Prendo spunto da una recente attività di web radio, in forma societaria che vede coinvolti avvocati, a vario titolo, per alcune riflessioni sull’art.18 della LF e la potestà disciplinare del CNF.
Mi riferisco alla neonata “IUSLAW WEB RADIO SRL”, amministrata da Alessandra Cristofari, compagna del socio avv. Andrea Pontecorvo e partecipata da altri nove avvocati, di diversi fori di Italia.
L’unico soggetto che apparentemente ha attività gestoria della srl non è avvocato, mentre tutti gli altri soci fanno parte della redazione; si legge nel sito web “curano tutta la programmazione della Web Radio, organizzano focus e interviste, partecipano attivamente alle riunioni e… insomma… si danno un gran daffare (ndr SIC!!!)”, occupandosi delle attività necessarie alla riuscita dell’attività di impresa che, invero, non è limitata alla diffusione scientifica del diritto, ma anche ad attività musicali e culturali in genere.
La responsabilità limitata è notoriamente la forma societaria con cui si esercita un’attività imprenditoriale, ma, nella fattispecie vi è un’altra peculiarietà. Malgrado l’oggetto sociale si prefigga lo scopo “di diffondere la cultura del diritto e della legalità”, la società, tra le altre – edizione, pubblicazione, diffusione, stampa riproduzione, distribuzione, commercializzazione, assistenza, consulenza in attività riguardanti libri, opuscoli, giornali, opere multimediali etc etc. – prevede, nel proprio oggetto sociale, attività di strategia imprenditoriale, merchandising, allestimento manifestazioni e convegni, mostre, fiere, servizi di traduzione simultanea, promozione di enti e aziende ed infine anche il compimento di attività “immobiliari, mobiliari e finanziarie di qualsiasi specie”. (!!!)
“La Radio dell’Avvocatura, da Colleghi a Colleghi”, campeggia con enfasi nel sito, svolge solo in apparenza un servizio professionale in forma associativa senza fine di lucro destinato alla categoria forense, ma, al contrario, ponendosi in una area nebulosa e generalista, come strumento di ed al servizio dell’intera categoria, è un’attività che si serve della categoria a fini commerciali, anche attraverso spazi pubblicitari e quindi attraverso contributi esterni.
E’ noto che l’art. 18 della Legge 31 dicembre 2012 n. 247 di riforma (???) dell’ordinamento forense, impedisce al professionista l’esercizio di attività continuative o professionali di lavoro autonomo o subordinato, nonché l’esercizio di impresa commerciale, in nome proprio o in nome e per conto altrui. E’ anche noto che i precetti legislativi, che direttamente incidono, come quelli in tema di incompatibilità, sul diritto a svolgere una determinata attività, costituiscono norme di stretta interpretazione e non sono suscettibili di estensione analogica.
L’attribuzione all’imprenditore di funzioni gestorie e degli oneri ed obblighi connessi all’esercizio dell’attività d’impresa configura necessariamente la incompatibilità con l’iscrizione all’albo forense prevista dll’art. 18 della LP.
La fattispecie reca un ulteriore elemento di riflessione. Non si comprende come la radio, cosiddetta dell’avvocatura, idest coloro che la esercitano in forma imprenditoriale, possa essere sottoposta ad un parere disciplinare del CNF, ovvero l’organo che racchiude in se il potere politico, giurisdizionale e legislativo della categoria. In altri termini, il CNF nella fattispecie dovrebbe valutare non solo la compatibilità dell’esercizio con l’art. 18 della LP, ma se essa, da un punto di vista più strettamente politico, possa qualificarsi, (rectius si è già autoinvestita, senza che il Congresso lo abbia deliberato) come radio che rappresenti e sia al servizio dell’intera categoria!!!
La querelle invero coinvolge non solo il ripensamento dell’organo di controllo disciplinare e la incompatibilità dello stesso organo disciplinare ad essere anche organo di indirizzo politico, ma pure la evidente discrasia tra le norme di categoria e la loro applicazione pratica, alla luce delle modificate caratteristiche della professione.
La domanda è: la professione forense, e in genere tutte le attività di prestazione intellettuale, sono ancora e devono rimanere attività intellettuali così come previste dal codice sostanziale, oppure è ormai il tempo che le incompatibilità all’esercizio di attività commerciale siano espunte dal sistema e che la prestazione intellettuale, anche nell’ottica comunitaria e concorrenziale ed in relazione a tariffe obbligatorie debba seguire la strada della effettiva liberalizzazione?
Abolire il sistema tariffario, prevedere l’equo compenso solamente nei rapporti con i poteri forti (banche, assicurazioni etc.)- e non per tutti i poveri avvocati mortali – è invero tutt’altro che consentire alla professione ed al giovane che vi faccia ingresso di potersi realizzare anche economicamente, per la solare diseguaglianza tra chi esercita il potere (dall’esterno ed all’interno della categoria) e chi non ha alcuna possibilità di accesso e di tutela da parte dello stesso potere che lo rappresenta. E siccome dove non c’è possibilità di accesso e di uguaglianza non può esservi libertà, tanto meno potrà esservi giustizia.
Ed ancora. Il sistema attuale sulla formazione, ha senso, ove l’avvocato possa essere considerato imprenditore? Se è ovvio pensare che l’avvocato debba tenersi aggiornato perché la sua impresa produca, quale è il senso delle sanzioni in caso di mancata formazione, sino alla cancellazione dall’albo? Nella migliore delle ipotesi è puro autolesionismo della categoria, nella peggiore, quella più accreditabile, un mezzo per controllare gli iscritti e una giustificazione al giro di danaro intorno a convengni, conferenze e foraggiamenti vari!!!
Gli ordini ed il CNF quindi non riunirebbero più professionisti dell’intelletto, ma imprenditori tout court, cosicché, paradossalmente, non sarebbe nemmeno giustificabile e/o comprensibile l’obbligatorietà dell’iscrizione e del pagamento della quota associati.
Avv. Antonio Lezzi