Facciamo che abbiamo un’Alfasud del 1980, col motore spompato e tutta arrugginita, che si ferma ogni cento chilometri per guasti di ogni tipo. Di fronte alla domanda sul come farla camminare bene e veloce, cosa pensereste se qualcuno rispondesse: ”riverniciamola!”?. Ci sarebbe da pensare che l’interlocutore ci sta prendendo in giro o di essere semplicemente al cospetto di un mentecatto.
L’Alfasud è la giustizia italiana. La politica, da anni, non fa altro che limitarsi a “riverniciarla”, attraverso una congerie continua di riforme e riformicchie confuse, contraddittorie e spesso dannose. Pare che anche questo governo si accinga a dare un’altra botta di vernice… Ormai le riforme dei codici di rito si susseguono incessantemente come le stagioni della moda milanese. Le diciture “nuovo rito”, “vecchio rito” che una volta bastavano ad orientarsi nella scansione delle varie novelle processuali andrebbero sostituite con: ”Rito primavera/estate 2018; autunno/inverno 2019”, ecc…
Chiunque abbia maturato esperienza nella gestione di fenomeni “proceduralizzati” sa che il consolidarsi, in un tempo adeguatamente lungo, di interpretazioni ed orientamenti, agevola il fluire degli itinera gestionali e decisionali.
Alla giustizia italiana servirebbe, prima di tutto, un clima di certezza che può essere alimentata dal lasciar sedimentare un piano di regole procedurali sottoposte, negli ultimi anni, a troppi e ravvicinati “stress emendativi”, che ne hanno indebolito/azzerato il retroterra interpretativo e disperso il bagaglio di nomofilachia endosistemica.
Si sente parlare spesso del problema giustizia in Italia come un problema di risorse applicate. Pare, in realtà, analizzando il rapporto investimenti nel settore giustizia/pil (0,19%) che non si tratti di un problema di risorse applicate, considerato che il dato appare in linea con sistemi simili a quello italiano in termini di numeri ed economia (si veda il “Focus giustizia civile” della Fondazione Einaudi).
Potrebbe aiutare la responsabilizzazione dell’utente del “sistema giustizia”, qualsiasi ruolo svolga nella vicenda processuale. La risorsa processuale va utilizzata con parsimonia ed onde evitarne l’abuso e la dispersione occorre rafforzare i meccanismi punitivi, di natura economica, ai danni di chi ne fa un uso improprio.
Le ADR potranno divenire risolutive e contribuire a migliorare lo stato delle cose solo se si avrà il coraggio di renderle di gran lunga più incisive nelle questioni demandate, atteso che, come disegnate oggi in Italia, non conferiscono alcun contributo concreto al miglioramento delle performances di sistema.
I soggetti di diritto pubblico, principali responsabili dell’ingolfamento delle aule giudiziarie, devono essere indotti a comportamenti più virtuosi nella valutazione dei contenziosi. Un funzionario che lasci finire in un’aula giudiziaria, con suoi comportamenti errati, una questione che non doveva assolutamente finirci, va responsabilizzato attraverso sanzioni economiche di agevole attuazione.
L’aula giudiziaria non può continuare ad essere, come oggi, il regno assoluto di chi ha tutti i torti dalla sua, dell’insolvente e dell’inadempiente. Il punto è che questo ruolo, oggi comodissimo per chi finisce nell’alveo della giurisdizione civile italiana, è troppo spesso recitato da soggetti pubblici. Ed anche in questo caso, Il monito del grande fiorentino nel VI canto del Purgatorio è eternamente attuale per il nostro martoriato paese:”
Atene e Lacedemona, che fenno
l’antiche leggi e furon sì civili,
fecero al viver bene un picciol cenno 141
verso di te, che fai tanto sottili
provedimenti, ch’a mezzo novembre
non giugne quel che tu d’ottobre fili. 144
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato, e rinovate membre! 147
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume, 150
ma con dar volta suo dolore scherma.
Avv. Giuseppe Fera
Tesoriere Nazionale NAD