AUTODICHIA E INDIPENDENZA DEL CNF IN MATERIA ELETTORALE.

29 Novembre, 2016 | Autore : |

 

 

Sono trascorsi quasi due anni dal deposito del ricorso di alcuni avvocati del foro di Potenza contro le elezioni del locale consiglio dell’ordine e il Consiglio nazionale forense (a cui la legge professionale affida l’autodichia in materia elettorale) non si è ancora pronunciato.

Il procedimento, avviato nel febbraio 2015, ha subito vari rinvii, essendosi rappresentata, da parte dell’organo giudicante, la necessità di attendere la decisione del Consiglio di Stato sulla legittimità del D.M. 10-11-2014 n. 170 (regolamento sulle modalità di elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi, a norma dell’articolo 28 della legge 31 dicembre 2012, n. 247), che era stato annullato dal T.A.R. del Lazio nel giugno dello stesso anno.

Infatti il Tribunale amministrativo capitolino, con le sentenze gemelle n. 8333 e 8334 del 13 giugno 2015, aveva accolto i ricorsi promossi da alcune associazioni forensi ed aveva sancito “l’illegittimità degli articoli 7 e 9 del regolamento ministeriale impugnato (DM 170/2014) nella parte in cui: a) consentono a ciascun elettore di esprimere un numero di preferenze pari al numero di candidati da eleggere; b) consentono la presentazione di liste che contengano un numero di candidati pari a quello dei consiglieri complessivamente da eleggere e c) prevedono che le schede elettorali contengano un numero di righe pari a quello dei componenti complessivi del consiglio da eleggere”.

Per la verità era stata appellata soltanto la prima delle due sentenze del T.A.R. del Lazio, con la conseguenza che la seconda era passata in giudicato dopo sei mei (precisamente, il 13 gennaio 2016, tenuto conto della sospensione feriale dei termini processuali).

Sta di fatto che il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3414 del 28 luglio 2016, ha confermato la pronuncia del T.A.R..

Sennonché a tutt’oggi il CNF non ha emesso il proprio verdetto, facendo assumere alla vicenda una connotazione marcatamente politica, piuttosto che di una mera controversia giurisdizionale.

A questo punto viene spontaneo chiedersi se abbia senso il mantenimento della cosiddetta “giurisdizione domestica”, in materia elettorale, in capo all’organo centrale degli ordini forensi (oggi sancita dall’art. 28 L.P.).

E’ noto che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 284 del 23-12-1986, ebbe a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’autodichia dei consigli nazionali degli ordini professionali (nella fattispecie si trattava del Consiglio nazionale dei geometri) in materia disciplinare.

In quella occasione la Corte analizzò la problematica dell’indipendenza dell’organo nazionale, che definì come “autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette ovvero indirette provenienti dall’autorità di governo o da qualsiasi altro soggetto”.

La Consulta ritenne, in primo luogo, conforme ai canoni costituzionali la composizione del collegio (formato da membri eletti, tra gli appartenenti alla stessa categoria professionale, dagli organi locali, i cui componenti erano a loro volta scelti da tutti gli iscritti secondo l’appartenenza al rispettivo albo provinciale) e affermò la compatibilità con la Costituzione del criterio elettivo di nomina del collegio giudicante (essendo, lo stesso, recepito persino dalla carta fondamentale, all’art. 106, secondo comma).

Neppure la possibilità di rielezione, secondo la Consulta, comportava un difetto d’indipendenza del consiglio nazionale, considerato che la rielezione dipende da tutti i consigli circoscrizionali e “quindi, in definitiva, anche se mediatamente, dall’intera categoria professionale, sicché il componente rieleggibile non è condizionato nell’esercizio delle sue funzioni da alcun altro soggetto, o gruppo di soggetti, ma deve necessariamente ispirare la sua condotta ai canoni di effettiva giustizia e di obbiettiva correttezza, così da procurarsi, come esige il principio democratico, la stima e la considerazione della maggioranza degli elettori”.

Secondo la Corte neppure la circostanza che i componenti del consiglio centrale appartenessero all’ordine di professionisti nei confronti dei quali lo stesso organo doveva esercitare le sue funzioni influiva sul requisito dell’indipendenza, essendo questo “il tratto caratteristico della c.d. giurisdizione professionale”, basata sulla partecipazione dei soggetti appartenenti alla categoria interessata, ritenuti idonei  al controllo, in sede giurisdizionale, del rispetto della regole di deontologia professionale da essi stessi elaborate.

Ancora, secondo la Corte, l’indipendenza dell’organo giudicante era garantita dal fatto che il giudizio si svolgesse dinanzi al consiglio nazionale “secondo il modello del processo civile, con l’intervento, a garanzia dell’osservanza della legge, del massimo esponente dell’ufficio del Pubblico Ministero, ossia del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione: il quale rimane però sempre distinto, com’è indispensabile, dall’organo giudicante”.

Né l’indipendenza, infine, era pregiudicata dalla circostanza che l’organo giudicante costituisse un collegio a composizione variabile, considerato che “la variabilità numerica, comunque la si consideri, non ha affatto l’idoneità a pregiudicare l’autonomo esercizio della giurisdizione, rimanendo inalterata la libertà di giudizio dei membri intervenuti”.

Questo l’opinamento della Corte in materia disciplinare.

Tanto premesso, possiamo ritenere valide le stesse coordinate concettuali quando si discute di autocrinia in materia elettorale?

A mio avviso la risposta è negativa, poiché proprio in questo ambito emerge in tutta evidenza il difetto d’indipendenza del CNF in sede giurisdizionale, poiché lo stesso è eletto (sarebbe meglio dire nominato, secondo il criptico sistema di cui all’art. 34 della legge professionale) dagli stessi organi (i consigli degli ordini) sulle cui elezioni è chiamato a decidere.

Non basta a superare il dubbio, a mio parere, l’applicazione della regola dell’astensione del consigliere nazionale espresso dal consiglio dell’ordine delle cui elezioni si tratta di decidere.

Infatti nella fattispecie il CNF è stato investito di molteplici ricorsi che riguardano la maggioranza dei consigli circondariali eletti nella consultazione del 2015; si è determinata, pertanto, la paradossale situazione in cui esso è chiamato a decidere sulla validità delle elezioni di tutti (o quasi) i COA nazionali, risultandone inevitabilmente condizionato, nel senso della “conservazione dell’esistente”.

Come può pensarsi che il CNF, legato al cordone ombelicale dei COA circondariali, di cui tutti i suoi membri sono emanazione, possa assolvere ad una funzione di giustizia in danno degli stessi soggetti che lo hanno espresso?

In conclusione, alla luce dell’esperienza concreta, ritengo auspicabile, de iure condendo, il superamento della regola, sancita dall’art. 28, comma 12, della legge professionale, secondo la quale “contro i risultati delle elezioni per il rinnovo del consiglio dell’ordine ciascun avvocato iscritto nell’albo può proporre reclamo al CNF entro dieci giorni dalla proclamazione”.

Se è chiaro che il legislatore, con l’istituzione della giurisdizione professionale, ha voluto salvaguardare l’autonomia dei consigli nazionali professionali, è necessario, però, che l’intento non si traduca in una denegata giustizia, in violazione dei principi cardinali di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione.

A mio parere non v’è alcuna ragione che giustifichi il mantenimento di una regola che sottrae al giudice naturale dell’amministrazione l’ambito di competenza che lo stesso saprebbe sicuramente esercitare in maniera più celere ed imparziale. Chi abbia un minimo di esperienza di giudizi elettorali sa che il giudice amministrativo decide simili controversie in pochi mesi.

Trattasi di una materia troppo delicata (per le sue forti implicazioni in tema di democraticità, di pluralismo e di parità di genere) per continuare ad essere affidata a chi non è in oggettivamente in grado di svolgere una funzione giurisdizionale nel senso più nobile del termine, non potendo “assicurare che l’attività giurisdizionale, nelle varie articolazioni, come la sua intrinseca essenza esige, sia esercitata senza inammissibili influenze esterne” (Corte Costituzionale, 23-12-1986 n. 284).

 

Donatello Genovese

Membro del Direttivo NAD

 

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