Formazione continua DIXAN spendi e riprendi. (Di Antonio Lezzi)

17 Novembre, 2016 | Autore : |

Il co. 1 dell’art.11, 247/2012 prevede che: “l’avvocato ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio della professione nell’interesse dei clienti e dell’amministrazione della giustizia”.

L’attività del CNF di regolamentazione (cfr. Reg CNF 16 luglio 2014, n. 6) in ordine a “le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento da parte degli iscritti e per la gestione e l’organizzazione dell’attività di aggiornamento a cura degli ordini territoriali, delle associazioni forensi e di terzi, superando l’attuale sistema dei crediti formativi” di cui al co. 3 dell’art. 11 della L. 247/2012, da un lato pone dubbi sulla competenza, essendovi una riserva di legge in materia, dall’altro prescinde dalla stessa ratio legis, dell’obbligo di “formazione continua”. Nell’intenzione del legislatore, le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo devono, all’evidenza, assicurare la qualità delle prestazioni:

  1. Nell’interesse della onorabilità e decoro stessa categoria professionale
  2. Nell’interesse del cliente
  3. Nell’interesse della amministrazione della giustizia.

E’ ovvio infatti che un professionista che non si aggiorni non potrà rendere una prestazione servizio di qualità, screditando la categoria, non potrà contribuire all’efficienza della macchina della giustizia, così non adempiendo alla collocazione costituzionale della sua funzione, né potrà garantire la qualità delle prestazioni al cliente, così riducendogli o impedendogli il diritto costituzionale alla difesa.

Ammessa e non concessa la competenza in materia, il CNF, al fine di rendere vivente e positiva la norma, avrebbe dovuto indicare e regolamentare il metodo con cui rendere efficace l’aggiornamento e quindi ottemperare ai fini pubblici che la legge si è preposto, “SUPERANDO L’ATTUALE (a.d. 2012) SISTEMA DEI CREDITI FORMATIVI

E come ritiene di superare il vecchio sistema dei crediti formativi il CNF?

Con il sistema dei crediti formativi!!!

formazione

Da un lato quindi si dubita, che la riserva di legge in materia, potesse permettere la delega del legislatore alla regolamentazione del CNF, dall’altro, dando per superato il dubbio,  il CNF,nella regolamentazione non si attiene alla delega che imponeva il superamento del sistema dei crediti formativi, ripronendolo in una salsa scaduta e priva di qualsiasi gusto ed invenzione culinaria.

Ancora una volta l’organo “più importante” dell’avvocatura da un immagine sciatta, distratta e incompetente, nel procedimento di formazione e nella esatta esecuzione della delega.

Ed infatti assolutamente inefficace, oltre che privo della concreta possibilità di verificazione del risultato, appare il sistema dei crediti formativi, che, anziché farsi eco esaltante la continuità della formazione professionale, richiama le raccolte punti dei benzinai.

“Venghino signori venghino” al convegno che io CNF ho accreditato ed avranno uno, due, tre punti. Così come se metto dieci euro di benzina al distributore mi danno 1,2,3 punti perché possa scegliere il premio, al CNF mi daranno l’attestazione di aggiornamento professionale.

Invero il regolamento del CNF al titolo IV “accreditamento” non stabilisce alcuna comprensibile modalità, al netto di una non meglio specificata istruttoria svolta dalle commissioni centrali e locali, dei criteri su cui si fonderebbe l’accreditamento, offendendo l’intelligenza di un giurista, la formulazione dell’art. 21 del regolamento n. 6/14 del CNF.

Ed invero, ovvia la “a) coerenza dei temi trattati con le finalità del presente regolamento e attinenza alla professione sotto profili tecnici, scientifici, culturali e interdisciplinari” , non è dato comprendersi come la qualità e l’efficacia dell’evento formativo possano dipendere:

  • da criteri temporali e numerici ovvero: “b) numero dei partecipanti e durata (mezza giornata, una giornata, più giornate)” (SIC!!!).
  • da non meglio specificate “e) esperienze e competenze specifiche dei relatori in relazione alla natura dell’evento”. Quale sarebbe il criterio adottato per stabilire la esperienza e la competenza del relatore?
  • da “misure di verifica in entrata / uscita dei partecipanti”. (SIC!!! E nel mentre?)

Si aggiunga che le previsioni di cui alla lettera f) “elaborazione e distribuzione di un questionario di valutazione finale dell’evento da parte dei partecipanti” ed alla lettera g) “metodi di controllo della continua ed effettiva partecipazione, come verifiche intermedie e verifica finale”, nella prassi, sono rimaste mere ed inattuate enunciazioni.

L’obbligato all’aggiornamento potrebbe chiedersi, ove mai fossero distribuiti, i questionari di valutazione:

  1. se ritenessi la mia partecipazione a questo o quell’altro evento sia stata una perdita di tempo perché, non avendo soddisfatto la mia esigenza di aggiornamento, darei una valutazione negativa nel fantomatico questionario mai avuto, avrei comunque legittimamente acquisito i punti utili all’adempimento dell’obbligo di aggiornamento?
  2. Ove, come accade nella quasi totalità dei casi, non fosse stata fatta alcuna verifica della mia vigile e produttiva partecipazione all’evento, che non sia stato timbrare il cartellino all’entrata ed all’uscita, ed avessi dormito tutto il tempo, oppure giocato con il mio smartphone, avrei legittimamente acquisito i punti utili all’adempimento dell’obbligo di aggiornamento?

La risposta del CNF e del COA è inevitabilmente imprigionata al “SI”, poiché non si potrebbe certamente addebitare al partecipante l’inesperienza o incompetenza o carenza di professionalità del relatore di un evento accreditato dalle stesse commissioni centrali e locali degli organi dell’avvocatura, così come non si potrebbe addebitare al relatore, che fosse stato competente ed esperto, la lentezza di apprendimento o la distrazione  di questo o quel partecipante, in mancanza di una verifica finale sull’effettivo risultato di aggiornamento di ogni singolo partecipante; dall’altra parte non è comprensibile chi dovrebbe decidere, ed in base a quali requisiti, della effettività del risultato. Non è affatto scontato che un componente del COA possa o sia in grado di stabilire la competenza di un collega e la misura efficace del suo aggiornamento, non attribuendogli, la qualifica di eletto, alcuna garanzia di maggiore competenza o professionalità dell’elettore, talché possa legittimamente giudicarne l’osservanza all’obbligo  di cui all’art 11 co.1 della LPF.

Perché, per iscrivermi all’Albo, devo superare un esame in cui sono giudicato da commissioni composte da avvocati, giudici e professori universitari ed invece, affinché sia verificato non solo la mia osservanza, ma anche il raggiungimento dello scopo che ha informato la ratio del’art. 11 co.1 di una legge dello Stato, posso essere giudicato da un organo composto da Colleghi ascesi, tramite il mio stesso voto, al COA e quindi al CNF, tramite un improbabile sistema elettorale,  ma che, sotto un profilo di competenza e professionalità, hanno superato l’esame per l’accesso alla professione né più né meno che come me?

L’elezione ad una carica di rappresentanza amministrativa o politica conferisce all’eletto un’aurea di omniscienza e la possibilità di giudicarmi?

Il mandato a rappresentarmi ha mai compreso la possibilità di giudicarmi? Oppure il potere conferito al rappresentante di agire per soddisfare la mia necessità di aggiornamento è comprensiva del potere dello stesso rappresentato di regolamentare e contemporaneamente di giudicare se egli stesso abbia soddisfatto il fine per cui l’ho chiamato a rappresentarmi?

Tanto più se quello stesso falsus procurator, al fine di rendere effettiva la mia necessità, senza una plausibile ragione, stabilisce che debba ottenere i punti DIXAN, sistema che il legislatore dandogli la delega gli ha imposto di SUPERARE, ed al fine debba presenziare ad eventi che nelle modalità di svolgimento sono contrari ai suoi stessi regolamenti, perché carenti della prevista verifica, per di più limitando  al  40% del totale dei Crediti Formativi, “il numero di Crediti Formativi conseguiti in modalità Formazione a distanza o elearning” che, al contrario, contengono sempre un metodo,  anche esso opinabile, ma comunque esistente, di verifica intermedia e finale.

Perché la partecipazione fisica ad un evento garantirebbe un aggiornamento maggiore di quella di formazione a distanza o in elearning? La scienza forense o pedagogica hanno forse stabilito che l’aggiornamento professionale sia più efficace se partecipo fisicamente ma non mentalmente ad un evento piuttosto che se lo seguo da casa?

Vi è di più. Quella stessa scienza, contraddittoriamente non empirica e che non è né giuridica né pedagogica, ha pure stabilito che sia meglio partecipare ad un evento con relatori improvvisati, che il più delle volte si guardano bene dal lasciare traccia del loro intervento perché se ne verifichi la validità scientifica,  ed a volte meno competenti dell’ascoltatore, piuttosto che lasciare alla autodeterminazione, la scelta sul migliore e proficuo metodo di aggiornamento del singolo, posto che ”l’attività di studio e aggiornamento individuale, preventivamente autorizzata, un massimo di n. 10 CF all’anno”. E perché 10 e non 8 o 12 o 60? Per quella scienza ascoltare uno qualunque, non abilitato all’insegnamento sarebbe meglio, in ipotesi, per uno studente, che leggere un libro che abbia scelto, magari scritto da qualcuno che abbia dedicato una vita allo studio dell’argomento trattato.

Infine e provocatoriamente, la barbara e non condivisibile tendenza, di stampo liberista, alla visione imprenditoriale della professione intellettuale, può mai ritenersi compatibile con un sistema che non lasci alla scelta dell’imprenditore professionista come svolgere la propria attività di impresa in termini di strumenti necessari alla sua produttività?

Non è possibile intravedere alcun nesso logico-giuridico tra la libertà, un tempo professionale, oggi, (???),  di impresa,  e l’obbligo del professionista/imprenditore di gestire la sua attività (o azienda?) secondo i metodi ed i mezzi imposti dall’esterno; cosicché, da un lato, si è sottoposti alla legge del mercato e della libera concorrenza e, dall’altro, alla regolamentazione dei mezzi e degli strumenti con cui esercitare l’attività.

Poiché se, in linea di principio, è costituzionalmente ed eticamente corretto garantire una prestazione professionale adeguata, nell’interesse pubblico della giustizia e privato del cittadino, cosicché sia altrettanto necessario il controllo sulla effettiva realizzazione del fine, è ideologicamente contrario e costituzionalmente illegittimo, limitare la libertà del professionista, di scegliere il metodo ed il mezzo con cui attuare il fine ed adempiere all’obbligo impostogli, per garantirsi i profitti della sua attività, attraverso la imposizione, la intromissione ed il controllo corporativo e statalista delle sue scelte imprenditoriali, ovvero di aggiornamento professionale, necessarie comunque a far (soprav)vivere la sua attività ove no contravvenga allo scopo anche sociale e costituzionale che il tipo di attività deve perseguire.

La libera concorrenza che dovrebbe garantire la qualità della prestazione ad un costo minore per l’utente-cittadino e per lo Stato è inevitabilmente connessa alla capacità del professionista/imprenditore di reperire i metodi e gli strumenti (legittimi) per restare nel mercato concorrenziale, ovvero per continuare a svolgere la professione, cosicché se, da un lato, è l’utente consapevole a scegliere il professionista, dall’altro, non possono essere altri professionisti, appartenenti alla stessa categoria, a regolare e controllare il mercato ed a giudicare l’assolvimento ad un fine che è statale/costituzionale, poi sociale e poi anche economico-imprenditoriale, essendovi un concreto rischio di strumentalizzazione di quelli stessi principi, con un risultato contrario a quello voluto: ovvero garantire il rispetto della libertà della iniziativa economica privata di cui all’art.41 della Costituzione, con i limiti, nella fase dell’esercizio dell’attività (liberamente) scelta, di cui al comma III.

La norma costituzionale contiene una riserva di legge implicita poiché, enunciati questi limiti, essi devono essere concretamente specificati da una legge ordinaria. Più specificamente, se si dubita della potestà regolamentare governativa in materia, posto che l’art. 21 co. 1,  della legge n. 247/12 delega il governo esclusivamente a disciplinare le modalità di accertamento dell’esercizio “effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione forense”, e non invece i contenuti positivi e le condizioni per l’adempimento del detto esercizio da parte degli iscritti negli albi, che vanno fissati con norma di legge di rango primario, veramente  non si comprende quale potere impositivo e regolamentare, in materia, possa avere il CNF, tanto più allorquando, pur non potendo essere delegato, abbia ecceduto e quindi inattuata la stessa delega.

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