L’uso delle parole, per chi di quell’uso vive, non può, né dee, essere puro esercizio retorico, trionfo della semiotica dell’apparenza. Le parole hanno tanto valore quanto più si riempono del loro contenuto semantico.
Non sfugge a questa regola generale l’uso della parola all’interno del dibattito politico ambito nel quale un richiamo contenutistico dovrebbe essere condizione legittimante di ogni azione.
Nell’ambito della politica forense, negli anni, si è affermato il concetto di radicalismo, ma, nella prassi, lo si è visto raramente coniugare in azione coerente ed, attorno allo stesso, si è ingenerata una evidente confusione.
L’autodefinirsi radicali, come ogni altra forma di autocertificazione, è operazione filosofica e politica inutile. È una delle grandi lezioni hegeliane: “Quel che nei miei libri c’è di me come persona, è falso”. È evidente come, in politica, qualsiasi forma di autocertificazione è del tutto irrilevante (“falso”, nel linguaggio di Hegel), la sola cosa che conta è il modo in cui struttura, teoricamente, nel metodo e nella prassi, l’essere radicale.
Lo stesso ragionamento vale per ogni altra definizione, ivi compresa quella sindacale.
Compito, quindi, dell’avvocatura politica che voglia essere riconosciuta realmente radicale e\o sindacale, è la propria strutturazione teorica e la conseguente coerente azione politica.
Nuova Avvocatura Democratica, in tal senso, ha scosso il paludato contesto nel quale ha cominciato ad operare attraverso alcune scelte di fondo che l’hanno, in parte, premiata.
In primo luogo, ha tracciato un un solco comunitarista opposto ad una visione monadista della professione di avvocato. È una sovrastruttura concettuale forte quella che vuole gli avvocati come soggetti caratterizzati da una forte pretesa dell’indipendenza del sé e, quindi, incapaci ed inadatti ad una azione politica sinceramente cooperativa e corporativa. Tanto è più forte questa sovrastruttura tanto è maggiore la debolezza della Classe come soggetto politico credibile. Tale vulnus concettuale è frutto della errata proiezione della tipicità della professione, che vede in Giudizio gli Avvocati tra loro antagonisti in difesa dell’interesse particolare del loro Cliente. Niente di più dannoso che il portare quell’antagonismo al di fuori dell’Arena nella quale è legittimo.
NAD, in tal senso, ha riportato al centro la comunità di Avvocati, concetto declinato in maniera radicale, ritenendo di doverlo portare, con metodo radicale, nel dibattito politico. Dalla comunità di professionisti liberi ed uguali, capaci di Cura dell’interesse collettivo oltre quello egoistico, deriva una politica altrettanto capace di guardare alla Classe com un corpus la cui salute è tale se tutti i suoi componenti sono messi in grado di uscire da qualsiasi forma di marginalizzazione.
In tal senso la battaglia previdenziale è esempio di coerenza tra impianto teorico e prassi politica. Oggi, grazie a NAD, la necessità di una contribuzione previdenziale legata al reddito effettivo del professionista è argomento dibattuto ed affermato.
Allo stesso modo è coerente, e necessario, lo sforzo teorico e pratico, di natura radicale perché non oggetto di negoziazione alcuna, di tutela del reddito degli Avvocati sia attraverso la normazione preventiva rispetto a fenomeni che non possono trovare impreparata l’Avvocatura (intelligenza artificiale, globalizzazione, trasformazione della professione in servizio legale, imprenditorializzazione della professione) sia attraverso proposte di sostegno del reddito (factoring sulle parcelle, assicurazioni per il pagamento dei compensi professionali, compensazione tra gratuito patrocinio e oneri previdenziali) sia, ancora, attraverso la pretesa di revisione dell’impianto della rappresentanza finalizzato alla costituzione di una Avvocatura politica fortemente rappresentativa, se occorra antagonista, ai tavoli sui quali si determinano i destini della stessa.
Ciò impone, in senso altrettanto radicale, il contrasto con ogni forma di insano traffico di voti sottostante le aggregazioni elettorali utili alla conservazione di antichi equilibri di potere nei COA e nelle altre istituzioni forensi. In tal senso la radicalità è evidentemente e necessariamente vincolata alla non accettazione di alcuna intelligenza con coloro che, da anni e per anni, occupano le poltrone apicali sfruttando la capacità clientelare dei singoli di spostare pacchetti di voti piuttosto che basandosi su un consenso, informato e consapevole, su programmi politici condivisi.
Il “Conoscere per deliberare” di enaudiana memoria è, in tal senso, il seme vero della radicalità di Nuova Avvocatura Democratica.