Artificial Intelligence: Robots, Avatars and the Demise of the Human Mediator
Ohio State Journal on Dispute Resolution, Vol. 25, No. 1, 2010
60 Pages Posted: 26 Aug 2009 Last revised: 22 Jun 2014
Date Written: February 26, 2010
Siamo nel 2010 e il saggio analizza la scomparsa del mediatore umano. Ripeto, non stiamo parlando di ridimensionamento, ma di scomparsa. Quando ho cominciato a parlare di civiltà degli avatar, riferendomi alla nascita di entità umanoidi, capaci di entrare in concorrenza sociale, economica, giuridica ed empatica con l’uomo, i colleghi in Italia mi guardavano come una sorta di bizzarro alieno, che si divertisse a scrivere di cose futuribili, ma di fatto estranee agli interessi della nostra categoria. Nel giro di un anno l’evoluzione della robotica applicata all’esercizio delle prestazioni legali ha assunto dimensioni mastodontiche. Gli investimenti in intelligenza artificiale applicata agli studi legali sono aumentati a dismisura, mentre sono sempre più numerosi gli studenti e i giuristi che si occupano di provare ad anticipare e definire i confini normativi dell’ormai ineliminabile interazione tra umani e umanoidi, che nei prossimi cinque o dieci anni dovranno convivere, in una società in cui i robot saranno entità autonome.
Visto lo scenario, sarebbe importante che la politica forense valorizzasse gli studi e i giuristi che operano nei settori più innovativi. Navigando all’interno del web mi sono imbattuto nel lavoro della European Association for Neuroscience and Law (EANL) e dell’ European Center for Law, Science and New Technologies. Si tratta di centri di ricerca che, a dispetto dei nomi inglesi, sono retti da studiosi italiani e fanno riferimento ad università italiane (Università di Pavia, per quel che riguarda l’European Center). Si tratta di avanguardie che sviluppano importanti attività di ricerca nel campo della robotica e del diritto. Non mi risulta che un solo avvocato italiano che faccia politica forense abbia mai citato un lavoro di questi centri, o si sia premurato di mostrare ai nostri colleghi l’importanza, ormai imprescindibile, degli studi che si rivolgono alle interazioni tra robotica e diritto. Ovviamente ho fatto solo qualche esempio, potrei far riferimento a molte altre figure italiane impegnate con profitto nello studio di queste tematiche e tutte risulterebbero più o meno estranee al dibattito politico forense che si svolge nelle nostre istituzioni. Questo ci dà la misura dell’arretratezza culturale della nostra politica forense. Se il dibattito è arretrato, lo saranno inevitabilmente anche le soluzioni ai problemi che viviamo.
Insomma, nonostante a qualcuno io sia apparso una sorta di freak, le cose di cui ho scritto e di cui continuo a scrivere, lungi dall’essere bizzarre, bislacche, distanti, sono il cuore di ciò che sta accadendo e di ciò che ci accadrà. La regolamentazione della convivenza tra umani e robot, la ridefinizione di istituti pensati in un mondo superato dall’evoluzione tecnologica, l’ambizione al primato delle scienze e dei valori umani sulla tecnica, dovrebbero rappresentare il campo privilegiato di impegno e di attività delle nostre menti migliori.
I fenomeni che a partire dagli anni ’80 hanno portato alla massificazione e proletarizzazione dell’avvocatura sono stati ignorati dalle istituzioni forensi, esattamente come oggi vengono ignorati i processi di automazione e disumanizzazione che stanno per estromettere decine di migliaia di avvocati italiani da ogni operatività possibile.
Scrivere di questi temi, parlarne, provare a portarli all’attenzione dei colleghi, viene spesso considerata una forma di trastullo, un passatempo per sfaccendati. Fino a quando questa sarà la mentalità dominante, non illudiamoci di affrontare la scomparsa dell’avvocato umano in modo efficiente. Se negli ambienti più avanzati che osservano le evoluzioni giuridiche si comincia apertamente a parlare di scomparsa, se si utilizzano termini e concetti dal preciso significato, quali “estinzione”, “singolarità”, che rimandano ad eventi catastrofici per gli attuali livelli occupazionali, non possiamo credere che i tanti studiosi che lo fanno siano solo dei simpatici burloni.
Avv. Salvatore Lucignano