Non ero a conoscenza fino a ieri dell’esistenza di un libro, autore Tamar Pitch, intitolato “Contro il decoro” – L’uso politico della pubblica decenza.
L’esistenza di un volume dedicato al tema si è per me palesata nel bel mezzo di un dibattito sul decoro dell’avvocatura italiana, mentre io sostenevo che il decoro della professione forense andasse ucciso, seppellito, definitivamente polverizzato. Nel leggere la presentazione del libro in questione, pur non avendolo letto, mi sono accorto che l’autore presenta dei concetti assai affini a quelli che, da qualche anno, ho sottoposto alla professione forense italiana. Leggo infatti:
“Hanno contrapposto libertà ed eguaglianza. Hanno fatto dell’eguaglianza l’ostacolo all’affermazione individuale e il freno alla crescita. Ma la libertà sempre meno persone se la possono permettere. E allora, accanto alla paura, ci vuole il decoro per tenere a bada chi non ce la fa.
Decoro è termine che viene utilizzato per significare cose diverse. Un comportamento è ‘decoroso’ quando è adeguato al tipo di persona e al contesto in cui si dispiega: una casa è ‘decorosa’ quando è pulita e in ordine. Ma i ricchi e i potenti non hanno bisogno di imporsi regole di decoro. Anzi, il loro valore si manifesta in uno stile di vita che esibisce l’assoluta noncuranza verso i limiti imposti a tutti gli altri. Dove l’‘indecenza’ è ciò che conviene ai molto ricchi, il decoro è ciò che viene proposto e imposto a un ceto medio impoverito e impaurito. Il decoro divide tra perbene e permale e funziona per ottenere consenso. Decoro, merito, disciplina sono le parole d’ordine e gli obiettivi di politiche che legittimano la paura contro ciò che è sporco, contaminante, eccessivo, minaccioso per l’ordine e la sicurezza. Decoro e paura richiamano la pulizia: chi sono i germi e i batteri che vanno dunque buttati fuori dalla casa comune dei cittadini perbene?”
I concetti espressi in questo breve affresco sull’uso politico del decoro sono chiarissimi. Il decoro è per molti regimi autoritari uno strumento di repressione della libertà, agisce per limitare la manifestazione della diversità di chi denuncia le malefatte del potere e lo fa con espressioni non conformate ai dettami dei gruppi egemoni.
L’utilizzo del decoro come strumento di oppressione della libertà è particolarmente in voga all’interno del regime dell’istituzionalizzazione forense. Del resto l’ipocrisia, che è una forma di falsificazione della realtà, non è fatta di totale creazione di falsi, ma solo di sapiente inversione di valore nell’analisi dei fatti. L’ipocrita, per fare il suo lavoro, non ha bisogno di costruire menzogne inverosimili, bastandogli trasformare le pagliuzze in travi e viceversa.
Il decoro dell’avvocatura è funzionale a questo processo di sovvertimento della realtà. Avviene così che i furti del denaro degli avvocati da parte delle istituzioni forensi, i tentativi di ottenere regolamenti elettorali totalitari, in grado di garantire ai padrini della cupola di utilizzare a vita il proprio potere, per arrivare agli stipendi pagati dagli indecorosi avvocati di base e a tutto il resto, che c’è… anche se non si vede… siano assolutamente decorosi. Sono decorose le vessazioni, il disprezzo delle donne, il silenzio e la derisione delle istanze di migliaia di avvocati, le decisioni ai reclami prive di qualsiasi pregio giuridico, la corruzione, l’ignoranza, l’incapacità di affrontare i problemi della categoria. Tutto questo è decorosissimo. Sono decorosi i crediti formativi venduti dai Consiglieri dell’Ordine, gli incarichi assegnati a prestanome e ad amici degli amici, le dinastie, il familismo, il nepotismo, le concubine elevate al rango di moderne Giovanne d’Arco. Sono decorose le sterili manifestazioni verbali di vicinanza ai diritti violati delle felci dell’Amazzonia, per cui organizzare convegni e manifestazioni, rigorosamente in toga.
Non sono decorose le battaglie degli avvocati di base per ottenere istituzioni forensi decenti, capaci, scevre dall’affarismo e dalla rincorsa di utilità personali. Non sono decorose la goliardia, l’anticonformismo, la richiesta di distruzione dell’ipocrisia, il ripristino di una corretta gerarchia di valori. Quello no: non è decoroso e il problema più grande dell’avvocatura italiana continuano ad essere le parolacce dette dai colleghi su facebook, seguite dall’Etna, dal traffico e dalla siccità.
Sudario… sui sepolcri imbiancati.