IL CASO SANTONASTASO, OVVERO “QUEL FRAINTESO SENSO DEL DECORO”

1 Giugno, 2017 | Autore : |

 

 

 

Lo studio del presente articolo darà diritto a due crediti formativi in materia non obbligatoria.

 

In queste ore tiene banco la vicenda dell’Avv. Michele Santonastaso, ancora nel pieno delle prerogative che gli concede lo status di avvocato, nonostante gravi fatti di cronaca e condanne in giudizio, seppure non definitive, lo indichino come possibile elemento contiguo alla camorra dei cosiddetti “Casalesi”.

 

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/06/01/news/saviano_giustizia_da_incubo_e_la_lotta_alla_mafia_e_sparita_dalle_priorita_politiche_-166936360/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P7-S1.8-T1

 

 

Sollecitato da vari colleghi, esprimo alcune considerazioni sulla vicenda: va in primo luogo detto che in Italia la giustizia e la presunzione di innocenza hanno ormai definitivamente smarrito le ragioni per cui sono state concepite, all’interno dell’ordinamento repubblicano. La giustizia è ormai divenuta totalmente inefficiente, incapace di adeguare i giudizi e le sentenze, frutto dei processi, ai fatti, così come gli elementi di pubblico dominio e di solare evidenza li riconoscono.

Il corollario di questo scarto tra realtà e realtà giudizialmente accertata si riverbera nella beffa della presunzione di innocenza. Tale istituto, baluardo intangibile per qualsiasi individuo libero in un ordinamento che si rispetti, perde ogni suo connotato di nobiltà allorquando l’accertamento di una eventuale colpevolezza giunga a distanza di anni ed anni dai fatti da giudicare, consentendo il permanere di situazioni di tutela giuridica anche in capo a soggetti che la cronaca, a volte a torto, a volte a ragione, indica come colpevoli al di fuori di ogni ragionevole dubbio.

 

Tutto questo dovrebbe far interrogare un’avvocatura seria, non solo su come annullare lo scarto tra giustizia processuale e percezione della giustizia fattuale, ma anche su come proteggere la pubblica fede, nel caso di soggetti, appartenenti all’Ordine Forense, per i quali le circostanze di pubblico dominio rendano oggettivamente incompatibile la prosecuzione dell’attività forense, se non al prezzo di un gravissimo disdoro arrecato all’intera classe forense.

 

Un’avvocatura che voglia vantare il primato morale sulla società, dovrebbe preoccuparsi di essere e di apparire giusta, imparando a superare gli schemi arcaici che attribuiscono questa connotazione all’assenza di manifestazioni eclatanti, imparando a valutare con discernimento e buona fede quei fatti che, pur privi di esternazioni appariscenti, costituiscono elementi di estrema gravità nella valutazione della condotta di un avvocato.

 

L’avvocato Michele Santonastaso è sicuramente innocente di ogni addebito, fino a condanna definitiva. L’avvocato Michele Santonastaso, che esercita la professione forense, pur in presenza di condanne non definitive e di fatti di cronaca che lo vedono protagonista di minacce di stampo camorristico ai danni di giornalisti e magistrati da tempo impegnati nella lotta alla camorra, costituisce una gravissima ferita per la professione forense italiana e getta una luce sinistra sul sistema “deontologico” legato all’appartenenza all’Ordine Forense.

 

L’incapacità dell’avvocatura italiana di prevedere istituti e procedure capaci di mediare tra le contraddizioni di una giustizia sempre più ingiusta e di una cronaca, sempre più pervasiva, spietata e puntuale nell’indicare fatti che impongono un giudizio nel cittadino comune, è il vero elemento critico di questa ed altre centinaia di vicende.

L’avvocatura italiana persegue gli avvocati deboli, gli oppositori della politica impropriamente svolta dalle istituzioni forensi, che dovrebbero essere soggetti imparziali, equidistanti da ogni appartenente all’Ordine Forense, ma che invece sono consorterie private, che curano interessi di parte, nascondendoli dietro l’esercizio di funzioni pubbliche.

L’avvocatura italiana ha smarrito da decenni, se mai l’abbia avuta in passato, la capacità di discernere, giudicare, intervenire, contro i propri esponenti che notoriamente sono indicati e conosciuti, dalla cittadinanza e dai colleghi, come espressione di pratiche disonorevoli, sul piano deontologico e morale.

 

Tutto questo non si risolve con un diverso comportamento legato al caso “Santonastaso”, ma ricostruendo l’avvocatura dalle fondamenta, ritrovando la capacità di apparire ciò che realmente si è, restituendo all’Ordine Forense una natura elitaria, laddove per elite si intendano le indiscusse qualità morali, intellettuali ed umane dei propri appartenenti, che debbono necessariamente essere superiori a quelle dell’uomo medio, per incutere nell’uomo medio il rispetto che l’Ordine desidererebbe.

 

Perché si affronti questo processo di risanamento e palingenesi dell’avvocatura, purtroppo non basta agire nel caso Santonastaso. C’è bisogno che l’avvocatura rinunci ad essere massa e massificata, che le istituzioni forensi diventino l’espressione di un’autorevolezza conquistata con l’esempio e con il merito, abbandonando mediocrità ed autoritarismo, perché l’autoritarismo è il primo nemico dell’autorevolezza. Chi crede che il caso Santonastaso possa essere trattato come “il male”, e non come l’ennesimo sintomo del male, o è molto miope o è in totale mala fede.

 

 

 

In Italia si vive ormai da troppo tempo uno scarto incolmabile tra il decoro, l’apparenza, la retorica istituzionale che appartiene a vari mondi e praticamente a tutti i settori della vita, pubblica e privata, e la reale condizione della nostra società. Nessun inno nazionale, nessuna formula di giuramento, nessuna toga, cerimonia, targa commemorativa, può nascondere la realtà e quando la realtà è nefanda, la retorica auto assolutoria non fa che aumentare la rabbia e la sfiducia dei cittadini.

 

Ecco perché, se in Italia si vuole evitare che altri casi Santonastaso si verifichino, in ogni ambito della nostra società e non solo nell’avvocatura, occorre uccidere il decoro. Il decoro inteso come retorica del buon nome, come tutela dell’immagine, specchio ipocrita di sepolcri imbiancati. Non può esserci rispetto dove il trucco esteriore non coincide con la verità interiore, non può esserci autorevolezza senza verità e bellezza.

Se la nostra società e se la nostra avvocatura, non riusciranno a riscoprire il valore della bellezza della verità, quella distanza sempre più pronunciata tra il sentimento del popolo e la retorica delle istituzioni, lungi dal ridursi, continuerà ad accrescersi a dismisura.

Gli effetti di un così profondo scollamento tra ciò che realmente è, e ciò che si vorrebbe far credere che fosse, sono e saranno devastanti per la tenuta democratica della società italiana.

 

Avv. Salvatore Lucignano

 

CERCA