Ci siamo già concentrati sulle varie asimmetrie di potere che impediscono libere elezioni tra avvocati, in qualsiasi contesto, privilegiando in modo voluto ed assolutamente ingiusto l’esistente, l’istituzionalizzazione, con grave danno per qualsiasi alternativa democratica alla Cosa Nostra Forense. Non ritengo opportuno in questo articolo ritornare su molti concetti che ho già più volte proposto all’avvocatura italiana (con riscontri, anche sul piano strettamente culturale, quasi nulli). Penso che il sistema ordinistico abbia ampiamente dimostrato di essere costruito per perpetuare il suo dominio sulla professione forense italiana per molti anni, al netto di una forte e radicale alternativa politica, che attualmente non mi pare profilarsi, o di un salvifico intervento della Corte di Cassazione, capace di imporre un ricambio forzoso all’interno dei ruoli di potere della Cupola, consentendo così agli avvocati di operare quel cambiamento che la corruzione, la vigliaccheria, la cooptazione ed il voto di scambio non consentono di praticare.
Le elezioni che oppongono gli avvocati italiani sono ormai tutte politiche. L’assenza di sistemi elettorali legittimi, la mancata volontà di introdurre quozienti proporzionali e riconoscimento delle liste, come sommatorie di consensi capaci di distorcere la dialettica politica tra avvocati, sono state già ampiamente analizzate su queste pagine. Un elemento di novità nel dibattito può invece essere la riflessione che attiene alla mancata omogeneità dei collegi elettorali, che hanno dimensioni enormemente diverse tra loro, consentendo che l’avvocatura svolga competizioni in contesti drammaticamente diversi tra loro, inficiando enormemente il valore della rappresentatività ottenuta nelle diverse realtà territoriali. Gli effetti di una tale disomogeneità dei collegi elettorali generano meccanismi di adattamento dell’elettorato che non consentono di cogliere l’elemento unificante, sul piano nazionale, delle competizioni in cui sono impegnati gli avvocati. La corrispondenza dei collegi con i distretti di Corte d’Appello o con i singoli Fori, crea situazioni francamente imbarazzanti. Si pensi alle elezioni per i delegati congressuali, che vedono un singolo Foro, quello di Roma, che accoglie al suo interno circa un decimo della popolazione forense italiana, confrontato con collegi che a stento arrivano ad esprimere lo 0,5% della nostra categoria. Le campagne elettorali, il peso ed il valore specifico di un’elezione, finisce inevitabilmente per perdersi, tra localismi e frammentazione, ricadendo nella nota e mai abbastanza vituperata bulimia di rappresentanti, funzionale al regime dell’istituzionalizzazione, ma devastante per la legittimazione degli eletti.
Avere collegi che non ricalchino Fori o Distretti, costruiti in modo omogeneo dal punto di vista numerico, in riferimento all’elettorato attivo, consentirebbe di dare alle elezioni che si riferiscono ad organismi forensi nazionali una dimensione e valenza slegata dai singoli feudi, garantendo una propensione degli avvocati alla visione nazionale dei problemi e delle competizioni, consentendo di avere rappresentanti che debbano misurarsi con condizioni simili per affermarsi e possano così essere tutti più o meno ugualmente rappresentativi.
Avv. Salvatore Lucignano