Torna l’appuntamento periodico con l’Avv. Salvatore Lucignano, per fare il punto della questione sui fatti recenti della vita politica forense.
Salvatore, ci rivediamo per parlare di eventi tragici per la professione forense. In questi giorni infatti abbiamo letto di avvocati imprigionati in Turchia, presi di mira da attentati in Pakistan e pochi giorni fa è avvenuto l’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso, in Calabria. Cosa sta succedendo?
Trovare un filo comune, che consenta di dare una chiave di lettura unica ai fatti che hai citato, non è semplice. In Turchia la repressione verso l’avvocatura è stata la risposta di un regime autoritario, determinato a restringere la difesa dei diritti dei cittadini. In Pakistan sono stati colpiti avvocati e giornalisti, per ragioni simili, ma con modalità del tutto diverse. In quel caso si è trattata di un’azione terroristica. Sull’omicidio del collega Pagliuso invece, ho mantenuto e mantengo un atteggiamento di stretto riserbo. Trovo irrispettoso, in primo luogo verso la memoria del collega, avanzare ipotesi fondate su pettegolezzi o pregiudizi, che diano un senso a questa morte, in assenza di ogni elemento ufficiale che dica perché il killer ha compiuto questo gesto barbaro. L’unica cosa che posso dire è che è stato ucciso un avvocato e lo Stato ha il dovere di perseguire il responsabile di questo orrendo crimine, assicurandolo alla giustizia e facendo piena luce sull’accaduto. Le speculazioni sulle vittime sono uno dei mali della società italiana, e proprio perché sono un avvocato, ritengo doveroso sottrarmi a questo fenomeno, che personalmente mi ripugna.
Capisco cosa intendi. Torniamo dunque ai fatti che hanno spiegazioni evidenti, ovvero la repressione e gli attacchi all’avvocatura nel resto del mondo. Ciò conferma che gli avvocati siano visti come un elemento di disturbo da chi ambisce ad instaurare sistemi politici autoritari ed illiberali, sei d’accordo?
Assolutamente. Abbiamo apprezzato il ruolo che gli avvocati liberi hanno avuto all’interno delle sollevazioni definite “primavera araba”. In Turchia l’avvocatura resiste alle sopraffazioni di Erdogan, difendendo i diritti delle minoranze oppresse e dei cittadini ristretti nelle proprie libertà. Ovunque ci sia bisogno di combattere contro sopraffazione, abusi di potere, arbitrio dei governi nei confronti dei cittadini, un avvocato deve agire, in difesa dei più deboli. Aiutare i deboli ad ottenere giustizia è parte della missione laica che un vero avvocato dovrebbe sempre sentire, come imperativo categorico, nel corso della propria vita professionale. E’ evidente che lì dove questa attività contrasta regimi autoritari o frange terroristiche che mirano a reprimere la libertà, gli avvocati siano presi di mira.
Cosa può fare l’avvocatura italiana per aiutare i colleghi che vivono situazioni difficili, con persecuzioni ancora in atto: penso soprattutto alla Turchia?
In primo luogo, astenersi dalla retorica. A Napoli l’Avvocato Ciro Sasso, di cui mi onoro di essere amico, ha richiesto al nostro Consiglio dell’Ordine di poter far parte di una delegazione inviata in Turchia, a sostegno concreto dei colleghi oppressi. Si tratta di una scelta rischiosa, ma che dimostra il valore dell’uomo e dell’avvocato. Trovo profondamente triste il sostegno di facciata, i proclami di solidarietà pelosa, che spesso servono a generare riti di assoluzione di massa, lasciando tutti al caldo e al coperto, senza muovere un dito. In Turchia occorre la presenza e la pressione di cittadini stranieri, anche avvocati, che stiano fisicamente vicino ai colleghi, cercando così di proteggerli. E’ ovvio che il regime avrà maggiori difficoltà ad imprigionare e torturare avvocati o semplici cittadini, se la comunità internazione sarà vigile ed opporrà resistenza in loco.
Quale esito ha avuto la richiesta di questo tuo coraggioso collega e ti risultano iniziative simili da parte dell’avvocatura italiana?
Purtroppo in Italia ad agosto i guerriglieri della libertà si ritemprano delle proprie fatiche e dunque non posso dirti quale esito abbia avuto la richiesta del collega Sasso. Non mi risultano iniziative analoghe promosse dall’avvocatura italiana. Parole si, tantissime, comunicati a iosa, e richieste – che ritengo ridicole – di far intervenire qualche collega turco al Congresso Nazionale dell’Avvocatura italiana, che si terrà ad ottobre.
Perché sei così critico con questa proposta? Non credi che la presenza degli avvocati turchi in Italia possa aiutarli a dare rilevanza alla situazione di persecuzione vissuta nel proprio paese?
Il Congresso dell’avvocatura italiana deve affrontare i problemi dell’avvocatura italiana, che sono enormi. La presenza dei colleghi turchi servirebbe unicamente ad impedire il confronto, verrebbe usata dalle istituzioni forensi e dai promotori dell’invito per ammantarsi di un’aura di santità, che è quanto di più lontano ci possa essere dalla nostra realtà. Io rappresento un’avvocatura che è stufa di retorica istituzionale. Chi mi rappresenta è Ciro Sasso, un avvocato che è pronto a rischiare in proprio per i colleghi turchi, e non certo chi invece pensa di sfruttarli per evitare di rendere conto delle proprie gravi responsabilità verso gli avvocati italiani.
Sei sempre molto critico verso le istituzioni forensi italiane. Non credi che in momenti come questi, una professione che voglia apparire forte debba saper mettere da parte i contrasti interni, e mostrare unità?
Se mi consenti, e senza il minimo intento polemico, credo esattamente il contrario. In Italia la professione forense, a detta di molti, vive il proprio momento peggiore. I responsabili del degrado morale e professionale vissuto dalla nostra classe hanno nomi e cognomi, sono persone che conosciamo tutti. Non possiamo pensare di risolvere i problemi e ridare dignità all’avvocatura se non affrontiamo i nodi che ce lo impediscono ed individuiamo ed allontaniamo i responsabili del degrado. “Unità” è la parola più abusata all’interno dell’avvocatura italiana. Si invoca “unità” a tutto spiano, solo per poter continuare a fare i propri comodi. L’unità si costruisce, realizzando istituzioni credibili e rappresentative della gran parte dei consociati. Quando chi la invoca è il capo di una cricca, che agisce per la tutela degli interessi di pochi, si fa strame di questa bella parola, che diventa il paravento ipocrita dietro cui tentare di nascondere gli abusi dei padroni.
In conclusione, non credo che al Congresso tu parlerai della Turchia e del Pakistan: giusto?
Esattamente. Un avvocato dimostra il proprio coraggio affrontando problemi concreti, ed anche in Italia, gli avvocati che si battono per una professione libera, rinnovata e democratica, rischiano sulla propria pelle, anche se i cittadini non lo sanno. Io sono un avvocato: la retorica la lascio ad altri, per me tengo le battaglie che riguardano gli avvocati italiani.