NAD è stata la sola associazione forense italiana ad esprimersi chiaramente sull’Ordinamento giudiziario, ormai ridotto a strumento a misura di malfattore. Nel momento in cui la bulimia e il boom speculativo in cui si è tuffata l’avvocatura di massa ha preso d’assalto il fenomeno giurisdizionale italico, lo Stato si è visto investito di una brama di fenomenologia giuridica di basso livello, un vero sistema di welfare antisociale, che ha tollerato, incoraggiato e tentato di sfruttare per arrivare ad una giustizia che si tenesse ben lontana dai potenti, dai padroni, dalle lobbies.
Il dramma è che questa operazione è riuscita. I numeri dell’avvocatura, più volte illustrati da NAD, raccontano la storia di una crescita smisurata del mondo che per anni ha ruotato attorno all’Italia da bere. Un mondo in cui gli avvocati, anche se oggi va di moda dimenticarlo, si sono arricchiti, senza quasi mai dover dare prova della benché minima superiorità, morale, culturale o intellettuale sul cittadino medio, relegato a ben altre prospettive reddituali rispetto ai professionisti delle trastole (termine che in napoletano indica le truffe, le cause false, spesso seriali e assai redditizie). I signori delle trastole hanno lavorato per anni a braccetto con il sottobosco di intrallazzieri che brulicava nei pressi dei gloriosi tribunali della Repubblica. La giustizia è diventata un fenomeno popolare.
Appare quasi grottesco parlare anche della giustizia come di un fenomeno di costume, ma la realtà è che l’evoluzione della società contemporanea ha inciso in questo settore dell’operatività umana non meno di quanto abbia fatto in altri campi, tra i più disparati. Abbiamo assistito alla morte della buona musica, alla trasformazione dello sport in business, al tramonto del cinema d’autore, al superamento della pornografia industriale, della privacy, del diritto d’autore e della pirateria di nicchia e ci siamo introdotti in un’era in cui anche la giustizia è diventata una sorta di show, uno spettacolo per famiglie, un pò commedia e un pò tragedia, a seconda delle circostanze.
Oggi che la bolla è esplosa, che attorno alla carcassa di una bulimia teatrante chiamata “giustizia” i corvi e i sopravvissuti, scheletrici, si affannano invano, per spolpare le ossa, ormai prive di carne, il Ministero della Giustizia rivela i dati terrificanti di un assalto alle briciole: oltre 60 mila domande per diventare magistrato onorario, a fronte di soli 400 posti disponibili. Sono i numeri della tragedia, di una fenomenologia del diritto che è morta, uccisa da palazzi di giustizia che cadono a pezzi, o sono invasi dai topi, da disservizi, angherie, rituali che sempre più si distanziano dalla giustezza, creando tonnellate di decisioni di giustizia palesemente ingiuste.
Abbiamo assaltato la diligenza, abbiamo lasciato che il settore della giustizia si sovraccaricasse di così tante scorie da assomigliare oggi ad una gigantesca discarica, a cielo aperto, in cui centinaia di migliaia di addetti, cancellieri, avvocati, faccendieri, procacciatori, tirocinanti, stagisti, vagano disperati, alla ricerca degli avanzi di un tempo che non c’è più.
Il disegno è compiuto, la profezia si è avverata ed il cerchio si è chiuso.
Ciò che occorreva alla mala politica era una giustizia che non riuscisse in alcun modo ad essere fattore di riequilibrio sociale tra potenti e poveri diavoli e in Italia questo obiettivo è stato raggiunto, oltre ogni aspettativa. L’arretramento dello Stato e dei valori costituzionalmente garantiti, o forse sarebbe meglio dire declamati, ha assunto negli anni l’aspetto di una rotta rovinosa, culminata nella recente riforma, ennesimo capolavoro del Ministro Andrea Orlando, uno dei personaggi più infausti che la storia della giustizia repubblicana avrà probabilmente modo di ricordare, che ha assegnato nuove e maggiori competenze ai Giudici di Pace. Si, proprio a loro, i gloriosi magistrati onorari, i presidi di legalità, gli avamposti della legalità e del diritto, opifici di sapienza, esempi di fortezza e temperanza, pietre angolari di ogni virtù teologale e cardinale.
I Giudici di Pace sono in realtà tutto meno che questo. Cottimisti del diritto, stretti in ambienti lavorativi indecorosi, a contatto con un’umanità ed una professionalità giuridica reietta, essi sono la frontiera sguarnita di una giustizia che ha ormai alzato bandiera bianca, lasciando ad altri settori della vita umana il compito di definire interessi e vertenze. Il disegno ha in sé qualcosa di tragico, ed al tempo stesso di sadico, contribuendo a realizzare, o per meglio dire a rinverdire, le nefaste forme di banalità del male che abbiamo già visto poter portare alle più grandi tragedie della civiltà. L’ingiustizia giudiziaria è stata dapprima perseguita, favorita, realizzata, i buchi in una rete strabica, i passaggi segreti per i mammasantissima sono stati dapprima invocati, poi biasimati, ed infine, quando nelle reti non erano rimasti che i neri, gli africani, i diseredati, i derelitti e gli sbandati, è avvenuta la santificazione del fallimento.
Lo Stato chiude i battenti, rinuncia ai tribunali, al rito, al processo di diritto e si consegna al fai da te, al facciamo come ci pare, al mettiamoci d’accordo, al “vabbè ma quante formalità“. Gli avvocati, rosi dai morsi di una brama di denaro che ormai non trova più sbocchi alle 242 mila fauci da sfamare, si sono riversati in questa goccia di elemosina, rappresentata dal concorso per 400 “posti”, con la stessa ottusa disperazione dei topi che seguirono il più famoso pifferaio che le fiabe ricordino.
I miti ricorrenti, i tributi di sangue, le leggende tramandate dai vegliardi nascosti nei boschi del nord Europa, continuano a lanciare echi sinistri verso la dissoluzione dell’individualità. I fotografi dell’esistente, monatti autoimmuni che scavano tra le proprie membra, in cerca di peste, non sanno più dove seppellire i cadaveri e molti sono già morti, anche se non lo sanno.
La qualità della giustizia garantita dal sistema Italia è passata dall’essere scadente al nutrirsi di rinunce. I cittadini comuni ormai non provano nemmeno più a far valere diritti o interessi, scoraggiati da una macchina che fa la felicità delle statistiche di “deflazione” pubblicate dal Sig. Orlando e dai suoi complici, ma che certificano il ritorno alla società dell’anarchia. Di questo passo il progresso coinciderà con il trionfo dell’old, wild west, con i giovani italiani armati di cinturoni e colt, pronti a sfidarsi a duello, in entusiasmanti gare di velocità nel fare fuoco, o nel resistere alle pretese ridicole di un fisco e di una previdenza dalle sembianze di vampiri.
Mi chiamavano Trinita-T
La ragione per cui decine di migliaia di avvocati provano a trovare un sostegno al reddito nell’esercizio delle funzioni “onorarie” connesse al ruolo di magistrato risiedono nella fame e nella possibilità di cumulare e amplificare espedienti, per mezzo dell’appartenenza ad entrambe le categorie, grazie all’intermediazione di prestanome e facenti funzioni. Il ridimensionamento forzoso della giustizia italica sta contribuendo a disegnare un paese in cui la ragione del diritto scompare, sostituita dalla pretesa del più forte, del più furbo, o semplicemente del più inserito nelle dinamiche della fortuna politica.
Un tempo avrei detto: “e i paperi? Niente… fanno solo QUA, QUA, QUA”.
Avv. Salvatore Lucignano