Tribunale di Napoli
Sezione XI penale- G.M. D.ssa S. RICCIO
febbraio 2016 – motivazione contestuale
Nella odierna “pezza”, tratteremo l’ipotesi per come contestata dalla Publica Accusa,
ex art. 572 c.p., in relazione alle denunciate “vessazioni” domestiche,
per come riferite subite da una madre in denuncia,
messe in atto, a proprio danno, da parte del figlio convivente, imputato.
Nella fattispecie, il caso in oggetto tratta la ricostruzione del periodi di “convivenza difficile”,
tra una madre, nelle more separatasi anche dall’ex marito, ed il figlio,
avuto da altro soggetto, nelle more emigrato all’estero.
In particolare, l’analisi delle vicende contestate dalla Pubblica Accusa,
si basava, tra l’altro, su ripetuti episodi di minacce -anche di morte-
ingiurie e percosse, effettuate dal figlio della persona offesa,
peraltro non costituitasi parte civile nell’odierno processo e che,
nelle more, aveva provveduto a rimettere le precedenti ,
ulteriori querele effettuate nei confronti del figlio,
perpetrato, all’interno dell’abitazione comune, brandendo una spada “katana”.
In particolare, dall’analisi dibattimentale degli atti a suffragio della Pubblica Accusa,
emergeva un contesto differente,
non “ordinario” dal punto di vista della continuità di tale “situazione critica”,
nè delle cd. “continue vessazioni” perpetrate dal figlio,
odierno imputato, alla madre, costituenti elemento essenziale del reato contestato.
Altresì, emergeva la particolare situazione personale, anche a livello psicologico,
di entrambi i soggetti,per come relazionata,
anche dai servizi sociali intervenuti più volte in ausilio del nucleo famigliare,
che portava, in relazione alle emergenti criticità del vissuto personale quotidiano,
ad esacerbare animi e razioni dei soggetti conviventi.
A chiusure del processo, pertanto, la Pubblica Accusa richiedeva pronunzia assolutoria,
con la quale la difesa concordava, in quanto i fatti, per come provati dibattimentalmente,
apparivano, ictu oculi, cristallizzare il caso di specie nell’ipotesi della cd. “particolare tenuità”,
per come normativizzata ex art. 131 bis c.p. .
Sulla scorta di quanto emerso in dibattimento,
delle intervenuti remissioni di querele e dell’attualità di “pacifica convivenza”,
altresì verificata tramite l’esame dei testi di lista P.M. e della persona offesa querelante,
il G.M. proclamava l’assoluzione dell’imputato ex art. 530 comma 2 c.p.,
perchè il fatto non sussiste, con sentenza letta in udienza e motivazione contestuale.
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