Il progetto di costituzionalizzazione dell’Ordine Forense portato avanti dal Consiglio Nazionale Forense rientra in un percorso, cominciato con la furtiva approvazione della legge professionale forense, L. n. 247/2012, teso a conferire ancora più potere all’Ordine, inteso non nella sua squisita natura giuridica, ma nella ristretta accezione che comprende solo le istituzioni forensi apicali.
L’Ordine Forense è infatti composto dagli iscritti agli albi degli avvocati (cfr. art. 24 L. n. 247/2012), mentre le articolazioni istituzionali dell’Ordine, Ordini circondariali e Consiglio Nazionale Forense, costituiscono comunque una mera partizione del soggetto giuridico indicato dalla legge, che fa riferimento agli iscritti, agli avvocati. Può apparire un’osservazione di poco conto, ma è invece fondamentale per capire come l’istituzionalizzazione forense, ovvero il fenomeno dell’identificazione dell’Ordine con le sue istituzioni apicali, stia portando ad un assetto eversivo della professione forense, incompatibile con il riconoscimento di questo Ordine all’interno della Costituzione repubblicana.
Non è un caso che la nostra Costituzione menzioni più volte l’avvocato e non l’Ordine Forense, quale soggetto indispensabile alla piena attuazione dei principi repubblicani. Il fondamento principale di questa necessità risiede senza dubbio nell’art. 24 della Costituzione, laddove si rende indefettibile il diritto di difesa dell’individuo, cittadino e non cittadino. La Corte Costituzionale, sin dalle sue prime pronunce, ha chiarito che la portata dell’art. 24 Cost. va intesa come diritto inviolabile della persona e come diritto alla difesa tecnica.
“Per cogliere il significato e la portata del diritto della difesa, con tanta energia proclamato dalla Costituzione come inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, è necessario porre in relazione il diritto stesso con il riconoscimento del diritto, per ogni cittadino enunciato nella prima parte del medesimo art. 24, di potere agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. In questo modo si rende concreto e non soltanto apparente il diritto alla prestazione giurisdizionale, che è fondamentale in ogni ordinamento basato sulle esigenze indefettibili della giustizia e sui cardini dello Stato di diritto. II diritto della difesa, pertanto, intimamente legato alla esplicazione del potere giurisdizionale e alla possibilità di rimuovere le difficoltà di carattere economico che possono opporsi (come si è detto nel comma 3° dello stesso art. 24) al concreto esercizio del diritto medesimo, deve essere inteso come potestà effettiva della assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti” (C. cost. 8 marzo 1957, n. 46)
Non sembrano dunque sussistere dubbi sulla necessità dell’avvocato, quale elemento indispensabile alla realizzazione del pieno assetto costituzionale vigente. La figura dell’avvocato, nell’attuale quadro giuridico, appare dunque insopprimibile dall’Ordinamento italiano. Cosa si intende ottenere dunque, parlando di riconoscimento costituzionale dell’avvocatura? Il Consiglio Nazionale Forense intende davvero supplire ad una carenza, ad un vulnus del nostro Ordinamento? Non sembrerebbe. Il progetto di rafforzamento del ruolo dell’avvocato in Costituzione, così come annunciato e promulgato dal CNF, non attiene al riconoscimento dell’Ordine Forense all’interno della nostra Costituzione. Al contrario, la novella proposta dal CNF si compone di tre commi, da aggiungere ai primi due dell’art. 111 Cost., che hanno uno scopo diverso. Analizziamo dunque il merito di questa proposta, prima di fare alcune osservazioni preliminari e di metodo:
Proposta del CNF di art. 111 Cost. comma 3:
“Nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati. In casi straordinari, tassativamente previsti dalla legge, è possibile prescindere dal patrocinio dell’avvocato, a condizione che non sia pregiudicata l’effettività della tutela
giurisdizionale”
Proposta del CNF di art. 111 Cost. comma 4
“L’avvocato esercita la propria attività professionale in posizione di libertà e di indipendenza, nel rispetto delle norme di deontologia forense”
Proposta del CNF di art. 111 Cost. comma 5
“La funzione giurisdizionale sugli illeciti disciplinari dell’avvocato è esercitata da un organo esponenziale della categoria forense, eletto nelle forme e nei modi previsti dalla legge, che determina anche le sue altre attribuzioni. Contro le sue decisioni è ammesso il ricorso per cassazione”
Un’attenta lettura delle norme proposte consente di confermare le osservazioni già svolte. Il ruolo dell’Ordine Forense non viene incluso all’interno della Costituzione. Persino il comma quinto, teso a dare rilievo costituzionale ad un “organo esponenziale” dell’avvocatura, fa riferimento alla categoria forense e non all’Ordine Forense.
Scopo di questo articolo peraltro, non è quello di offrire un’analisi puntuale delle proposte del CNF, quanto quello di inserirle in un contesto di illegittimità ed inopportunità delle stesse, dato dall’assenza dell’Ordine Forense, quale elemento fondamentale sia dell’azione che dello scopo del progetto dell’istituzione più potente esistente nell’ambito dell’avvocatura italiana.
Concentriamo dunque la nostra attenzione sul comma 5 proposto dal CNF. Oltre all’assenza dell’Ordine Forense, in favore di una non meglio definita “categoria forense”, si nota la ricerca di una costituzionalizzazione dello strapotere del CNF stesso. Lo scopo primario del comma proposto infatti, tende a costituzionalizzare la coesistenza, in capo allo stesso organo, di funzioni di giudice disciplinare e di altre attribuzioni, previste per legge, ma menzionate in Costituzione. E’ indubbio che, se venisse approvato un simile articolo, la Costituzione italiana legittimerebbe la possibilità che l’organo che assume le funzioni giudicanti, all’interno dell’Ordine Forense, possa esprimere anche uno strapotere, in altri ambiti, non soggetto ad alcuna restrizione di rango costituzionale. Si giungerebbe, quasi sicuramente, ad una cristallizzazione delle norme di legge che oggi consentono al CNF di esondare da ogni ambito di continenza, funzionale ed operativa, assommando in sé funzioni di ogni tipo, con gravissima lesione delle prerogative costituzionalmente garantite all’avvocato.
Si torni infatti ad una lettura del comma 4 proposto dal CNF, ovvero la richiesta di costituzionalizzazione dei principi di libertà ed indipendenza che dovrebbero informare l’attività dell’avvocato. Oggi sia la libertà che l’indipendenza dell’avvocato è minata in primo luogo dall’Ordine Forense, che ha attribuito per legge e in dispregio di ogni principio costituzionale, un potere abnorme al Consiglio Nazionale Forense, che lede le prerogative costituzionalmente garantite all’avvocato. Il CNF infatti è organo che esercita arbitrariamente l’azione politica, che regolamenta la professione forense, che giudica i componenti dell’Ordine Forense e che pretende di limitarne l’espressione, sia politica sia di opinione, allorquando sottopone a procedimento disciplinare il diritto di critica e di lotta politica garantito dall’art. 21 della Costituzione italiana.
L’art. 21 Cost. recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Ciò significa che l’avvocato, al pari di chiunque, può criticare lo strapotere e l’arbitrio del CNF, contestando la natura non democratica dell’Ordine Forense, ma questo porta al paradosso, esso stesso antidemocratico, dell’apertura di procedimenti disciplinari a carico dell’avvocato stesso, che è costretto a subire disposizioni illiberali e contrarie ai principi della libertà e dell’indipendenza, volti a limitare la sua autonomia di pensiero e di critica e supportati dal potere del CNF di estromissione dell’avvocato dall’Ordine Forense, quando esercita le funzioni di giudice della disciplina.
Si tratta di un assetto inaccettabile, acuito nella sua gravità dalla totale libertà che il CNF ha assunto nel determinare, o farsi determinare, da una legislazione complice ed illiberale, le modalità elettive ed i requisiti di appartenenza all’organo apicale che oggi esercita il potere all’interno dell’Ordine Forense.
Non si può mancare di denunciare infatti che l’obbligo di iscrizione all’albo dei cosiddetti cassazionisti, ovvero all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, costituisca una illegittima compressione dei diritti di partecipazione dell’avvocato alla determinazione delle prerogative che riguardano l’Ordine Forense. Il paradosso antidemocratico di un CNF che chiede di essere indicato, seppure con la definizione edulcorata di “organo esponenziale della categoria forense” all’interno dell’ordinamento democratico, è integrato dall’assenza, all’interno dell’ordinamento dell’Ordine Forense, dell’avvocato. L’avvocato non può far parte dell’organo che decide ogni aspetto della sua vita professionale, ma subisce, senza possibilità di contribuire ad un diverso orientamento, ogni scelta di questo organo.
Si tratta di una lesione dei principi di rappresentanza democratica che l’Ordine Forense ripropone all’interno delle norme, parimenti illegittime ed incostituzionali, che regolano la rappresentanza interna alla Cassa di Previdenza Forense. Anche la Cassa infatti, non consente agli avvocati con meno di cinque anni di iscrizione all’Ente previdenziale, di concorrere alla determinazione dei propri orientamenti politici ed operativi. Ciò nonostante tali avvocati siano sottoposti alla potestà impositiva e regolamentare dell’Organo.
Insomma, l’avvocatura vive il paradosso della democrazia. Gli avvocati sono subordinati, messi in posizione di inaccettabile dipendenza e soggezione, da organi che assommano poteri immensi ed illegittimi, in violazione di tutti i principi di divisione dei poteri codificati dalle democrazie moderne, e tali organi, che tengono fuori gli avvocati dalla possibile determinazione delle proprie sorti, richiedono all’ordinamento giuridico italiano un riconoscimento costituzionale, che si asserisce dovrebbe servire a rafforzare la democrazia italiana. Più che un cane che si morde la coda: siamo in presenza di una sciarada, una vera operazione di mistificazione della realtà.
Completa l’analisi del paradosso di cui ci occupiamo l’analisi delle funzioni attribuite per legge al CNF, tra le quali, come è agevole notare, scorrendo in lettura l’art. 35 della L. n. 247/2012, manca del tutto quella di poter proporre autonomamente una modifica dell’assetto costituzionale italiano. Il CNF in pratica, non ha alcuna prerogativa autonoma in tal senso. Come abbiamo già fatto notare, l’unico elemento di proposta politica enunciato dalla legge, è contenuto nel comma q dell’art. 35, laddove si prevede che il CNF:
q) esprime, su richiesta del Ministro della giustizia, pareri su proposte e disegni di legge che, anche indirettamente, interessino la professione forense e l’amministrazione della giustizia.
La norma è chiarissima e non avrebbe bisogno di interpretazioni particolari per poter essere chiarita. Al CNF non è dato proporre leggi che interessino la professione forense, ma è concesso, su richiesta del Ministro della giustizia, di fornire pareri su proposte altrui.
La norma in oggetto è chiarissima: tendeva a preservare la funzione di proposta di legge che l’Ordinamento professionale italiano aveva concesso al Congresso Nazionale Forense, ai sensi dell’art. 39 della L. n. 247/2012.
Le iniziative arbitrarie del CNF, che in questi anni ha prima scavalcato il Congresso Nazionale Forense, esautorandolo poi del tutto, con la connivenza degli Ordini circondariali, realizzano oggi un assetto eversivo ed illegale, che consente al CNF stesso di proporre, in totale autonomia, leggi che si presentino come la manifestazione di volontà politica degli avvocati italiani. Tutto questo, in assenza di uno specifico mandato sul punto, che riconosca al CNF il ruolo di soggetto politico, tenuto ed abilitato a formulare tali proposte, in nome e per conto degli avvocati.
Questo elemento chiude il cerchio. La proposta di rafforzamento del ruolo dell’avvocato in Costituzione, così come enunciata e pubblicata dal Consiglio Nazionale Forense, se accolta, costituirebbe un’ulteriore ferita inferta dal legislatore all’indipendenza ed alla libertà degli avvocati italiani. E’ per questo che occorre battersi perché l’Ordine Forense venga radicalmente riformato, assumendo carattere democratico, prima di concedere al Consiglio Nazionale Forense ulteriori avalli in tema di strapotere e di arbitrio assoluto sulla vita, professionale e politica, di 242 mila professionisti.
Avv. Salvatore Lucignano