Ho spesso scritto del sistema feudale e campanilistico che sta alla base del potere istituzionalizzato che comanda gli avvocati italiani. E’ un dato che viene sistematicamente occultato dalla Cosa Nostra ufficiale, ma che esplode, nella sua drammaticità, con sempre maggiori e devastanti effetti. Il sistema di selezione inversa che consente agli istituzionalizzati di decidere delle sorti di 240 mila avvocati, perlomeno sotto il profilo dell’orientamento normativo che regola la professione forense, è basato su presupposti che portano inevitabilmente alla sua impossibilità di funzionamento.
La base del potere si esercita nei Consigli dell’Ordine Circondariali, che non di rado sono sottodimensionati rispetto alle esigenze di rappresentatività concreta di interessi di ampio respiro, consentendo il proliferare di figure di ras locali che nulla sanno delle grandi questioni, nazionali ed internazionali, che riguardano l’avvocatura. Il potere diviene così elemento di affermazione di piccoli mondi antichi, chiusi alle possibilità di agire concreto.
A questo o-nanismo l’avvocatura italiana contemporanea affianca l’indisponibilità a costruire un modello di rappresentanza politica che dia effettiva rappresentatività a chi si trova all’interno delle istituzioni. I più potenti avvocati italiani, se ci si limita ovviamente all’ambito politico forense, sono quasi sempre piccole espressioni di consenso localizzato. I meccanismi di nomina, di secondo e terzo grado, rendono i padroni delle istituzioni forensi responsabili solo verso le cerchie di delegati che li indicano. Essi infatti non devono conquistarsi il consenso di masse di avvocati, per assurgere al potere.
Emblematico il caso del Consiglio Nazionale Forense, un luogo oscuro, in cui l’ultima elezione del Presidente, si è decisa per patti maggioritari tra un gruppetto di avvocati, del tutto estranei e in gran parte sconosciuti alla politica forense. Al Presidente eletto con tali modalità è stato sufficiente “convincere” alcuni avvocati, meno di venti persone, per poter diventare il padrone delle istituzioni ed usarle a proprio piacimento.
Situazione non dissimile si ritrova in Cassa Forense, con l’aggravante di uno statuto che sfida ogni logica giuridica o politica, prevendo assurdi meccanismi di prorogatio di delegati ormai non più rieleggibili, ma ritenuti in grado di esercitare i ruoli apicali all’interno del Consiglio di Ammistrazione dell’Ente. Bizantinismi e chiusure che hanno un solo scopo: consentire alla Cupola della Cosa Nostra istituzionalizzata di gestire il potere, di allontanare gli ingranaggi della rappresentatività dall’avvocatura di base, ripudiando sistemi elettorali legittimi, statuti decenti e meccanismi di indicazione politica dei leader dell’avvocatura, frutto di confronto nazionale di programmi e di proposte di governo, lungamente e diffusamente illustrate, nell’ambito di vere campagne elettorali, di portata nazionale.
Chi si stupisce di una situazione tanto lercia dimostra di non conoscere gli avvocati italiani che fanno politica forense: una pletora di buoni a nulla, che però sono capaci di tutto. Da OUA ad OCF, questo è stato il brillante risultato del Congresso Nazionale di Venezia, tenutosi nell’ottobre del 2016. Centinaia di marionette, convocate dai loro pupari per avallare la morte della parola “unitario”, che era il solo lascito positivo di vent’anni di degrado morale, culturale ed intellettuale. Una disarmante povertà d’animo, un’epurazione che doveva servire ai padrini della Cosa Nostra istituzionalizzata ad accentrare ancora di più il potere nelle mani dei soliti idioti, senza però curarsi minimamente di eliminare la pletora di centri di spesa, le poltrone, le prebende da offrire alla corte dei miracoli, sempre affamata ed impudica, sulla scorta dell’esempio offerto dai vertici della Cupola.
L’avvocatura non deve, né può, avere un’unica voce. Questo, seppur con qualche variazione lessicale, il preambolo che il duo Paparo – Vaglio, novelli Gianni e Pinotto, hanno proposto ad un’assemblea inconsapevole ed incapace di giudicare. Rimini è stata la certificazione del fallimento di generazioni di inetti, il momento apicale dell’autoreferenzialità di un sistema ordinistico ormai corrotto in ogni sua articolazione, foriero di scempi di ogni genere, incapace di emendarsi e comprendere il disfacimento di una categoria ormai prossima all’ostracismo sociale.
La cristallizzazione del feudalesimo crepuscolare dei vecchi signori dei COA era un progetto così antistorico, così impermeabile a quei principi di unità nella pluralità e di parlamentarismo plenario ed inclusivo, di cui l’avvocatura avrebbe disperato bisogno, per poter finalmente nascere e contare nel paese, da non essere stato nemmeno seriamente tentato. Il nuovo corso è stato così equiparabile ad un progetto mai nato, ucciso già al momento del concepimento da chi, in realtà, non voleva altro che un luogo di ratifica ossequiosa del proprio strapotere, in barba a quanto fatto raccontare dai propri lacché dal palco congressuale.
Gli avvocati italiani continuano pertanto ad essere vittime di uno dei peggiori paradossi dell’insignificanza politica: la solitudine dei numeri inutili. Moltitudine affamata e disgregata, privi di riferimenti culturali e politici, gli avvocati vagano, navigando a vista, tra centinaia di aspiranti padrini, i quali tutto fanno, salvo qualche eccezione, meno che tentare di costruire un modello di rappresentanza che trasformi quel numero in forza e le diversità nell’elemento propulsivo per sintesi vincolanti, unificanti, inclusive.
La professione dei mille e mille azzeccagarbugli, sempre pronti a rivendicare sterili particolarismi, mai in grado di comprendere le lezioni della storia, che ha visto il dominio dei grandi imperi e degli Stati nazionali, a danno di un’Italia eternamente divisa e polverizzata, e per questo da sempre schiava di padroni esteri.
Purtroppo gli avvocati italiani sono ignoranti e boriosi, conoscono a malapena ciò che li circonda, figurarsi se possono ragionare di futuro utilizzando la storia passata come lente capace di fargli guadagnare una prospettiva proficua.
Macché! Esistere, apparire, ingrassarsi, arraffare, persistere, mai fare passi indietro. Questo appare il mantra dei vecchi barbari, che nulla sanno, nulla possono, ma tutto sono in grado di distruggere, più terribili di un esercito di milioni e milioni di cavallette.
Due crediti deformativi in apicoltura.
Avv. Salvatore Lucignano