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L’AVVOCATURA NON ESISTE E NON ESISTERA’ FINO A QUANDO NON SI SARA’ DOTATA DI UNA RAPPRESENTANZA POLITICA UNITARIA E DEMOCRATICA.
NAD ne è convinta: la rappresentanza dell’avvocatura non è “un non problema” o “uno dei problemi”, bensì è IL PROBLEMA dell’avvocatura italiana. Periodicamente il cretino di turno osserva che la rappresentanza degli avvocati non è il problema, che gli avvocati hanno “Benaltri” problemi, salvo poi non riuscire a spiegare la totale irrilevanza dell’avvocatura rispetto alla politica ed alla società italiana.
Quando il cretino di turno viene messo di fronte ad un dato incontestabile, ovvero che gli avvocati italiani, per PROPRIE colpe, vengono GIUSTAMENTE considerati dalla società italiana come una banda di musica, chiassosa ed ottusa, ecco che il cretino si ritira in buon ordine, senza poter opporre nulla al fatto, se non che… “se si facesse questo e quello” le cose sarebbero diverse.
Intendiamoci, se il cretino di turno fosse solo l’avvocato della strada, lo sprovveduto, la cosa non avrebbe peso politico. Il fatto grave è che questa bestialità sia condivisa da moltissimi avvocati che esercitano ruoli di rappresentanza, che la ripetono come un mantra, ad ogni occasione. Unità ed irrilevanza della rappresentanza: questi sono i cavalli di battaglia dei cretini che abbondano e prosperano all’interno della rappresentanza forense.
Ovviamente si tratta di una colossale idiozia. Gli avvocati italiani non hanno idea di come si faccia attività di lobbismo. Non è un caso se in Italia il concetto di lobby sia ancora estraneo alla democrazia e non è un caso che l’avvocatura italiana abbia affidato le sorti delle proprie rivendicazioni PRIVATE ad enti PUBBLICI NON ECONOMICI.
Riflettete un attimo: il Consiglio Nazionale Forense, ovvero la Cupola che comanda la “Cosa Nostra” dell’avvocatura (segnalo a M. D. F. per procedimento disciplinare, n.d.a.) è un ente pubblico, non privato. I Consigli dell’Ordine circondariale, parimenti, sono enti pubblici, non privati. Se gli avvocati italiani non fossero degli analfabeti della democrazia e del diritto, nessuno, ma proprio nessuno, avrebbe dubbi sul fatto che tali enti, istituiti per finalità CHIARE e disposte dalla legge, ovvero per la tutela di interessi PUBBLICI, non possano e non debbano esercitare alcun ruolo politico e/o sindacale.
Solo in Italia, in una categoria di analfabeti della politica del diritto, l’azione ambigua dell’Ordine Forense, che è censore e regolatore della professione ed allo stesso tempo pretende di agire da sindacalista dei professionisti, appare “normale”. In un paese davvero “normale”, questa commistione di interessi insanabilmente in contrasto avrebbe provocato insurrezioni, da parte della politica, del mondo accademico, della cittadinanza consapevole. Da noi no, tutto questo non accade, forse perché la società italiana preferisce deriderci ed ignorarci.
Abbiamo però la rappresentanza dell’Organismo Congressuale Forense, prevista dalla legge, il famigerato articolo 39… quella insulsa e demenziale norma, scritta con i piedi. Eh si, perché quella norma non ha generato alcuna potestà in capo all’Organismo, al Congresso Nazionale Forense, alla componente privata e lobbista dell’avvocatura.
Non poteva essere diversamente. Un’attività di rappresentanza unitaria, per essere seriamente presa in considerazione, deve basarsi su alcuni fattori, in assenza dei quali non può essere ritenuta credibile:
1. Basarsi su solidi fondamenti normativi, che ne prevedono la potestà e rappresentatività;
2. Poter agire come soggetto sovraordinato rispetto ai gruppi, associazioni, aggregazioni politiche potenzialmente portatrici di interessi e/o decisioni confliggenti con quelle assunte dall’Organismo rappresentativo per legge;
3. Avere una base democratica che disciplini l’Organismo rappresentativo per legge.
Se osserviamo il Congresso Nazionale Forense e lo confrontiamo con questi precetti, è facile osservare che nessuno di questi tre presupposti sia rispettato. Il Congresso Nazionale Forense:
1. Non ha una norma di riferimento che ne qualifichi la potestà politica, perché l’art. 39 della L. n. 247/2012 è totalmente insufficiente a chiarire questa volontà;
2. Non può agire come soggetto sovraordinato rispetto a tutti gli altri, perché sia il Consiglio Nazionale Forense, sia i Consigli dell’ Ordine circondariale, sia le associazioni forensi, fanno esattamente ciò che vogliono, infischiandosene di quanto deciso dal Congresso Nazionale;
3. Non è soggetto legittimo, in quanto non è eletto su base democratica e non agisce secondo un ordinamento regolamentato in modo democratico.
Come si può dunque pensare che l’avvocatura italiana possa essere presa sul serio dalla politica e dalla società del nostro paese, se nemmeno riesce a diventare un soggetto politico credibile al proprio interno? Come si può credere che associazioni definite “maggiormente rappresentative”, non siano tenute alla pubblicazione dei propri bilanci, alla messa online di un sito internet, all’esplicazione di un’attività politico forense interna al Congresso Nazionale? Non si può, vero? Si, non si può.
Avv. Salvatore Lucignano