Gli avvocati italiani vivono un deficit costante di rappresentatività, basato in gran parte su una diffusa mancanza di conoscenze in merito ai sistemi elettorali democratici.
Sembrerebbe un paradosso, ed in effetti a volte lo appare, ma tra gli avvocati italiani e la democrazia scorre una barriera che stenta a sollevarsi, un muro che non vuole saperne di cadere: l’incapacità di eleggere le proprie rappresentanze con sistemi di voto democratici.La crisi legata all’assenza di un regolamento capace di portare al rinnovamento dei Consigli Circondariali dell’Ordine di tutta Italia, cominciata nel 2014 con l’approvazione del famigerato “Sovietichellum” [1] e proseguita con il suo annullamento da parte del Tar Lazio [2] rappresenta una telenovela che ogni giorno si arricchisce di nuovi episodi, ma più che generare passione, tiene l’avvocatura italiana nello sconcerto e nel caos.
Ciò che però lascia sgomenti, non è solo che il vuoto regolamentarenon sia stato ancora colmato dal Ministro competente, quanto che le norme riconosciute illegittime, non risolvevano il problema alla base dell’impossibilità di ottenere elezioni democratiche: quello del coordinamento tra l’espressione delle preferenze multiple e del cosiddetto quoziente di lista. È una situazione per certi versi quasi grottesca, eppure pochissimi avvocati italiani se ne sono interessati, lasciando che una vicenda fondamentale perché si possa votare legalmente assuma quasi le vesti di convitato di pietra.
L’assenza del quoziente di lista comporta che le candidature che condividano i voti possano beneficiare di un effetto amplificato del consenso, e che i candidati cerchino disperatamente di farsi cooptare dalle liste più numerose e ricche di voti, per beneficiare di unmeccanismo di scambio che mortifica la libera espressione delle differenze programmatiche, e favorisce pratiche deteriori, lesive dei diritti della minoranza.
Quando i seggi di un organismo consiliare debbano assegnarsi sulla base di raggruppamenti dei candidati in lista ed espressione di preferenze multiple, l’assegnazione dei seggi spettanti a ciascun candidato non può che farsi con riferimento al quoziente ottenuto dalle liste in cui essi sono inseriti. Le preferenze espresse per le varie liste o candidature singole concorrenti determinano il numero di seggi spettanti a ciascuna lista, ed una volta determinata questa cifra elettorale, per ogni lista concorrono ai seggi, in proporzione ai voti raccolti, i candidati che hanno raccolto preferenze, fino adesaurimento del quoziente assegnato alla lista.
E’ l’unico modo per consentire al candidato più votato di una lista che raccolga meno consensi, di concorrere in modo effettivo con i candidati di una lista che abbia raccolto un gran numero di consensi. E’ evidente infatti che anche le cifre individuali dei candidati poco votati, ma espressione di una lista “forte”, saranno quasi sicuramente superiori alle cifre raggiunte dai candidati più votati di una lista “debole”, ma escludendo il quoziente di lista, i candidati che non accettino diaccordarsi e presentarsi con la maggioranza, resteranno sempre esclusi dalle assemblee elettive, ed il pluralismo verrà sempre di fatto impedito, relegando i gruppi minoritari ad una ingiusta sottorappresentazione.
C’è chi sostiene che la legge professionale forense, disponendo che risultino eletti i candidati che “riportano il maggior numero di voti” [3], impedisca l’adozione del quoziente di lista. In realtà la norma ha mero valore dispositivo, andando combinata con quanto previsto in precedenza dalla stessa legge [4]. Spetta al regolamento determinare i criteri che individuino “il maggior numero di voti” e l’unico modo di valutare il maggior numero di voti dei singoli candidati, se votati con preferenza multipla, conciliandolo con i principi base della democrazia rappresentativa, consiste nel valutarli secondo il concorso con i candidati della propria lista a cui spettino seggi.
Si tratta di principi quasi banali per chiunque conosca l’andamento delle elezioni svolte con preferenze multiple, ma tra gli avvocati italiani, si sa, ciò che è banalmente democratico è anche un perfetto sconosciuto.