Articolo del novembre 2014. Alcuni elementi del glossario della politica forense non hanno perso la propria connotazione anzi, l’hanno semmai rafforzata. L’esigenza di non dimenticare quanto scritto, anche al fine di valutare le contraddizioni e le evoluzioni del pensiero politico, è fondamentale per costruire una storia della categoria. L’archivio politico dell’avvocatura italiana è il grande assente dalla formazione dei giuristi di questo paese. NAD – Nuova Avvocatura Democratica si impegnerà perché un tale archivio venga creato ed arricchito, affinché il passato non sia un elemento dimenticato dal dibattito politico.
“Poiché la maledizione degli uomini è che essi dimenticano”
Avvocatura: le fondamenta di una forza possibile.
E’ difficile ragionare e scrivere di politica forense nell’attuale contesto, senza avvertire il disagio per un quadro che sembra condannare ogni azione all’autoreferenzialità, privandola di effetti concreti. Stamane i pensieri si affollano, in maniera caotica, e metterli in fila diventa un faticoso interpretare un cane che si morde la coda. Si perché esprimere è già essere parte e di parti, all’interno dell’avvocatura italiana, ce ne sono decisamente troppe.
Eppure gli avvocati italiani hanno bisogno di una politica che funzioni, perché negli ultimi anni non ne hanno saputa esprimere una che abbia ottenuto risultati. Il problema è naturalmente misurarsi con le domande successive, ovvero “come” ottenere risultati e quali risultati cercare di ottenere. Le posizioni sono davvero molteplici e ricondurle ad un rapporto coerente tra di loro è un compito non solo incerto negli esiti, ma che spesso appare persino velleitario, date le premesse.
Un aiuto in questa azione può derivare da una chiara ricerca di definizioni, che adoperino i concetti del nostro agire politico in modo produttivo. E’ quello che vorrei tentare di fare in questo breve documento, sperando di aggiungere un granello di sale alla discussione in atto tra gli avvocati italiani.
Unità.
Se ne discute, la si invoca, la si strumentalizza, ma la gran parte degli osservatori riconosce che senza posizioni unitarie, le istanze dell’avvocatura non possono avere la forza necessaria per imporsi. Il problema nasce nel momento in cui si analizzano i comportamenti di chi invoca l’unità, che non di rado sono contrari alla costruzione di sintesi unitarie, marcando in modo esasperato le identità, associative, ordinistiche o personali che siano, ovvero delegittimando gli strumenti a disposizione dell’avvocatura per esprimere posizioni politiche unitarie.
Pluralità.
E’ per questo che, prendendo spunto dalle riflessioni di qualche autorevole collega, non riesco più coniugare il concetto di unità in modo disgiunto da quello di pluralità. Mi appare evidente che l’avvocatura non può più trincerarsi dietro la ricerca dell’unità, se non riconosce che tale unità non potrà mai davvero esistere, senza il riconoscimento delle identità che la compongono. La scelta politica che abbiamo davanti riguarda la volontà di ricondurre le diverse identità in un contenitore politico unitario o continuare a farle remare in direzioni opposte tra di loro.
Attualmente l’avvocatura italiana è paragonabile ad un corpo composto di decine di migliaia di formiche, che cerchi di trascinare nel formicaio un grosso pezzo di cibo, ma è come se ciascun insetto tiri in una diversa direzione: il risultato è tantissima fatica sprecata e risultati zero. Basterebbe mettersi d’accordo sulla direzione in cui tirare e il cibo sarebbe presto messo in cambusa.
Avvocature.
Ecco che il discorso sul riconoscimento delle avvocature, diventa assolutamente condivisibile, se lo si osserva nella giusta prospettiva, ovvero ci si preoccupa di come ricondurre le diversità ad una logica di espressione politica unitaria e plurale, ma perde totalmente di senso se l’obiettivo dell’analisi è quello di impedire la sintesi delle parti.
Tempo.
Il tempo in politica è un elemento fondamentale. Il passato, il futuro e l’orizzonte temporale delle azioni, non possono mai essere estromessi dal dibattito. Di ciascuna scelta, di ogni singolo elemento o esponente politico, è fondamentale chiedersi quale sia la sua collocazione temporale. Da quanto tempo agisce, in quanto tempo intende ottenere risultati, quali siano stati detti risultati. Non esiste confronto politico se di ciascun elemento che compone la politica non è pubblica la sua contestualizzazione temporale. In questo senso l’avvocatura italiana non può più fare a meno di avere un archivio storico in cui far confluire documenti ed atti, in modo che i colleghi che intendano giudicare, possano conoscere.
Corporazione.
L’avvocatura è una classe, ma solo se facciamo dell’elemento comune, ovvero l’iscrizione dei singoli appartenenti agli albi degli Ordini circondariali, la cifra dell’unione tra gli avvocati. La presenza di più avvocature, sulla base di criteri reddituali, geografici, operativi, rende difficile che la classe agisca come una corporazione. Ciò in effetti non avviene, perché i vari gruppi di avvocati, tra loro divisi, tirano in direzioni opposte. Questo però non è il solo problema che riguarda l’atteggiamento corporativo della classe, una questione diversa e nuova è data dal rapporto tra corporazioni e società nell’Italia di oggi.
Io ritengo che un atteggiamento meramente corporativo non sia più in grado di garantire gli interessi delle classi che vogliano adottarlo, essendo chiaro che il paese non può più permettersi la contrapposizione tra e verso i gruppi antagonisti.
Etiche.
Discende da questa visione il superamento dell’etica solo corporativa, in favore della doppia etica, che deve fare di ogni soggetto e gruppo, il centro di istanze rivolte al paese, ma che tengano sempre assieme, negli obiettivi che si pongono, la risoluzione di questioni politiche particolari e generali. Il sindacalismo ed il corporativismo non hanno più nessuna speranza di costruire contesti in cui far prosperare le istanze particolari, perché distruggono il paese, lasciando i gruppi, frattanto diventati branchi affamati, a lottare per le briciole, tra le macerie.
Ruolo.
Il nuovo codice deontologico ha in parte accennato al problema, ma della questione si parla ancora poco, forse perché, come sempre accade in Italia, tutto ciò che non appare in possesso di immediate ricadute pratiche, viene considerato inutile. L’avvocato non può immaginare di operare senza adeguare il proprio ruolo alla contemporaneità. Questo riguarda non solo le funzioni operative che svolge, ma anche i principi etici e deontologici che deve porre alla base del suo agire. Non esiste più la possibilità di essere parte senza sentirsi parte del tutto. Senza valutare le connessioni tra parte e corpo sociale, l’avvocato contemporaneo non può operare, il suo agire diventa immorale, la sua operatività si avvita in spazi economicamente privi di sbocchi. In altri termini, o l’avvocato riesce a coniugare, nello svolgimento del suo ruolo, funzione di parte e sociale, oppure l’avvocatura muore,trascinando con sé gli avvocati che la compongono.
Sintesi.
Potrebbe dunque apparire scontato che sia la sintesi il mezzo per ottenere successi politici, eppure non lo è. Non è un caso infatti che la sintesi non sia ritenuta parte del merito delle questioni che affrontiamo, che non se ne riconosca il ruolo preminente all’interno delle soluzioni che indichiamo, con le conseguenze che ci sono ben note.
Quando l’avvocatura ragiona politicamente, al primo posto si dovrebbe mettere la necessità di arrivare ad una sintesi. Tutto ciò che si esprime senza avere l’obiettivo di sintetizzare è già in partenza destinato al fallimento.
Contenuti…
Si ma quando anche riuscissimo a superare lo stallo, a costruire sintesi, ad individuare soggetti unitari e plurali in cui far convergere energie, cosa dovremmo produrre?
La domanda può trovare una sola risposta: norme. L’avvocatura non può più fare a meno di produrre le proprie norme di riferimento e non solo e non tanto per offrirle alla politica, perché le adotti, quanto per costruire una coscienza politica di classe, per mettere ogni avvocato che voglia manifestare le proprie istanze nella condizione di ben operare, per tacitare coloro che, all’interno dell’avvocatura, prosperano in ruoli politici senza aver mai fatto politica in vita loro.
… e contenitori.
Perché si producano contenuti occorre costruire i contenitori, le strutture, i luoghi dai quali il processo di elaborazione può partire. Tenendo conto degli elementi già citati, non ci vuole molto ad immaginare quali caratteristiche debbano avere questi luoghi: essere aperti; avere obiettivi sintetici; proporsi l’elaborazione di atti normativi.
Mezzi.
I mezzi per ottenere sintesi, fusioni, percorsi costrittivi tesi alla creazione di oggetti unitari e funzionali sono di vario tipo e di nuovissima fattura. Molti di essi vanno ancora codificati, essendo figli della più attuale e recente contemporaneità, mentre alcuni necessitano della rivisitazione di concetti già affermati, patrimonio comune dell’agire politico.
Il primo mezzo è la regola. Senza regole ogni processo politico è caos. La regola deve essere interpretata in modo funzionale all’obiettivo, altrimenti diventa grida e perde di senso. L’effettività è un elemento che attiene al modo in cui ci si rapporta alla regola, ciò che non viene sentito non può essere vissuto. Occorre dunque che gli individui che credano al processo di fusione sintetica diano alle regole una forza che trascende dalla loro individualità. C’è bisogno di riconoscersi nell’alterità, esattamente come nella propria singolarità.
Leadership diffusa.
La soluzione per applicare questo schema pensiero esiste, si chiama leadership diffusa. Ciascun elemento della sintesi deve riconoscersi all’interno di un gruppo in cui vi sia assoluta fungibilità della rappresentatività. Il prodotto dell’elaborazione di gruppo deve essere spersonalizzato, anonimo, proprietà intellettuale comune. L’identità deve mettersi al servizio della norma o dell’analisi da pubblicare e la condizione essenziale perché il prodotto non sia commerciabile ad uso di una parte è che chiunque aderisca al contenuto dell’elaborato ne sia autore, padrone, proprietario.
Senza la proprietà comune dell’elaborazione di gruppo, anche la politica diventa merce di scambio, in chiave di posizionamento personale.
Internet.
C’è chi tenta ancora di parlare di internet come di un paria. I modi per farlo sono molteplici ma si riducono essenzialmente ad uno: distinzione tra virtualità e realtà.
Si tratta ovviamente di un’operazione priva di senso, che avrà spazio ancora al massimo per un paio di anni, dopodiché coloro che adottano questi argomenti verranno universalmente derisi. Internet è l’agorà contemporanea, ma mille volte più potente. Chi non è in internet, politicamente, semplicemente, non è.
Coordinamento.
Occorre dunque coordinare il lavoro quotidiano che si esprime sulle piattaforme digitali e farlo convergere in documenti che abbiano una collocazione riconoscibile e fruibile. Serve la costruzione di depositi di politica e di atti normativi, con insegne accattivanti. Perché tali luoghi siano appetibili occorrono adeguati testimonial, in termini di numero e riconoscibilità di custodi.
Imperio.
Non esiste struttura sociale e politica che non fondi la propria possibilità di agire su un riconoscimento volontario dei propri aderenti. Il dubbio iperbolico va bandito dalla sintesi. Il “mi chiedo perché mi chieda il perché del perché mi chiedo il perché” è onanismo intellettuale. Questa categoria di pensiero va certificata, brevettata ed utilizzata come marchio di infamia, per lanciare l’ostracismo verso i cincischiatori di professione, i perpetuatori di se stessi, i dubbiosi esistenziali, gli inerti, gli scoraggiatori, i piagnoni, i battenti, i simulanti, i parlatori e tutti gli altri soggetti che in vita loro non hanno mai scritto una norma, ma non fanno altro che parlare di quanto vorrebbero avere norme adeguate alla loro anima nobile.
Agire.
L’azione deve riconoscersi e riconoscere. Le parole e le analisi sono funzionali alla crescita e al confronto, ma sono gli atti che segnano il passo. Lo scritto diventa pietra angolare, la parola vola via con il vento. Critica mai disgiunta dalla produzione dell’atto teso al superamento del problema. Chi non è giurista taccia per sempre e venga emarginato dalla sintesi.
Scelte.
Di scelte da fare dunque ce ne sono moltissime. Riguardano gli uomini, i mezzi per votare, i meccanismi in cui confrontarsi, gli obiettivi da raggiungere, i gruppi da cementare e gli individui da scartare. Chi sceglie? I criteri e chi se ne fa interprete. Chi non riesce a riconoscere nell’altro l’interprete dei criteri della scelta non può stare in rapporto con l’alterità, non può essere elemento di sintesi unitaria, non può far parte del progetto. Scelta fondamentale è l’affrontare una parte e non il tutto. Limitarsi alla parte vuol dire riconoscere la vastità della contemporaneità. Mirare all’altro in ogni occasione è il modo migliore per non ottenere niente.