Si immagini un avvocato d’affari, con reddito annuo pari a 90 mila euro, che si occupi costantemente di fusioni e acquisizioni, magari seguendo un solo affare per uno o due anni, ed intascando la sua parcella, dopo due anni, di 180 mila euro. Si immagini la vita di questo avvocato: non corre ogni mattina in udienza, non consuma le “suole” nei corridoi dei tribunali, non prende il caffè al bar dopo aver preso i mille, inutili rinvii di cui è fatto il rito del processo italiano. Quasi sicuramente non partecipa alle elezioni per il Consiglio dell’Ordine, non legge “Il dubbio”, il giornale di Mascherin, Orlando e Sansonetti, pagato con i soldi della plebe forense. Trascorrerà le sue infingarde giornate a studiare contratti, magari in lingua straniera, a fare da mediatore tra grosse compagnie, a inventare istituti ibridi, cercando di sviluppare nuove forme di allocazione di interessi e risorse. Prenderà qualche aereo, magari senza preavviso, per andare a Boston, o a Londra, o a Stoccarda, e potrebbe persino dover volare di sabato, di domenica, o a ferragosto, con buona pace della “sacrosanta” sospensione delle attività dal 1 agosto al 15 settembre. La sua attività lo porterà ad approfondire un ramo specifico del diritto, ovvero tutto quello che è implicato nell’affare che sta contribuendo a trattare, e probabilmente non avrà alcuna cognizione delle materie e degli oggetti che esulando dall’attività che lo impegna per uno o due anni della sua vita. Non parteciperà ai famosi convegni in cui consiglieri dell’ordine dalla cultura MOSTRUOSA assegnano a se stessi e alle proprie ILLUMINANTI parole un valore formativo irrinunciabile. Questo avvocato non farà cortei, non avrà problemi a pagare i contributi alla cassa, vivrà in una bella casa, avrà tanti hobbies, potrà permettersi 4 figli e girerà con un SUV dal costo di 60 mila euro. Ebbene… un simile personaggio, per le istituzioni forensi e la normativa vigente in Italia, sarebbe destinato alla radiazione, colpevole di una miriade di violazioni deontologiche, non riuscendo a dimostrare né di praticare un “periodico aggiornamento”, né di svolgere l’attività con “continuità”. Inoltre lo sfortunato individuo sarà vituperato da una schiera di 100 mila morti di fame, parimenti avvocati, che guadagnano 3 mila euro all’anno, che devono darne 4 mila alla Cassa Forense, che la parcella più grande che hanno visto ammonta a 300 euro oltre accessori, ma che sono i “veri” avvocati. Eh si, perché “loro” corrono ogni giorno in giro per i corridoi del Tribunale, loro si che conoscono la vera professione, i veri problemi, e pertanto possono piangere miseria, votare i consiglieri dell’Ordine che gli regalano la pennetta da mettere nei loro vetusti computer, in modo che poi possano aprire la piccola calcolatrice che hanno installato sul loro “aifon” e controllare quanti crediti formativi gli mancano per raggiungere “l’obiettivo previsto dalle leggi che giudicano un buon avvocato”.
Ora si immagini un velista, che partecipi alla Coppa America, o un ginnasta, che prepari un singolo esercizio, della durata di 1 minuto, da realizzare ogni quattro anni, in occasione delle olimpiadi. Si immagini un ingegnere, progettista, impegnato nella realizzazione di un Ponte Sospeso su un precipizio di 600 metri. Si immaginino tutte queste eccellenze e si provi a pensare alle pernacchie che riceverebbe tale Mascherin Andrea, che a stento sa fare le “O” con il bicchiere, se gli dicesse che egli non può curare e dedicarsi a questo singolo progetto, ma deve prendere “i crediti formativi” che attestino che sia, rispettivamente: un buon velista, un bravo ginnasta, un ingegnere capace. Si immagini il lettore di media intelligenza i cartocci di cacca che riceverebbe sul viso un ipotetico capo dei ginnasti che pensasse di radiare dal novero dei ginnasti un Yury Chechi, colpevole di dedicarsi agli anelli e non alla sbarra. Si immagini un cittadino normodotato lo scandalo di un Paul Cayard bannato dai circoli della vela mondiale, perché da troppo tempo non esegue una manovra ortodossa, a mani nude, nella classe star, ma si limita a stare al timone di catamarani che fanno i 30 nodi e hanno 30 uomini di equipaggio. Follia? No, purtroppo si tratta di una scelta, scellerata, che ha precise ragioni politiche.
Lasciamo la vela e torniamo all’avvocatura, a quella massa di disperati che si fregiano del titolo di “veri” avvocati, anche se non possono mangiare. Torniamo alle norme che identificano le caratteristiche che deve possedere l’avvocato “ortodosso” per poter continuare a svolgere la sua professione. Trattare cinque affari all’anno, avere il telefono, fare la fame, seguire i convegni tenuti da consiglieri dell’Ordine ritardati e semianalfabeti. Si immagini il mio piccolo lettore questo circo, questo agglomerato di follie e buffonate e poi provi a vedere quali sono i professionisti affermati, come guadagnano, come vivono, come si procurano gli affari che li fanno affermare, come arrivano a trattare le vicende processuali più complesse. Si provi anche a guardare la smisurata differenza reddituale tra vecchi e giovani, tra maschi e femmine, tra nord e sud ed ecco serviti tutti gli ingredienti del regime dell’istituzionalizzazione forense italico: un regime volto alla creazione di una marea di nullatenenti, sempre più vessati da obblighi assurdi ed insensati, utili esclusivamente a tenere in piedi una pletora di istituzioni frequentate da falliti, che le usano per procacciarsi stipendi, per elargire elemosine e fare affari con i politici.
L’avvocatura italiana è dunque questo: una professione non più libera, non più svolta da uomini liberi, da imprenditori intellettuali che possano viversi all’insegna della libertà, della scoperta, della gestione autonoma del proprio tempo e del proprio mondo intellettuale. Io ad esempio dovrei prendere i crediti formativi, rinunciare ad accompagnare la mia bambina intorno al Lago D’Averno, per andare ad ascoltare i Consiglieri dell’Ordine di Napoli. Una roba che non fa nemmeno ridere. Un sudario, un velo pietoso, uno strascico di guano, su cui ogni ulteriore parola è mal spesa.
L’avvocatura non è quella dei “consumatori di suole”, non è quella di chi arranca, non è quella di chi è schiavo degli obblighi insensati a cui si piega, per compiacere padrini e padroni che non valgono un Kopeko. Siate liberi colleghi, rivendicate la vostra indipendenza, vivete la professione all’insegna dello studio, della ricerca del profitto, della soddisfazione dei vostri clienti per mezzo di percorsi personali, unici, vostri, qualificanti, esaltanti. Siate padroni del vostro tempo, studiate nei modi che ritenete opportuni, occupatevi di ciò che vi interessa e non di cose che vi mortificano, sul piano intellettuale e reddituale. Non rinunciate a vivere sognando l’eccellenza, ovvero la piena e totale proprietà di ogni singolo istante della nostra vita e della nostra bellissima, LIBERA professione.