AVVOCATI E TEMPI NEL PROCESSO CIVILE

3 Dicembre, 2018 | Autore : |

“Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola, a lungo andare, è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte costituzionale.”

PIERO CALAMANDREI

 

La democrazia senza conoscenza è tutt’altro che la migliore delle forme di governo.

Nella menzogna prospera l’iniquo e leader diventa non chi è capace di dare soluzione ai problemi, ma chi è capace di rappresentare meglio la propria realtà di comodo.

La realtà percepita è quella che consegna la narrazione dei media che, con la sola scelta delle notizie da dare o non dare, plasmano l’immaginario collettivo orientandone le reazioni umorali.

Il contraddittorio è spesso simulato e circoscritto ad un ambito dato dove le posizioni degli interlocutori devono rispettare il copione utile alla conservazione degli interessi del sistema.

Relativamente alla rappresentazione della Giustizia in Italia, dalla fine degli anni sessanta, e con un’impennata nel passaggio tra la prima e la seconda repubblica conseguente il golpe giudiziario della procura milanese, si è assistito ad una epicizzazione della magistratura e una marginalizzazione dell’avvocatura. La narrazione di sistema ha voluto esaltare i primi come corpo paramonastico a tutela della Virtù ed i secondi come complici del malaffare o come componente parassitaria capace di vivere e proliferare ammalando la macchina processuale.

Nell’ambito penale, in questi giorni, si è toccato l’apice del processo descritto innalzando a salvatore della Patria Piercamillo D’Avigo, tra i protagonisti del golpe milanese, culturalmente giansenista e metodologicamente emulo di Torquemada. L’Avvocato difensore, in quest’ottica, è percepito come fastidioso comprimario da rintuzzare nel suo tentativo di sottrarre il sicuro colpevole dalla giusta punizione.

Nell’ambio civile, oggetto del presente ragionamento, si è assistito, invece, ad una normazione ossessivo compulsiva, fallimentare già nella formulazione, il cui disastro è stato imputato alla furbizia degli avvocati che speculerebbero sulla durata del processo a danno del cliente.

Allo scopo di non appesantire il presente ragionamento, nella convinzione che l’Avvocatura debba parlare alla gente destrutturando il linguaggio criptico col quale la si tiene nella necessaria ignoranza, non si useranno termini tecnici e si prenderà come riferimento il processo civile ordinario celebrato davanti al Tribunale in composizione monocratica(il Giudice che racchiude in sé la funzione di istruttore e la funzione di Giudicante), introdotto con citazione.

La narrazione tossica mediatica ritiene che i processi abbiano tempi lunghissimi di celebrazione a causa degli artifici posti in essere dagli avvocati. Si dimostrerà come gli stessi non abbiano nessuna possibilità di orientare i tempi processuali.

L’Avvocato, incaricato dal Cliente, esperiti i tentativi di soluzione stragiudiziale della controversia, cita la controparte davanti al Tribunale competente ad udienza fissa.

Iscritta la causa a ruolo, la stessa viene assegnata alla cognizione di un Giudice che, a sua volta, o conferma la data in citazione, o la differisce per questioni relative al Suo Ruolo.

Tra l”iscrizione a ruolo e la prima udienza devono, per legge, decorrere almeno 90 giorni, ma il prudente Avvocato, consapevole delle inefficienze degli uffici degli ufficiali giudiziari e, soprattutto, del ritardo col quale tornano le ricevute di ritorno delle notifiche postali, tende a porre, tra la data della notifica e la prima udienza, un tempo maggiore almeno di un terzo.

Riassumendo, da quando il cliente firma l’incarico all’avvocato alla celebrazione della prima udienza, passano, fatti salvi rinvii per esigenze del Giudicante, un centinaio di giorni (quindi poco più di tre mesi) tempo assolutamente non nella disponibilità del difensore.

Nella prima udienza il Giudice potrebbe già ritenere matura la causa per la decisione, laddove ritenga la stessa non necessitante di ulteriore istruttoria, o può ammettere/non ammettere la chiamata di altri soggetti in Giudizio differendo la prima udienza ad altra data. In ogni caso il rinvio non è nella disponibilità dell’Avvocato.

Laddove non vi sia motivo per chiamare terzi in causa, e la causa non sia ritenuta dal giudice matura per la decisione, ammessi i mezzi istruttori richiesti dalle parti, il Giudice rinvia ad altra udienza per espletarli.

Orbene, in questa fase si introduce la possibilità delle parti di richiedere un termine per la precisazione delle proprie domande e dei mezzi di prova richiesti per esigenze sopravvenute nel dibattito processuale. Tali attività si esauriscono con note spalmate in termini cadenzati in due mesi e venti giorni.

Il giudice all’atto della concessione, per rendere più celere il processo, potrebbe concedere i termini richiesti non fissando nuova udienza, provvedendo alla fissazione di quest’ultima sciogliendo la propria riserva sull’ammissione delle richieste così formulate. Nella realtà dei fatti, invece, è prassi comune che il Giudice rinvii ad altra udienza concedendo i termini richiesti ed all’udienza così fissata si riservi sull’ammissione dei mezzi istruttori richiesti ovvero li ammetta fissando una nuova udienza nella quale espletare tale attività.

È chiaro come in questa dinamica processuale la volontà dell’Avvocato mai possa incidere sui tempi del processo (tranne per i due mesi e venti giorni cadenzati dai tempi delle note) essendo gli stessi completamente nella disposizione del Giudice.

In questa fase quindi, ritenendo il processo “partito” con la citazione l’Avvocato è responsabile, a limite, in termini di tempo di due mesi e venti giorni (memorie richieste ex art. 183 VI comma c.p.c.). Ricordiamolo per il computo totale che faremo alla fine.

Anche nell’istruttoria l’Avvocato nulla può per dilatare i tempi processuali. È il giudice che ritiene quanti testi debbano essere escussi tra gli indicati, è il Giudice che ritiene necessaria o meno una consulenza tecnica richiesta, è il giudice a dettare i tempi della stessa e l’eventuale ammissibilità della richiesta di chiarimenti avanzata dalle parti. Se i testi non si presentano all’udienza fissata o se i consulenti ritardino il deposito dei propri elaborati peritali, non è questione nelle mani dell’Avvocato che, a limite, le subisce.

Esaurita, finalmente, la fase istruttoria, il Giudice rinvia ad altra udienza per la precisazione delle conclusioni. Anche in questo caso i tempi sono totalmente nelle sue mani.

Nell’ultima udienza gli Avvocati possono chiedere un termine per deposito di conclusionali e repliche che, in tutto, si esaurisce in 80 giorni. Sommando questi ultimi ai due mesi e venti giorni mesi precedenti, siamo a cinque mesi e dieci giorni i nel processo dipendenti da presunta strategia processuale del difensore.

È evidente come le sentenze che arrivino a 4-5 anni dalla prima udienza non abbiano nell’Avvocato un agente o una causa efficiente.

Vi è un altro aspetto, che verrà sviluppato in un prossimo articolo, relativo alla speculazione dell’Avvocato relativamente ai tempi della Giustizia e risponde alla più semplice delle domande: in cosa ci guadagnerebbe l’Avvocato allungando i tempi del processo? NULLA.

Il sistema di tariffazione vigente, infatti, si dipana, salvo i rari casi di diversa pattuizione tra le parti, attraverso la maturazione di un compenso che matura per fasi processuali. Fasi non tempi!

Se un processo dura 1, 2 o 10 anni nulla cambia in termini di compenso. Neanche rileva il numero delle udienze.

La prova della tetragona verità di quanto esposto, sta negli ostacoli posti dal sistema al risarcimento dovuto alle parti per l’irragionevole durata del processo, ma anche questa è una questione che affronteremo in prossimi scritti.

Il Re è nudo?

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