Ognuno continua ad andare per conto suo, più di prima. Le Camere penali, ospiti d’onore del Congresso Nazionale di Rimini, annunciano una iniziativa di legge popolare sulla separazione delle carriere. Altre associazioni, completamente tagliate fuori dalla logica totalitaria dei numeri e dei sistemi elettorali truccati vigenti all’interno dell’avvocatura, annunciano disinteresse per le vicende dell’Organismo Congressuale Forense, ostentando una propria capacità di interlocuzione autonoma con la politica nazionale. Vi sono persino associazioni che, pur platealmente umiliate dall’andamento congressuale, dove è stata plastica e visibile la loro irrilevanza e la sufficienza con cui il regime dell’istituzionalizzazione forense si interfaccia ad esse, non rinunciano ad invocare una pronta iniziazione dell’Organismo. Il tutto, con disprezzo del ridicolo, al solo fine di difendere un paio di loro “uomini”, protagonisti dell’operazione “Paparo & Paperi S.p.A.”
Avevamo già illustrato, prima del XXXIII Congresso Nazionale Forense, quanto fosse sciatta, giuridicamente improponibile e politicamente miope, la premessa dettata dai Consigli dell’Ordine, nella cosiddetta “bozza Paparo”. La rinuncia esplicita a fare del Congresso la sintesi sovraordinata ed unificante delle proposte politiche dell’avvocatura ha costituito il presupposto normativo, seppur pattizio, che giustifica ogni spinta centrifuga ed autonomista dal Congresso stesso. Il ragionamento di chi ha ficcato, nella stessa frase, il concetto di “massima assise” e di pluralità di voci autonome fa acqua da tutte le parti. L’esclusione, quasi totale, di componenti minoritarie dall’Organismo Congressuale Forense, in ragione di elezioni con preferenza plurima, ma ancora prive di quozienti di lista, unico strumento in grado di bilanciare l’effetto totalizzante del maggioritario a preferenza plurima, hanno fatto il resto.
E i deliberati congressuali? Morti, trapassati, già nessuno li ricorda più. Sono caduti nell’oblio, esattamente come i centinaia di deliberati approvati dai congressi precedenti, di cui all’interno della politica forense italiana non vi è traccia. Il Consiglio Nazionale Forense continua a fare la sua politica, senza che nessuno degli istituzionalizzati ortodossi faccia valere l’assurdo rappresentato da una massima assise, definita dagli stessi Papari come il centro della rappresentanza politica dell’avvocatura, che possa trovarsi a fronteggiare iniziative partorite da soggetti estranei ad essa, i quali godono di interlocuzione privilegiata e totalmente autonoma con il parlamento italiano.
Il fallimento insomma, era nelle premesse. In primo luogo quelle culturali: l’Agourrah degli Orridi non contiene al proprio interno le risorse intellettuali e culturali per poter comprendere questi meccanismi. Vi è stata poi l’avidità di potere, che ha fatto innamorare i satrapi dei vari feudi ordinistici dell’idea di una rappresentanza esclusiva, che cacciasse tutto ciò che non faceva parte del “sistema” e tenesse dentro solo “i furbetti” degli Ordinetti. I furbetti dell’avvocatura e del congressino, come quelli del quartierino. Stessa arroganza, stesso livello culturale. Finiranno allo stesso modo?