Mi ha molto colpito un articolo apparso sul giornale “Repubblica”, che informa sui primi 5 milioni di euro investiti dallo Stato italiano per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale nella pubblica amministrazione.
L’articolo presenta anche i risultati dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale in alcuni contesti, tra cui la Reggia di Caserta. Il futuro sta già succedendo. L’avvocatura italiana su questo tema non possiede uno straccio di norma, né idonea a regolare il fenomeno, sul piano dell’interazione interna alla categoria tra uomo e macchine, né esterna, per quanto riguarda i profili di rischio e disumanizzazione delle attività svolte dalle intelligenze artificiali.
Intanto, mentre l’Ordine Forense italiano langue, ripiegato su se stesso, sulla sua bulimia, sull’incapacità di guidare i fenomeni, la tecnica si impone, come sempre accade quando la politica fallisce, senza chiedere il permesso a nessuno. Le macchine invadono il mercato delle prestazioni legali, il rapporto tra avvocatura, lavoro e reddito continua ad essere un perfetto sconosciuto per chi ci governa. Misure assistenziali, clientelari, non strutturali, caratterizzano le politiche di Cassa Forense, facendo da contraltare ad una spaventosa ignoranza dei processi di impoverimento del lavoro.
All’interno dell’avvocatura italiana non si è messo in atto alcun piano di fiscalità utile a creare sviluppo e reddito, l’assetto previdenziale è ancora caratterizzato da approcci novecenteschi e manca la coesione politica per poter cercare di ideare e proporre soluzioni avanzate ed innovative al problema della massificazione e squalificazione della professione.
La legge professionale forense non fa menzione della concorrenza delle macchine nei confronti dell’uomo. Viviamo una situazione paradossale e surreale: l’Ordine Forense inventa un numero di stratagemmi sempre maggiori per spremere i propri appartenenti, imponendogli pesi e vincoli che hanno come unico effetto il rendere più gravoso l’esercizio della professione, senza naturalmente contribuire in alcun modo a ricercare una riqualificazione meritocratica. Allo stesso tempo l’Ordine Forense ignora che vi sono dei nuovi soggetti, che esercitano la professione forense, sfuggendo ad ogni forma di limitazione e controllo, sia qualitativo, che deontologico: le macchine.
Gli esperimenti che stanno portando le macchine all’interno delle strutture legali più avanzate, o ricche, ben disposte a sfruttare l’ausilio di computer che elaborano con velocità e completezza i dati inseriti, quali richieste, per ricavarne in risposta una mole impressionante di informazioni, costituiscono la nuova frontiera dell’estromissione dal mercato delle prestazioni legali. Decine di migliaia di avvocati, attualmente iscritti all’Ordine Forense, verranno resi inutili dalle evoluzioni tecnologiche in atto e le previsioni deontologiche attualmente in vigore, rette da mentalità bigotta e medievale, non serviranno a fermare lo tsunami. Sarà come voler arginare l’oceano con una diga fatta di castelli di sabbia.
Queste tematiche dovrebbero assumere importanza centrale nel dibattito politico e culturale interno all’Ordine Forense, muovendosi dal riconoscimento che l’assenza di un soggetto politicamente qualificato, riconosciuto, credibile ed assistito da norme in grado di ergerlo a rappresentante unitario della classe, sarebbero il fondamento operativo irrinunciabile per poter discutere in modo proficuo di merito e di soluzioni.
Appare dunque grottesco e suscita amarezza, constatare che i padroni dell’avvocatura italiana abbiano ordinato di inserire, tra i temi che si farà finta di discutere al prossimo Congresso Nazionale Forense, la definizione della natura dell’Ordine Forense. L’avvocatura italiana chiede di trovare una collocazione ben visibile, all’interno della Costituzione del nostro Stato e riconosce, nel contempo, di non aver chiara a se stessa nemmeno la propria natura. Insomma, se non ci fosse da piangere, ci sarebbe davvero da ridere.
NAD continuerà ad occuparsi di robotica, intelligenza artificiale, rapporto tra innovazioni della tecnica, scomparsa del lavoro e reddito, perché ritiene che questi temi siano centrali per il futuro professionale, per la sopravvivenza stessa dell’avvocatura italiana. Al contempo continueremo a dimostrare che l’assenza di una classe, intesa come soggetto dotato di strutture politiche unitarie e riconosciute, inclusive e democratiche, sia il fattore preliminare che impedisce agli avvocati italiani di occuparsi del proprio futuro. Un futuro che non aspetta certo le nostre inadeguatezze, che non arretra dinanzi alle nostre incapacità, che fa di tutto per essere già presente, mentre l’Ordine Forense appare sempre più una patetica fotografia, intrisa di vuota retorica, capace di rappresentare solo un passato che non c’è più.
Avv. Salvatore Lucignano