La domanda non vuole riproporre la riflessione sulle possibilità del proletariato russo di riuscire a sovvertire il regime zarista. Si tratta di eventi di ben altra portata, lontanissimi dalle condizioni dell’avvocatura italiana. Nonostante questo, di fronte ad una crisi della professione forense che in Italia assume ogni giorno proporzioni più preoccupanti, sono in molti a rivolgere questa domanda a chi cerca di indicare soluzioni: “che fare?”
In un parallelo solo in parte serio, ma non per questo totalmente campato in aria, si può dunque partire dalla validità della domanda, per provare ad azzardare qualche risposta. I numeri dell’avvocatura parlano chiaro. NAD – Nuova Avvocatura Democratica, ha pubblicato in queste settimane molti documenti che fotografano una situazione difficile, lasciando poco spazio all’immaginazione.
La crisi reddituale ha scavato un solco che sta dividendo in modo sempre più drammatico gli avvocati che riescono a sopravvivere da quelli che oramai non ce la fanno più. Gli ideali, spesso pomposi e retorici, che hanno accompagnato gli ultimi anni di vita degli avvocati italiani, cedono il passo ad una situazione che non ammette repliche: la fame. E’ proprio questo dato, incontrovertibile, a scatenare furiose divisioni tra sostenitori di varie ricette. Purtroppo, stando sempre ai freddi numeri della rappresentatività, tutti i soggetti interni alla categoria, inclusi quelli che detengono il potere politico, non hanno saputo indicare alcuna soluzione capace di invertire la rotta.
NAD – Nuova Avvocatura Democratica ha scelto di combattere. Abbiamo indicato ai nostri colleghi un avversario: il regime dell’istituzionalizzazione forense. Abbiamo analizzato le possibili soluzioni alla crisi dell’avvocatura e siamo giunti ad una conclusione: oggi, la più grande divisione che impedisce un avanzamento nelle condizioni dei colleghi più deboli è rappresentata dalle condizioni e dall’operato degli avvocati istituzionalizzati, opposto e dannoso per tutti quanti gli altri. La politica istituzionale dell’avvocatura italiana ha scientemente deciso di aiutare per la casta forense: una ristretta cerchia di avvocati che, grazie alle connivenze con la politica, vendendo il futuro dei tanti “militi ignoti”, che ogni giorno tentano di sbarcare il lunario, utilizza la struttura istituzionale e politica interna alla professione per migliorare le proprie condizioni personali.In un tale contesto è normale che la maggioranza non organizzata, fuori dal “sistema”, debba interrogarsi sulle strategie capaci di ottenere provvedimenti in grado di uscire dalla crisi. Occorre però una consapevolezza: capire che il regime è l’unico vero nemico, che l’impegno e la militanza sono l’unica vera soluzione, che l’aggregazione in soggetti radicali, capaci di unire il movimentismo spontaneo degli scontenti all’elaborazione politica, è l’unica via per potersi riappropriare dei luoghi in cui attualmente si elaborano le scelte che inchiodano gli avvocati più giovani, le donne e i più deboli, al proprio destino di progressivo impoverimento.