Articolo pubblicato dalla rivista “Avvocati”, che ringrazio per l’attenzione, in data 11 settembre 2018.
L’avvocatura, in materia di inclusione democratica e trasparenza, continua a procedere a trazione inversa: invece di avanzare, arretra. L’ennesima prova di questa deriva si riscontra nel farraginoso meccanismo ideato dalle istituzioni forensi per addomesticare le mozioni che si confronteranno al XXXIV Congresso Nazionale Forense, in programma a Catania, dal 4 al 6 ottobre 2018. Il regresso, anche rispetto al precedente Congresso di Rimini, è evidente e per averne contezza basta connettersi con il sito ufficiale della kermesse, www.congressoforensecatania.it, visualizzando l’area destinata alle mozioni ed analizzandone il contenuto. Sarà per chiunque un’operazione semplice, posso assicurarlo, perché la sezione è desolatamente vuota. “Ma come”, obietterà un qualsiasi osservatore che voglia conoscere le 192 mozioni presentate dagli avvocati italiani entro il 4 settembre,“è normale che non sia possibile leggere le mozioni, capire chi le sottoscrive, quali non raggiungono il quorum previsto per la loro discussione da parte del Congresso? Possibile che non sia consentito ad alcuno di aver contezza di questo processo?”
Esatto, non solo tutto ciò è possibile, ma questo buio totale è quanto si sta effettivamente verificando. Consultando il sito internet dedicato alla manifestazione, nessuno, salvo forse i delegati (ma ad un esterno non è dato saperlo, senza chiedere informazioni ai delegati accreditati), può conoscere l’iter delle mozioni presentate, né il nome e il Foro di provenienza dei sottoscrittori, verificando cosa manchi al raggiungimento delle 30 sottoscrizioni, provenienti da delegati appartenenti almeno a 5 Fori diversi, che è il doppio requisito in grado di portare alla discussione delle mozioni presentate.
Un iter oscuro, che tiene completamente “fuori” chiunque voglia partecipare, controllare, eventualmente fare campagna di opinione perché si possa raggiungere il numero minimo di sottoscrizioni necessarie alla discussione. Basterebbe questo a dare l’idea dello stato dell’arte, ma le istituzioni forensi italiane non si fermano mai al male, preferendo sempre sfidare il peggio. Persino i presentatori di alcune mozioni, che non sono delegati congressuali, sono stati infatti esclusi dall’area riservata ai possibili sottoscrittori. Si ha così il paradosso di un iter di approvazione delle mozioni che, se non si è tra i delegati congressuali, resta del tutto ignoto all’ideatore e presentatore delle stesse, potendo il presentatore non delegato avere conoscenza dell’esito della sua proposta soltanto “a cose fatte” e trovandosi così di fronte a gravi difficoltà, nel caso voglia promuovere la discussione del proprio elaborato.
Insomma, una situazione imbarazzante, che mostra ancora una volta l’arretratezza e l’inadeguatezza delle istituzioni forensi, quando si tratta di organizzare incontri che siano occasione di confronto vero tra gli avvocati.
A questo punto c’è da temere che l’esperienza di Rimini 2016 possa ripetersi, ricalcando in peggio quanto già avvenuto due anni fa: non resta che verificare se davvero i manovratori del Congresso lasceranno discutere tutte le mozioni “scomode” approvate dei delegati, o se invece non verrà replicato il criterio illegittimamente assunto nel Congresso scorso, che consentì la discussione di una unica mozione di contenuto “statutario”, censurando il voto su mozioni concorrenti, che avrebbero teoricamente potuto raccogliere anche maggiori consensi della mozione “Vaglio”, promotrice della svolta autoritaria culminata in questo biennio scellerato.
A questo scenario si aggiunga l’integrazione dell’Ordine del Giorno congressuale, approvata dall’Organismo Congressuale Forense dopo il termine di scadenza per la presentazione delle mozioni. Insomma, rispetto alle previsioni originali avremo un Congresso con tematiche “nuove”, ma senza che nessuno abbia potuto presentare mozioni pertinenti, salvo che lo abbia fatto “confidando” (naturalmente carico di speranza e di fede), in un ampliamento postumo del “thema decidendum”.
Insomma, per farla breve, una situazione in cui dominano opacità, caos, imperizia ed incertezza. Una situazione che non invoglia a sperare in niente di buono per gli avvocati italiani, che avrebbero bisogno di un governo forte, autorevole ed incisivo, ma restano in balia di guide deboli, assolutamente impotenti di fronte alla crisi che continua a martellare impietosa decine di migliaia di avvocati italiani.
Nonostante lo scenario si presenti a tinte fosche, non possiamo non concludere queste brevi riflessioni con una nota di ottimismo: la vicenda descritta tiene viva infatti una tradizione consolidata, per quel che attiene alle vicende politiche dell’avvocatura italiana. Almeno in questo, possiamo dire che le istituzioni forensi dimostrano una granitica coerenza: sempre inadatte alla bisogna, senza alcun cedimento al progresso. Non resta che complimentarsi e raccomandarsi a qualche benevola divinità, protettrice degli avvocati in difficoltà: anche stavolta credo che ne avremo estremo bisogno.
Avv. Salvatore Lucignano