INAIL E DATORE DI LAVORO: DANNO DIFFERENZIALE, DANNO COMPLEMENTARE SISTEMA ATTUALE E PREVIGENTE AL 31.12.2018 dell’Avv. Luca Tortora
La sentenza della Corte di Cassazione n. 8580/2019 del 27.03.2019 interviene su tre questioni assai rilevanti per il risarcimento dei danni subiti dall’infortunato o dagli eredi dello stesso; a) la irretroattività dell’art. 1 comma 1126 della Legge n. 145 del 2018 che ha modificato gli articoli 10 e 11 del DPR n. 1124 del 1965; b) il danno differenziale alla luce della riforma e i criteri per calcolarlo; c) il riconoscimento del danno iure ereditatis come danno non patrimoniale e, quindi, non ricompreso nella rendita vitalizia riconosciuta dall’Inail.
Il quadro normativo in cui si colloca la sentenza è dato, innanzitutto, dall’art.10 del Dpr 30 giugno 1965 n.1124 così come modificato dalla legge di bilancio del 2018 – 30.12.2018 n. 145 che oggi così si legge: ” « Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell’indennita’ che a qualsiasi titolo e indistintamente per effetto del presente decreto è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”. La norma trova la sua ratio nell’intento di evitare una duplicazione delle somme liquidate all’infortunato o agli eredi del de cuius dall’Inail e dal datore di lavoro; il datore di lavoro, peraltro, in forza dell’art. 1 comma 1 resta esonerato in linea generale dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro ricadendo sullo stesso, in virtù dei commi 2,3,4 e 5 dello stesso articolo solo allorquando si sia in presenza di un fatto che costituisce illecito penale perseguibile d’ufficio, ritenuto tale anche in via incidentale in sede civile e solo per quei danni non liquidati e non liquidabili dall’Inail.
La Suprema Corte nella sentenza oggetto di commento applicando l’art. 11 delle preleggi ritiene la norma irretroattiva, e quindi, non la ritiene applicabile a quegli infortuni accaduti e denunciati anteriormente al 01 gennaio 2019 : “ Deve, quindi, affermarsi che le modifiche dell’art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dall’art. 1, comma 1126, della Legge n. 145 del 2018, non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima dell’1.1.2019, data di entrata in vigore della citata legge finanziaria; quindi la novella in esame non ha rilievo nel presente procedimento che ha ad oggetto una malattia professionale denunciata prima dell’entrata in vigore della legge n. 145 del 2018 “ (cfr. pag. 14 punto 60 della sentenza).
La collocazione temporale della riforma agli infortuni accaduti e denunciati dopo il primo gennaio del 2019 ha una notevole importanza sulla identificazione del concetto di danno differenziale e cioè su quello che è risarcibile dal datore di lavoro allorquando non è esclusa la sua responsabilità: “ Nel sistema vigente prima della legge finanziaria del 2019, il danno differenziale (cd. quantitativo per distinguerlo da quello qualitativo o complementare cfr Cass. N. 9166 del 2017), concepibile unicamente per il surplus di risarcimento dei medesimi pregiudizi oggetto di tutela indennitaria Inail e in presenza dei presupposti di esclusione dell’esoneri del datore di lavoro era calcolato, coerentemente alla struttura bipolare del danno – conseguenza, secondo un computo per poste omogenee, vale a dire che dalle singole componenti, patrimoniale e biologico, di danno civilistico spettante al lavoratore venivano detratte distintamente le indennità erogate dall’Inail per ciascuno dei suddetti pregiudizi “(pag. 11 n. 36); per chiarire il c.d. danno differenziale ante 2019 poteva calcolarsi considerando che la somma erogata dall’Inail poteva anche essere “scorporata” e solo quella corrisposta a titolo di danno biologico, sempreché fosse esaustiva comparandola alla somma da corrispondere in sede civilistica, non doveva essere risarcita anche dal datore di lavoro. Dal 01.01.2019 così più non è : “La legge n. 145 del 2018, art. 1, comma 1126, ha invece reso indifferente la natura (biologica o patrimoniale) delle voci del risarcimento del danno civilistico e dell’indennità Inail tra cui operare la detrazione ai fini del calcolo del danno differenziale; così ridefinendo il danno differenziale come il risultato ottenuto sottraendo dal risarcimento complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, “la indennità che, a qualsiasi titolo ed indistintamente è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”. L’obbligo risarcitorio del datore di lavoro, ove non operi l’esonero, comprende ora unicamente la parte che eccede tutte le indennità liquidate dall’Inail, ai sensi dell’art. 66 del T.U. e dell’art. 13 D.Lgs. n. 38 del 2000” (pag. 11 punto 39 della sentenza). In pratica per la stessa tipologia di danni intesa come categoria si deve operare una semplice sottrazione delle somme ricevute rispetto a quelle da ricevere dal datore di lavoro.
Restano esclusi da questi effetti della modifica normativa quei danni che non sono risarcibili dall’Inail ma pur sempre “civilistici” e che in presenza dell’esclusione dell’esonero devono pur sempre essere risarciti dal datore di lavoro, i c.d. danni complementari.
Nel caso di cui si occupa la Cassazione il danno iure hereditatis trasmissibile agli eredi è sia quello denominato danno biologico “terminale” che il danno morale “terminale, catastrofale o catastrofico”. Il secondo tipo di danno è ancora oggi risarcibile senza che la riforma abbia prodotto effetti trattandosi di un danno non patrimoniale e sicuramente non risarcibile dall’Inail; per il primo tipo di danno, invece, diversi saranno i criteri di determinazione e di calcolo alla luce delle osservazioni sopra effettuate e al riconoscimento della rendita vitalizia agli eredi; si può concludere che per gli incidenti avvenuti dal 01 gennaio 2019 la somma da corrispondere da parte del datore di lavoro sarà notevolmente inferiore al sistema previgente.
BUONA LETTURA
di seguito sentenza integrale:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27191/2015 proposto da:
CO.TRA.L., – COMPAGNIA TRASPORTI LAZIALI – SOCIETA’ REGIONALE S.P.A. (già LI.LA. S.P.A.) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE FLAMINIO N. 60, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PARAGALLO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
C.F., D.V.L., in proprio e quali eredi di D.V.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA AGRI 1, presso lo studio degli avvocati PASQUALE NAPPI, MASSIMO NAPPI, che li rappresentano e difendono;
– controricorrenti –
e contro
ATAC S.P.A. – AZIENDA PER LA MOBILITA’DI ROMA CAPITALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI ROGAZIONISTI N. 16 presso lo studio dell’Avvocato MARINA DI LUCCIO che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
D.V.U., D.V.S., D.V.R., in proprio e quali eredi di D.V.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 7017/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/11/2014 R.G.N. 4818/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/11/2018 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato FABRIZIO PARAGALLO;
udito l’Avvocato FRANCESCA CANGIANO per delega Avvocato MARINA DI LUCCIO;
udito l’Avvocato MASSIMO NAPPI.
1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 7017 depositata il 26.11.14, in riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato ATAC s.p.a. e CO.TRA.L. s.p.a., in solido, al risarcimento dei danni non patrimoniali domandati, iure proprio e iure hereditatis, dagli eredi del sig. D.V.A., deceduto per mesotelioma pleurico.
2. La Corte di merito ha riconosciuto la legittimazione passiva della CO.TRA.L. s.p.a., quale beneficiaria della scissione totale ai sensi dell’art. 2504 octies c.c., commi 2 e 3, applicabile ratione temporis, rilevando in fatto come il D.V. avesse lavorato dal 1963 al 1995 alle dipendenze del Consorzio Trasporti Pubblici Lazio (Cotral); che dopo il 1995 il Consorzio aveva subito una scissione totale mediante trasferimento del ramo d’azienda “trasporto extraurbano su gomma” alla costituenda società Linee Laziali s.p.a. (ora, a seguito di mutamenti di denominazione, CO.TRA.L. s.p.a.) e del ramo d’azienda “trasporto su ferro” alla costituenda società Metroferro s.p.a. (ora, a seguito di mutamenti di denominazione, ATAC s.p.a.).
3. La Corte territoriale, sulla base delle risultanze istruttorie e della consulenza tecnica svolta, ha ritenuto dimostrato il danno subito dal lavoratore, cioè la patologia di mesotelioma pleurico che ha causato il decesso, la nocività dell’ambiente di lavoro per l’esposizione del dipendente all’inalazione di fibre di amianto, il nesso causale tra tale condizione di nocività e l’evento morte, l’inadempimento datoriale all’obbligo di prevenzione sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite all’epoca.
4. Ha quantificato il danno non patrimoniale iure hereditatis applicando le tabelle per la liquidazione del danno biologico da invalidità permanente elaborate dal Tribunale di Roma e riferite all’anno 2014; ha riconosciuto una personalizzazione del danno, per le componenti di danno morale e danno da perdita della vita, nella misura del 50% ed ha parametrato l’importo così ottenuto ad un dodicesimo, in relazione all’intervallo di tempo intercorso tra la diagnosi della malattia e il decesso, pari ad un mese. Ha liquidato, secondo le medesime tabelle, il danno non patrimoniale iure proprio.
5. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione la CO.TRA.L. s.p.a., affidato a tre motivi, cui hanno resistito con controricorso ATAC s.p.a. e gli eredi del sig. D.V..
6. Tutte le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
1. Col primo motivo di ricorso CO.TRA.L. s.p.a. ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sugli effetti formatisi in base all’art. 416 c.p.c., comma 3, a fronte della mancata contestazione dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva; nonchè per violazione dell’art. 112 c.p.c. e violazione del regime di cui all’art. 416 c.p.c., comma 3.
2. Ha sostenuto come, a fronte dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva proposta dalla attuale ricorrente sia in primo grado e sia in appello, nessuna contestazione fosse stata mossa dalle controparti nella prima difesa utile, neanche sulla documentazione prodotta a sostegno dell’eccezione medesima, e come la Corte di merito avesse errato nel non trarre, da tale condotta processuale e dalla documentazione allegata, le dovute conseguenze quanto alla prova della titolarità del rapporto di lavoro del D.V., all’atto della scissione del Consorzio, unicamente in capo a Metroferro s.p.a., poi Met.Ro. s.p.a., ora ATAC s.p.a..
3. Col secondo motivo di ricorso la CO.TRA.L. s.p.a. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione, in sede di liquidazione del danno, degli artt. 2043, 2059, 2056, 1223 e 1226 c.c..
4. Ha censurato i criteri di liquidazione del danno iure proprio e iure hereditatis adottati dalla Corte d’appello a causa degli automatismi risarcitori, sganciati da specifiche ragioni di personalizzazione rispetto ai coefficienti standard; ha inoltre censurato la mancata utilizzazione, per la quantificazione del danno iure proprio, della tabelle milanesi, ritenute parametro di riferimento ai fini dell’art. 1226 c.c..
5. Col terzo motivo di ricorso la CO.TRA.L. s.p.a. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059 c.c., D.P.R. n. 1164 del 1965, art. 10 e del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, per non avere la Corte d’appello detratto dal danno biologico liquidato iure hereditatis la rendita riconosciuta e corrisposta dall’Inail alla vedova del sig. D.V..
6. Il primo motivo è infondato.
7. Risulta dalla sentenza impugnata come la chiamata in causa della CO.TRA.L. s.p.a. fosse stata autorizzata dal Tribunale su richiesta svolta da Met.Ro. s.p.a. (poi ATAC s.p.a.) nella memoria di costituzione in primo grado e sul rilievo che detta società fosse “successore del Consorzio Trasporti Pubblici Lazio – Cotral, per il quale il de cuius aveva prestato attività lavorativa”. La richiesta di Met.Ro. s.p.a. di chiamare in causa di CO.TRA.L. s.p.a. si fondava sul presupposto logico dell’essere quest’ultima società legittimata passiva rispetto alla domanda proposta dai ricorrenti (cfr. Cass., S.U., n. 23225 del 2016).
8. La tesi della società attuale ricorrente costituisce erronea applicazione del principio di non contestazione che governa il rito speciale del lavoro e, dopo la novella dell’art. 115 c.p.c., ad opera della L. n. 69 del 2009, art. 45, anche quello ordinario. Difatti, il dato della esistenza della legittimazione passiva della CO.TRA.L. s.p.a. costituiva fondamento della richiesta di chiamata in causa avanzata dalla Met.Ro. s.p.a. (ed includeva, logicamente, la contestazione dell’insussistenza della legittimazione passiva della società chiamata), sicchè la Met.Ro s.p.a. non aveva alcun onere di contestare le eccezioni e deduzioni sollevate sul punto dalla società terza chiamata. Occorre avere ben presente che l’operare del principio di non contestazione è volto a delimitare la materia controversa, che sarà oggetto di accertamento istruttorio, e a tale fine non è necessario che si contesti l’altrui contestazione. Questa Corte (sentenza n. 6183 del 2018) ha puntualizzato in proposito come “la contestazione da parte del convenuto dei fatti già affermati o già negati nell’atto introduttivo del giudizio non ribalta sull’attore l’onere di “contestare l’altrui contestazione”, dal momento che egli ha già esposto la propria posizione a riguardo”.
9. Inammissibile deve giudicarsi la censura, oggetto del primo motivo di ricorso, nella parte in cui investe la valutazione degli elementi probatori come compiuta dalla Corte di merito al fine di affermare la legittimazione passiva della CO.TRA.L. s.p.a., in quanto estranea all’ambito del dedotto error in procedendo e tale da confluire nel vizio motivazionale, nel caso di specie non dedotto e rispetto al quale difetterebbero i requisiti richiesti dal nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis (cfr. Cass., S.U. n. 8053 del 2014).
10. Il secondo motivo di ricorso è invece fondato quanto alla censura sul risarcimento del danno iure hereditatis.
11. Esclusa (Cass., S.U., n. 15350 del 2015) la risarcibilità iure hereditatis di un danno da perdita della vita, in ragione dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, questa Corte ha ritenuto configurabile e trasmissibile iure hereditatis il danno non patrimoniale nelle due componenti di danno biologico “terminale”, cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, configurabile in capo alla vittima nell’ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall’evento lesivo (Cass. n. 26727 del 2018; n. 21060 del 2016; n. 23183 del 2014; n. 22228 del 2014; n. 15491 del 2014) e di danno morale “terminale o catastrofale o catastrofico”, ossia del danno consistente nella sofferenza patita dalla vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita, quando vi sia la prova della sussistenza di un suo stato di coscienza nell’intervallo tra l’evento lesivo e la morte, con conseguente acquisizione di una pretesa risarcitoria trasmissibile agli eredi (Cass. n. 13537 del 2014; n. 7126 del 2013; n. 2564 del 2012).
12. Quanto ai criteri di liquidazione, si è specificato (cfr., oltre alla giurisprudenza già citata, Cass. n. 18163 del 2007; n. 1877 del 2006) che per la componente di danno biologico la liquidazione può ben essere effettuata sulla base delle tabelle relative all’invalidità temporanea, mentre per la seconda componente, avente natura peculiare, la liquidazione deve affidarsi ad un criterio equitativo puro – ancorchè sempre puntualmente correlato alle circostanze del caso concreto – che sappia tener conto della enormità del pregiudizio, atteso che la lesione è così elevata da non essere suscettibile di recupero e da esitare nella morte.
13. La Corte territoriale non si è attenuta ai principi appena richiamati in quanto ha liquidato la componente di danno biologico spettante iure hereditatis rapportandola non alla menomazione temporanea dell’integrità psicofisica patita dal D.V. per il periodo di tempo dalla diagnosi al decesso, bensì alla invalidità permanente totale del medesimo, come se quest’ultimo fosse sopravvissuto alla malattia per il tempo corrispondente alla sua ordinaria speranza di vita. In conformità alla giurisprudenza sopra richiamata, ed a cui si intende dare continuità, il danno biologico terminale, trasmissibile agli eredi, deve essere calcolato avendo riguardo alla condizione di invalidità temporanea sofferta nel periodo dalla diagnosi (o dall’evento lesivo) al decesso, con conseguente liquidazione secondo i criteri tabellari riferiti all’invalidità temporanea.
14. La censura, oggetto sempre del secondo motivo di ricorso, relativa alla liquidazione del danno iure proprio da perdita di un congiunto effettuata dalla Corte di merito senza esplicitare i criteri di personalizzazione rispetto al valore base delle tabelle milanesi, non può invece trovare accoglimento.
15. Questa Corte ha affermato che in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, la denuncia in sede di legittimità della violazione delle tabelle diffuse dal Tribunale di Milano ovvero dell’omesso esame di un fatto specializzante idoneo a giustificare uno scostamento dalle stesse è ammessa esclusivamente ove nel giudizio di merito la parte abbia prodotto tali tabelle (o, almeno, ne abbia allegato il contenuto) e posto la questione dell’applicazione dei relativi parametri (Cass. n. 27562 del 2017; n. 12397 del 2016; n. 24205 del 2014).
16. Nel caso di specie, la società ricorrente non ha in alcun modo allegato di aver sollevato la questione nei precedenti gradi di giudizio nè di aver prodotto le tabelle del Tribunale di Milano che ha invocato quale parametro di corretta valutazione equitativa, ai fini dell’art. 1226 c.c., rispetto a quelle di Tribunale di Roma in concreto utilizzate dalla Corte territoriale.
17. La censura risulta poi priva della necessaria specificità in quanto si limita genericamente a criticare l’entità del risarcimento riconosciuto nella sentenza impugnata rispetto ad una misura (Euro 163.990,00) di danno non patrimoniale da perdita del congiunto che la ricorrente assume posta dalle tabelle milanesi, e di cui non indica neanche la collocazione tra il minimo o il massimo ivi previsto.
18. Peraltro, questa Corte (Ord. n. 913 del 2018; n. 9950 del 2017) ha escluso che possa costituire violazione dei parametri di valutazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c., la liquidazione del danno non patrimoniale operata con riferimento a tabelle diverse da quelle elaborate dal Tribunale di Milano, qualora al danneggiato sia riconosciuto un importo corrispondente a quello risultante da queste ultime, restando irrilevante la mancanza di una loro diretta e formale applicazione. Difatti, l’esigenza di uniformità di trattamento nella liquidazione del danno non patrimoniale, se può ritenersi certamente garantita dal riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, ampiamente diffuso sul territorio nazionale ed a cui la Suprema Corte (Cass. n. 20895 del 2015; n. 4447 del 2014; n. 12408 del 2011), in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza in linea generale di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., tuttavia non può considerarsi automaticamente pregiudicata dall’utilizzo di differenti criteri tabellari, come nel caso di specie delle Tabelle del Tribunale di Roma, ove il giudice ritenga che ricorrano elementi di valutazione atti a giustificare l’abbandono delle tabelle milanesi e reputi congruo l’importo risarcitorio, anche in confronto al risultato ottenibile mediante applicazione di queste ultime.
19. Il terzo motivo di ricorso, con cui si è denunciata la mancata detrazione, dal danno non patrimoniale liquidato iure hereditatis, della rendita corrisposta dall’Inail alla vedova del sig. D.V., impone alcune considerazioni in ragione dello ius superveniens di cui alla L. 30 dicembre 2018, n. 145 (G.U. del 31.12.2018), intervenuta dopo la deliberazione in Camera di consiglio a seguito della pubblica udienza tenuta da questo collegio il 28.11.2018 e prima della pubblicazione della sentenza, che segna il momento di giuridica esistenza della stessa, (esclusi i casi in cui vi è obbligo di lettura del dispositivo in udienza; cfr. Cass. n. 26066 del 2014; n. 5855 del 2000; n. 14357 del 1999).
20. La L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1126 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), entrata in vigore l’1.1.2019, ha introdotto significative modifiche del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11.
21. Per effetto di tali modifiche, dell’art. 10 cit., commi 6, 7 e 8, risultano formulati nel modo seguente:
“Non si fa luogo a risarcimento qualora il giudice riconosca che questo complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo, non ascende a somma maggiore dell’indennità che a qualsiasi titolo ed indistintamente, per effetto del presente decreto, è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto.
Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e segg. e per le somme liquidate complessivamente ed a qualunque titolo a norma del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, comma 2, lett. a) e b).
Agli effetti dei precedenti commi 6 e 7, l’indennità d’infortunio è rappresentata dal valore capitale della rendita complessivamente liquidata, calcolato in base alle tabelle di cui all’art. 39, nonchè da ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo”.
22. L’art. 11 cit. è stato così modificato:
“L’istituto assicuratore deve pagare le indennità anche nei casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme a qualsiasi titolo pagate a titolo d’indennità e per le spese accessorie nei limiti del complessivo danno risarcibile contro le persone civilmente responsabili. La persona civilmente responsabile deve, altresì, versare all’Istituto assicuratore una somma corrispondente al valore capitale dell’ulteriore rendita a qualsiasi titolo dovuta, calcolato in base alle tabelle di cui all’art. 39 nonchè ad ogni altra indennità erogata a qualsiasi titolo.
La sentenza, che accerta la responsabilità civile a norma del precedente articolo, è sufficiente a costituire l’Istituto assicuratore in credito verso la persona civilmente responsabile per le somme indicate nel comma precedente.
Nella liquidazione dell’importo dovuto ai sensi dei commi precedenti, il giudice può procedere alla riduzione della somma tenendo conto della condotta precedente e successiva al verificarsi dell’evento lesivo e dell’adozione di efficaci misure per il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza sul lavoro. Le modalità di esecuzione dell’obbligazione possono essere definite tenendo conto del rapporto tra la somma dovuta e le risorse economiche del responsabile.
L’Istituto può, altresì, esercitare la stessa azione di regresso contro l’infortunato quando l’infortunio sia avvenuto per dolo del medesimo accertato con sentenza penale. Quando sia pronunciata la sentenza di non doversi procedere per morte dell’imputato o per amnistia, il dolo deve essere accertato nelle forme stabilite dal Codice di procedura civile”.
23. La L. n. 145 del 2018, ha inciso sui criteri di calcolo del danno cd. differenziale, modificando le voci da prendere in esame per determinare il quantum che, secondo il disposto dell’art. 10, comma 6, “ascende a somma maggiore dell’indennità liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”; correlativamente, è stato modificato il quantum di ciò che l’Istituto può pretendere in via di regresso nei confronti del responsabile civile. Sostanzialmente, la finanziaria del 2019 ha imposto, ai fini del calcolo del danno differenziale, l’adozione di un criterio di scomputo “per sommatoria” o “integrale”, anzichè “per poste”, con conseguente diritto di regresso dell’Istituto per “le somme a qualsiasi titolo pagate”.
24. Deve quindi affrontarsi la questione della applicabilità nel presente giudizio della nuova disciplina legislativa. Ciò richiede che si stabilisca, anzitutto, la natura interpretativa o innovativa dell’art. 1, comma 1126 cit..
25. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali irrisolti, ma anche “quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore” (Corte Cost. n. 525 del 2000; in senso conforme, sentenze n. 209 del 2010; n. 24 del 2009; n. 170 del 2008; n. 234 del 2007; n. 274 del 2006; n. 26 del 2003; n. 374 del 2002).
26. Al riguardo, deve sottolinearsi come l’attuale sistema indennitario Inali sia frutto di una complessa stratificazione, realizzata attraverso l’intervento sul testo originario di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, di decisioni della Corte Costituzionale (sentenze nn. 87, 356 e 485 del 1991) e di innovazioni normative attuate col D.Lgs. n. 38 del 2000, che ha immesso nella tutela indennitaria Inail una componente di danno biologico.
27. Da ciò consegue che la modifica apportata dalla L. n. 145 del 2018, sul calcolo del danno differenziale (secondo il criterio dello scomputo integrale anzichè per poste), in quanto presuppone il riconoscimento di una struttura bipolare del risarcimento del danno alla persona nelle sue componenti di danno patrimoniale e non patrimoniale, non può avere enucleato una variante di senso degli artt. 10 e 11 citati.
28. Un intervento normativo di interpretazione autentica non potrebbe neanche dirsi giustificato in ragioni di insanabili incertezze e contrasti interpretativi.
29. Deve, al contrario, darsi atto di un indirizzo giurisprudenziale assolutamente consolidato e costante, quanto meno a partire dal 2015 (Cass. n. 9166 del 2017; n. 22862 del 2016; n. 13222 del 2015), che, ribadito il fondamento costituzionale del risarcimento del danno biologico e della tutela indennitaria Inail rispettivamente negli artt. 32 e 38 Cost., con la connessa esigenza di protezione effettiva ed integrale della persona del lavoratore, ha delineato in modo univoco la nozione di danno differenziale e dettato puntuali criteri di calcolo dello stesso, accuratamente distinto dal danno cd. complementare.
30. La natura interpretativa dell’art. 1, comma 1126 cit. deve, infine, escludersi sia per l’assenza di una espressa autoqualificazione in tal senso di tale disposizione e sia per la tecnica legislativa adoperata, che non ha reso evidente un significato compatibile col testo del 1965 ma, al contrario, ha inserito nell’originaria formulazione previsioni atte a modificarne il contenuto, anche attraverso il richiamo all’autonomo testo normativo di cui al D.Lgs. n. 38 del 2000.
31. Poste tali premesse, l’analisi della questione di applicabilità o meno dell’art. 1, comma 1126 cit. ai giudizi pendenti deve essere svolta considerando quest’ultima disposizione come norma innovativa della disciplina dettata dal D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11.
32. La successione di norme giuridiche nel tempo è regolata nel nostro ordinamento dall’art. 11 preleggi, che fissa il principio di irretroattività.
33. Tale principio “comporta che la norma sopravvenuta è inapplicabile, oltre che ai rapporti giuridici già esauriti, anche a quelli ancora in vita alla data della sua entrata in vigore, ove tale applicazione si traduca nel disconoscimento di effetti già verificatisi ad opera del pregresso fatto generatore del rapporto, ovvero in una modifica della disciplina giuridica del fatto stesso”, (Cass. n. 3845 del 2017).
34. Si è precisato che, in virtù del principio dell’irretroattività, “la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso. Lo stesso principio comporta, invece, che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorchè conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore” (Cass. n. 4890 del 2019; n. 17866 del 2016; n. 16039 del 2016; n. 16620 del 2013; n. 16395 del 2007; n. 14073 del 2002; n. 2433 del 2000).
35. Posto che il danno, nella sua composita struttura, costituisce conseguenza dell’infortunio o della malattia professionale, e difatti il diritto al risarcimento sorge in connessione causale e temporale con la commissione dell’illecito, l’applicazione dell’art. 1, comma 1126 cit., ai giudizi in corso comporterebbe una modifica degli effetti ricollegabili agli infortuni o alle malattie professionali verificatisi o denunciati prima dell’entrata in vigore della stessa.
36. Nel sistema vigente prima della legge finanziaria del 2019, il danno differenziale (cd. quantitativo per distinguerlo da quello qualitativo o complementare, cfr. Cass. n. 9166 del 2017), concepibile unicamente per il surplus di risarcimento dei medesimi pregiudizi oggetto di tutela indennitaria Inail e in presenza dei presupposti di esclusione dell’esonero del datore di lavoro (“permane la responsabilità civile a carico di coloro che hanno riportato condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato…”, D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, comma 2), era calcolato, coerentemente alla struttura bipolare del danno-conseguenza, secondo un computo per poste omogenee, vale a dire che dalle singole componenti, patrimoniale e biologico, di danno civilistico spettante al lavoratore venivano detratte distintamente le indennità erogate dall’Inail per ciascuno dei suddetti pregiudizi.
37. Si è affermato, ad esempio, come dall’ammontare complessivo del danno biologico dovesse detrarsi non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, il danno biologico, con esclusione, invece, della quota rapportata (per menomazioni di grado pari o superiore al 16%) alla retribuzione ed alla capacità lavorativa dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale, (Cass. n. 20807 del 2016, n. 13222 del 2015).
38. Correlativamente, il diritto di regresso dell’Inail nei confronti del responsabile civile poteva esercitarsi, in presenza dei presupposti escludenti l’esonero, per le indennità erogate al lavoratore ma nei limiti delle somme versate dal datore in relazione al ristoro dei singoli pregiudizi.
39. La L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1126, ha invece reso indifferente la natura (biologica o patrimoniale) delle voci del risarcimento del danno civilistico e dell’indennità Inail tra cui operare la detrazione ai fini del calcolo del danno differenziale; così ridefinendo il danno differenziale come il risultato ottenuto sottraendo dal risarcimento “complessivamente calcolato per i pregiudizi oggetto di indennizzo”, la “indennità che, a qualsiasi titolo ed indistintamente… è liquidata all’infortunato o ai suoi aventi diritto”. L’obbligo risarcitorio del datore di lavoro, ove non operi l’esonero, comprende ora unicamente la parte che eccede tutte le indennità liquidate dall’Inail, ai sensi dell’art. 66 del T.U. e del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13.
40. La legge finanziaria del 2019, nel mutare i criteri di calcolo del danno differenziale rendendo indistinte le singole poste (di danno biologico e patrimoniale) oggetto specularmente di risarcimento civilistico e di tutela indennitaria Inail, ha direttamente inciso sul contenuto di danno differenziale, cioè sulle componenti dello stesso, con inevitabili ripercussioni sulla integralità del risarcimento del danno alla persona, principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. per tutte Cass., S.U., n. 26972 del 2008).
41. L’applicazione del citato art. 1, comma 1126 nei giudizi in corso determinerebbe, in base a quanto detto, il disconoscimento di effetti, riconducibili agli infortuni verificatisi e alle malattie denunciate prima dell’1.1.19, già prodotti dai suddetti fatti generatori e si porrebbe, quindi, in violazione del divieto di retroattività di cui all’art. 11 preleggi.
42. Non può validamente richiamarsi, a sostegno della retroattività, la giurisprudenza in materia di criteri generali equitativi di risarcimento del danno.
43. Questa Corte, a proposito delle tabelle di liquidazione dei danni non patrimoniali, ha affermato l’obbligo di utilizzare i parametri vigenti al momento della decisione, osservando come “la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c.” (Cass. n. 25485 del 2016; n. 7272 del 2012).
44. Nel caso in esame, non è questione di parametro equitativo per cui è ritenuto appropriato il riferimento all’attualità, ma di disposizioni di legge rispetto a cui opera il divieto di retroattività.
45. Peraltro, analizzando la L. n. 145 del 2018, dal punto di vista letterale, deve rilevarsi come non solo manchi qualsiasi statuizione espressa nel senso della retroattività, ma vi siano previsioni che depongono in senso contrario.
46. L’art. 1, comma 1126, stabilisce: “In relazione alla revisione delle tariffe operata ai sensi della L. 23 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 128, con decorrenza dal 1 gennaio 2019 e dei criteri di calcolo per l’elaborazione dei relativi tassi medi, sono apportate a decorrere da tale data le seguenti modificazioni”.
47. La data di decorrenza dall’1.1.2019 è espressamente indicata e ripetuta in riferimento sia alla revisione delle tariffe e dei criteri di calcolo per l’elaborazione dei relativi tassi medi e sia quanto alle modifiche apportate al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11, come peraltro specificato nella relazione alla legge di bilancio 2019 (Dossier 27.12.2018, vol. II, A.Euro 1334-B), con apposita sottolineatura (“Il comma 1126 prevede, con decorrenza dal 2019, alcune modifiche alla disciplina sulla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nonchè con riferimento ad alcuni settori, modifiche relative al livello dei premi Inail”).
48. L’applicabilità delle modifiche normative ai giudizi in corso risulterebbe distonica anche rispetto ai criteri di ragionevolezza e di interpretazione logico sistematica, in quanto, come emerge dallo stesso incipit del comma 1126 sopra riportato, la modifica dei criteri di calcolo del danno differenziale è stata adottata a fronte della revisione delle tariffe che opera con decorrenza dall’1.1.19.
49. E’ significativa la circolarità che la stessa legge di bilancio sembra tracciare tra la riduzione delle tariffe dovute dai datori di lavoro, la modifica del calcolo del danno differenziale spettante al lavoratore in modo da sottrarre le indennità a qualsiasi titolo versate dall’Inail e l’inclusione di tutte queste indennità nello spazio in cui può operare il diritto di regresso dell’Inail.
50. Posto che la riduzione delle tariffe decorre dall’1.1.19, sarebbe logico che le modifiche introdotte per calibrare i minori introiti dell’Istituto avessero medesima decorrenza e coinvolgessero le conseguenze di infortuni e malattie verificatisi o denunciati dopo la data suddetta.
51. La tesi di non applicabilità dell’art. 1, comma 1126 cit. ai giudizi pendenti appare la sola coerente con i principi desumibili dalla Carta costituzionale e dalla Carta Edu.
52. Infatti, sebbene il divieto di retroattività, che pure costituisce valore fondamentale di civiltà giuridica, non abbia tutela costituzionale se non in materia penale ai sensi dell’art. 25 Cost., il potere del legislatore di emanare norme con efficacia retroattiva, anche di interpretazione autentica, è stato riconosciuto “purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti – motivi imperativi di interesse generale -, ai sensi della CEDU (Corte Cost. n. 170 del 2013; n. 78 del 2012; nn. 93 e 41 del 2011).
53. La Corte Costituzionale ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali e di altri valori di civiltà giuridica, tra i quali sono ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (Corte Cost. n. 170 del 2013; n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010).
54. Del tutto affini sono i principi in tema di leggi retroattive sviluppati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in riferimento all’art. 6 della CEDU. 55. La Corte di Strasburgo, infatti, ha ripetutamente affermato, con specifico riguardo a leggi retroattive del nostro ordinamento, che in linea di principio non è vietato al potere legislativo di stabilire in materia civile una regolamentazione innovativa a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’art. 6 della CEDU, ostano, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (pronunce 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi contro Italia; Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino contro Italia). La Corte di Strasburgo ha altresì rimarcato che le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere intese in senso restrittivo (pronuncia 14 febbraio 2012, Arras contro Italia) e che il solo interesse finanziario dello Stato non consente di giustificare l’intervento retroattivo (pronunce 25 novembre 2010, Lilly France contro Francia; 21 giugno 2007, Scanner de l’Ouest Lyonnais contro Francia; 16 gennaio 2007, Chiesi S.A. contro Francia; 9 gennaio 2007, Amolin contro Francia; 11 aprile 2006, Cabourdin contro Francia). Viceversa, lo stato del giudizio e il grado di consolidamento dell’accertamento, l’imprevedibilità dell’intervento legislativo e la circostanza che lo Stato sia parte in senso stretto della controversia, sono tutti elementi considerati dalla Corte Europea per verificare se una legge retroattiva determini una violazione dell’art. 6 della CEDU: sentenze 27 maggio 2004, Ogis Institut Stanislas contro Francia; 26 ottobre 1997, Papageorgiou contro Grecia; 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society contro Regno Unito. Le sentenze da ultimo citate, pur non essendo direttamente rivolte all’Italia, contengono affermazioni generali, che la stessa Corte Europea ritiene applicabili oltre il caso specifico e che questa Corte considera vincolanti anche per l’ordinamento italiano, (Corte Cost. n. 170 del 2013 e altre ivi richiamate; cfr. anche Corte Cost. n. 12 del 2018; n. 127 del 2015; n. 303 del 2011; n. 24 del 2009).
56. La tutela dell’integrità psico-fisica dei lavoratori, suscettibile di dar luogo al risarcimento dei danni conseguenza secondo la modalità del danno biologico, (cfr. Cass., S.U., n. 26972 del 2008), elevata a diritto inviolabile ai sensi dell’art. 32 Cost., appare certamente idonea ad integrare i “principi costituzionali” ed i valori di civiltà giuridica che si pongono quale ostacolo all’efficacia retroattiva delle disposizioni in esame.
57. D’altra parte, fatta eccezione per le ipotesi di norme autoqualificatesi come retroattive e ritenute compatibili con i principi costituzionali e sovranazionali (cfr. Corte Cost. n. 303 del 2011; cfr. anche Cass. n. 12625 del 2006; n. 14357 del 1999; S.U. n. 494 del 1998, sui nuovi criteri di liquidazione del danno da occupazione appropriativa), la giurisprudenza di legittimità ha costantemente interpretato le leggi modificative dei criteri legali di quantificazione del danno come operanti in relazione a fatti generatori successivi all’entrata in vigore delle leggi stesse.
58. Ad esempio, le modifiche ai criteri di calcolo del danno da illegittima apposizione del termine ai contratti di lavoro, introdotte dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 28, in assenza di una espressa previsione di applicazione ai giudizi pendenti, sono state ritenute applicabili solo ai contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo, avendo carattere innovativo (Cass. n. 21069 del 2015). Nella sentenza n. 17866 del 2016 si è affermato: la nuova previsione… è applicabile solo ai fatti generatori della (nuova) responsabilità risarcitoria, successivi all’entrata in vigore della nuova disciplina, e quindi alle ipotesi di illegittima apposizione del termine verificatesi dopo tale data.
59. In senso analogo, la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 42, che ha modificato la L. n. 300 del 1970, art. 18, è stato considerato applicabile solo ai nuovi licenziamenti, ossia a quelli comunicati a partire dal 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della nuova disciplina, (Cass. n. 16265 del 2015).
60. Deve quindi affermarsi che le modifiche del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, introdotte dalla L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1126, non possono trovare applicazione in riferimento agli infortuni sul lavoro verificatisi e alle malattie professionali denunciate prima dell’1.1.2019, data di entrata in vigore della citata legge finanziaria; quindi la novella in esame non ha rilievo nel presente procedimento che ha ad oggetto una malattia professionale denunciata prima dell’entrata in vigore della L. n. 145 del 2018.
61. Il terzo motivo di ricorso, da esaminare secondo il testo previgente dell’art. 10, D.P.R. 1964, risulta infondato.
62. Il danno non patrimoniale spettante iure hereditatis non rientra tra le voci indennizzabili dall’Inail e si colloca, pertanto, tra i danni cd. complementari, rispetto ai quali non si pone un problema attinente ai criteri di scomputo; peraltro, la prestazione economica che la legge pone a carico dell’ente previdenziale in caso di morte del lavoratore assicurato, cioè la rendita in favore dei superstiti, costituisce risarcimento del danno patrimoniale subito in dipendenza della morte del congiunto (cfr. Cass. n. 6306 del 2017; n. 19560 del 2003), ed attiene quindi ad una voce eterogenea rispetto al danno non patrimoniale riconosciuto nel caso in esame iure hereditatis, come tale neanche astrattamente scomputabile secondo l’indirizzo consolidato sopra richiamato che esige, comunque, la omogeneità dei pregiudizi e delle corrispondenti poste.
63. Per tutte le considerarsi finora svolte, deve trovare accoglimento la censura oggetto del secondo motivo di ricorso, con rigetto dei residui motivi e censure. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad una nuova liquidazione del danno iure hereditatis, nella duplice componente di danno biologico terminale e di danno morale o catastrofale, conformandosi ai principi sopra enunciati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 11 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2019