L’assenza di programmazione e di studio fa dell’avvocatura italiana un soggetto che da anni è privo di una propria visione politica. Il processo di fascistizzazione della rappresentanza forense, culminato nel Congresso Farsa tenutosi a Rimini in ottobre, ha consegnato ciò che resta di questa accozzaglia chiamata “avvocatura italiana” a quel che resta di vecchi esponenti di un mondo finito.
Il Consiglio Nazionale Forense si è trovato a gestire tutto il potere derivante dalle decime che gli iscritti all’Ordine Forense devono obbligatoriamente versare ai padroni delle proprie istituzioni, ma non è riuscito a creare nulla, sul piano politico, che aiutasse l’avvocatura a diventare soggetto unitario. Al contrario, gli appetiti famelici degli attuali esponenti istituzionali della nostra categoria hanno spinto ad una radicalizzazione estrema del confronto, divenuto ormai solo scontro, e stanno allontanando sempre più gli avvocati che non vedono nelle istituzioni forensi italiane un soggetto inclusivo, nel quale riversare speranze, proposte ed angosce.
E’ ormai chiaro che l’Organismo Congressuale Forense immaginato dai padroni dei Consigli dell’Ordine di mezza Italia sarà uno strumento totalmente inservibile per la nostra categoria. Grazie ai servili propositi dei suoi ideatori infatti, l’OCF è stato dichiarato impossibilitato a rappresentare politicamente la categoria, ma i patti tra uomini si reggono solo quando a siglarli sono uomini d’onore. Dopo il Congresso, i feudatari nominati dai propri vassalli, cooptati nelle delegazioni congressuali, hanno cominciato immediatamente a scalpitare, a rivendicare libertà d’azione e protagonismo sulla scena politica nazionale. Insomma… se il Consiglio Nazionale Forense sperava, con la soppressione di OUA, di restare l’unico soggetto a mangiare la torta, i padroni dei COA metropolitani e delle unioni di Ordini più spregiudicate hanno subito mostrato di volere la loro fetta del bottino.
La lotta per il controllo del potere e del denaro generato dai versamenti dei colleghi prosegue senza esclusione di colpi, in parte sottotraccia, in parte in superficie. La manovre per assicurarsi la poltrona di “coordinatore” dell’Organismo di emanazione Congressuale scontano l’imperizia degli autori dello statuto approvato a Rimini, e pertanto tutto tace, perché tutti sanno che si sta già operando fuori da ogni regola e nessuno vuole correre il rischio che i clan sconfitti sporgano reclamo contro le bande che risulteranno vincitrici e piazzeranno il proprio uomo (anche perché di donne in OCF praticamente non ce ne sono), al posto di comando.
Nel frattempo tutti i problemi che la legge professionale forense ha creato o acuito restano in campo:
- un sistema previdenziale insostenibile per i più giovani e i più deboli;
- le vessazioni imposte da nuovi e vecchi obblighi, quali assicurazioni obbligatorie, crediti formativi, e mille altre procedure che rendono la professione non più esercitabile da chi non la pratichi con una struttura complessa alle spalle;
- la totale assenza di programmazione, per quanto attiene al controllo dell’ equilibrio di mercato, con un numero di operatori affidato a meccanismi di selezione in cui la corruzione e l’inaffidabilità sono elementi di dominio pubblico;
- la totale inefficienza dei meccanismi di controllo deontologico, salvo che per fini di controllo politico del dissenso interno alla categoria.
E si potrebbe continuare a lungo. Non c’è nulla sul diritto collaborativo, nulla sui punitive damages, nulla di nulla sul sostegno alle donne e ai giovani. L’unica battaglia su cui si tenta di fare lobby è quella legata all’equo compenso (tariffe minime), che probabilmente sarà destinata a soccombere, per inadeguatezza dei processi motivazionali.
Il nulla dilaga e l’avvocatura muore. Sipario.