A distanza di un anno dalla mia prima lettera aperta alla Presidente di OUA, Mirella Casiello, in data 6 febbraio 2016 mi rivolgevo nuovamente a lei, pubblicamente, per segnalare il quadro, ormai totalmente deteriorato, all’interno dell’avvocatura italiana. Dopo quasi un anno quei momenti convulsi mi appaiono ancora come le ultime possibilità che una reazione del Congresso Nazionale e dei suoi 88 esponenti eletti nell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, avesse potuto trovare la forza, il coraggio e la dignità di reagire ad un’aggressione che non era e non è diretta unicamente verso il Congresso, ma mira a distruggere ogni forma di autonomia dell’avvocatura italiana dalle sue istituzioni, corrotte e mefitiche.
La lettera alla Presidente Casiello mostrava già la svolta autoritaria, anticipando gli eventi drammatici, ma non per questo meno grotteschi, che hanno caratterizzato il XXXIII Congresso Nazionale Forense. Lo strapotere del Consiglio Nazionale Forense, gli abusi, le appropriazioni arbitrarie di denaro appartenente agli avvocati, senza che tali atti trovassero da parte di OUA voci e reazioni che denunciassero alla società italiana i furti e il banchetto approntato in Via del Governo Vecchio; i voli pindarici del Presidente della Cassa Forense, impegnato in una lunga campagna elettorale, volta alla riconferma dei suoi privilegi, e intento ad ideare un editto ad personam, contro l’avvocato Salvatore Lucignano, colpevole di ribellarsi agli abusi della sua corte di vecchi approfittatori. Era l’editto delle oche giulive, con cui il Presidente Luciano invocava la mia “espulsione dal sistema”, pronunciato davanti alle starnazzanti, ma all’occasione silenti, rappresentanti femminili dei Comitati Pari Opportunità degli avvocati. Una circostanza beffarda e per questo ancora più difficile da omettere. Un editto che il regime ha poi lasciato cadere in una sorta di dimenticatoio, o almeno così parrebbe, ma che di certo io non ho dimenticato.
La distruzione di una rappresentanza politica democratica, affidata ai giovani, volta a costruire l’avvocatura in Italia, è stata diretta conseguenza dell’inadeguatezza di OUA e del Congresso Nazionale Forense. La platea di delegati pervenuti a Rimini, dal 6 all’8 ottobre 2016, ha dimostrato, nonostante fosse quasi incredibile aspettarselo, di essere composta da individui ancora più inetti, pavidi ed asserviti dei loro predecessori. Il trionfo della cupola ordinistica però è tutto autoreferenziale. La sensazione che vivo, da osservatore della storia e della cronaca dell’avvocatura italiana, è che nemmeno i padrini che siedono all’interno della cupola sappiano ormai come giustificare il loro strapotere. L’azione del regime dell’istituzionalizzazione forense è sempre più asfittica, la distanza tra vertici e base della categoria è sempre più palese, mentre l’incapacità culturale dei padroni della professione lascia un vuoto sconfinato, relegando 240 mila professionisti ad una assenza di personalità politica che nuoce gravemente alla giustizia ed al paese.
La resistenza non è messa meglio. Solo Nuova Avvocatura Democratica, con tutti i limiti dovuti alla novità del progetto, denuncia il regime e tenta di porre al centro della sua azione la distruzione della cupola. Il resto della professione forense è totalmente silente, invigliacchito, o connivente con il regime, comprato dalle prebende offerte dalle istituzioni forensi. La strategia dello scontro frontale, la disobbedienza civile e il sabotaggio del regime sono il risultato della morte di ogni possibilità di interlocuzione onorevole tra gli avvocati liberi e i padrini annidati nei Consigli dell’Ordine degli Avvocati di tutta Italia. Se vogliamo che in Italia nasca l’avvocatura, dobbiamo distruggere la cupola che attualmente la comanda, come “Cosa Nostra”. Lo scopo ultimo del regime, quello di sfruttare e cacciare gli avvocati più giovani e più deboli, quelli fuori dal “sistema”, dallo svolgimento della professione, è giunto nella sua fase di massima attuazione. Dobbiamo fare presto, per impedire la cancellazione della professione forense dal nostro paese.
Non abbiamo alternative.
Gentile Presidente
quando mi sono rivolto a Lei per la prima volta con una lettera aperta, Lei era stata da poco eletta alla Presidenza dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura. Ricordo molto bene la vicenda, gli attacchi da Lei subiti, la mia richiesta di avere verso di Lei, in questa nuova veste, un atteggiamento di incoraggiamento, di sostegno. Questo ci ha permesso di avere qualche scambio di idee sulla situazione dell’avvocatura italiana e sul suo incarico, ed io mi sono permesso di segnalarle alcuni aspetti, che a mio avviso, avrebbero dovuto caratterizzare il suo mandato. In particolare, le ho sempre manifestato l’idea che il suo non possa e non debba ridursi ad un ruolo di portavoce di decisioni assunte da altri. Non ho mai condiviso l’idea che Lei debba limitarsi, nell’espressione dei suoi pensieri politici, al contrario, le ho suggerito di tenere un rapporto quotidiano con gli avvocati che rappresenta, di tenere un vero e proprio diario, di aggiornare il sito internet dell’Organismo Unitario, di scrivere sui social network, di difendere la sua personale autonomia di pensiero e politica, di non sentirsi schiava di un assetto che le impedisse di agire come un vero leader politico. Il venir meno di determinate aspettative nei suoi confronti, ha compromesso i nostri rapporti personali, perché al tempo dell’attesa e del sostegno, è seguito, inevitabilmente quello della critica. Una critica aspra, spesso aiutata da immagini caricaturali e definizioni sarcastiche, ma sempre mirante a censurare la sua inazione politica, la sua incapacità di assumere un ruolo di leadership, la sua inerzia, di fronte ad eventi, di grande importanza, che pure in questi mesi stanno incidendo sulla vita dell’avvocatura italiana, in modo profondo, ed a mio parere, del tutto negativo.
A causa della sua inazione, altri soggetti, non qualificati, né mossi da intenzioni rispettose dei valori politici che dovrebbero guidare la nostra categoria, hanno invaso il campo, trasformando il perimetro dell’autonomia del Congresso Nazionale Forense in una terra di conquista. L’impressione, vista dal di fuori, è quella che la politica forense italiana sia divenuta per questi individui una carcassa da azzannare, e mi creda, ciò che traspare, agli occhi di molti suoi colleghi, è che questa aggressione sia guidata più dalla famelica frenesia degli squali, che dal tentativo di sopperire ad una sua mancanza. In questi giorni infatti, Sig.ra Presidente, per giustificare le continue invasioni di campo compiute, alcune “menti raffinatissime” stanno diffondendo tra i nostri colleghi la cosiddetta “teoria degli spazi vuoti”, l’idea che all’inerzia dell’Organismo che Lei rappresenta, e che presiede, si possa e si debba reagire con l’assunzione delle funzioni politiche, proprie di tale soggetto. E’ ovviamente un modo per “mascherare” o “cassare”, se mi consente due termini di cui vorrà cogliere la natura evocativa, l’abuso compiuto in danno dei nostri colleghi, un tentativo di nascondere il banchetto, che non regge, e che lei dovrebbe pubblicamente denunciare.
Sig.ra Presidente, nei giorni scorsi le sarà forse sfuggita, tra i suoi mille impegni, una sorta di scomunica, lanciata dal Presidente della nostra Cassa Previdenziale, nei confronti di quei colleghi additati come “critici distruttivi”: un atto assai grave, a maggior ragione per un avvocato, un gesto apparso a molti come il tentativo di difendere con la forza posizioni che non sono tutelate dal diritto. Al contrario, non credo che lei sia all’oscuro della recente vicenda che ha visto gli avvocati italiani vedersi imporre dal Consiglio Nazionale Forense la nascita di un quotidiano generalista, rispetto al quale, l’Organismo di cui Lei è chiamata ad essere “leader”, ha deliberato un chiaro atto d’accusa, rilevando la sua natura illegale, e chiedendo di sospendere l’iniziativa.
Ebbene, quanto accaduto dopo che l’Organismo Unitario ha deliberato, ha davvero dell’incredibile. Il Consiglio Nazionale Forense, non solo non ha degnato il suo operato, e quello dei suoi colleghi in OUA, della più piccola attenzione, ma a mezzo dell’Agorà degli Ordini, un consesso parimenti illegale ed abusivo, ha annunciato l’assunzione di proposte tese a divenire legge dello Stato. Siamo insomma di fronte ad un golpe in stile sudamericano, o meglio, vista la caratura dei personaggi che lo compiono, alla riproposizione in salsa forense di quel “vogliamo i colonnelli”, che tanto bene descrisse, grazie al genio del maestro Monicelli, l’autoritarismo e la cialtroneria di certi italiani.
Sig.ra Presidente, lei ha l’onore di rappresentare la massima autorità politica della nostra avvocatura. Il suo mandato verrà giudicato da decine di migliaia di professionisti, e solo questo la dovrebbe liberare di ogni paura, infondendole al contrario il coraggio di difendere i suoi colleghi dagli abusi padronali dei famelici squali che si avventano sui patrimoni gestiti. Quei patrimoni, esattamente come “lo spazio politico”, non sono né suoi né loro, appartengono a noi tutti, agli avvocati italiani, vanno difesi senza tentennamenti, se necessario con parole ed atti che rappresentino alle nostre istituzioni politiche ed alla società italiana, la gravità di certi abusi.
Sono mesi assai tristi per l’avvocatura fuori dal “sistema”, mi creda, Sig. ra Presidente. Qualche migliaio di avvocati ha infatti costruito questo “sistema”, un coacervo di clientelismo, voto di scambio, cooptazione di giovani vecchi, concessione di lustrini, prebende, utilità, mediate e dirette, legali ed illegali. Un insieme di piccoli feudi e piccoli mondi antichi che assume di rappresentare “tutti”, ma che non ci tiene affatto a farlo, bastandogli il sostegno dei propri accoliti, per la difesa di un potere sempre rivolto agli interessi dei padroni, dei vecchi, sempre volto a vessare e sfruttare i giovani colleghi e le nostre colleghe. Un “sistema”, che ricorda più la Camorra di Secondigliano che un luogo ideale di confronto tra giuristi.
Alcuni tra noi si stanno battendo, contro “il sistema”. Invochiamo invano il rispetto di quei pochissimi paletti che la nostra legge professionale impone, a difesa di democrazia, pluralismo, giustizia. Gli squali famelici, presi dalla frenesia del banchetto, fanno scempio persino di quelli, nel silenzio complice e colpevole di tutti gli appartenenti al “sistema”: Consiglieri e Commissari, scribacchini ed aspiranti giornalisti, intellettuali “dubbiosi” e membri di improbabili associazioni. Alcuni di noi si stanno battendo, ma abbiamo bisogno che Lei difenda queste battaglie, che l’Organismo da Lei presieduto le legittimi, anche al massimo livello istituzionale, che il terzo Stato, ovvero le decine di migliaia di suoi colleghi fuori dal “sistema”, non sia abbandonato alle proprie lotte contro un potere silente e sprezzante.
Mi auguro che Lei sappia trovare il coraggio e la forza di parlare, di denunciare, di costruire con l’azione un ricordo del suo mandato a cui i giovani colleghi che verranno possano guardare con rispetto. Me lo auguro per Lei, ma soprattutto, per l’avvocatura italiana.
Napoli, 06/02/2016
Un Avvocato.