprendendo una battaglia durissima per impedire che l’inefficienza della macchina giudiziaria, incapace di celebrare processi giusti in tempi certi, venga fatta pagare ai cittadini attraverso la eternizzazione del processo e la cancellazione di un presidio di civiltà giuridica, cardine di un sistema di diritto fondato sull’equilibrio tra istanza punitiva e presunzione di innocenza.