Come è noto la parte III del DPR 115/2002, intitolata: “Patrocinio a spese dello Stato”, prevede l’obbligo dello Stato di assicurare “il patrocinio nel processo penale per la difesa del cittadino non abbiente, indagato, imputato, condannato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria” nonché “il patrocinio nel processo civile, amministrativo, contabile, tributario e negli affari di volontaria giurisdizione, per la difesa del cittadino non abbiente quando le sue ragioni risultino non manifestamente infondate” (art. 74).
La differenza tra processo penale e processo civile mira all’evidente scopo di evitare che l’istituto possa essere utilizzato in maniera distorta.. Cosicché se il diritto alla difesa penale è sempre garantito, quello alla difesa civile, amministrativo, contabile, tributario deve essere nei limiti in cui non divenga spreco di risorse pubbliche e mezzo per attingere risorse statali da parte dell’avvocato e del cliente che siano consapevoli della manifesta infondatezza del giudizio.
Invero, in particolar modo nel processo civile, la elaborazione di principio si scontra con la struttura del processo, fondato sul principio della domanda, nelle ipotesi in cui il non abbiente sia non attore ma convenuto in giudizio, talché dovrebbe affermarsi che Questi non abbia diritto e meriti l’ammissione al beneficio nei casi in cui, pur convenuto, non possa avere difese non manifestamente infondate. Epperò,mentre per iniziare un giudizio civile la valutazione prognostica del risultato è astrattamente concepibile ( ma ciò imporrebbe una ulteriore riflessione sulla natura dell’obbligazione svolta: di mezzi di risultato?), riteniamo non sia così scontato, anche in termini di garanzia del giusto svolgersi del processo, allorché si sia convenuti in lite, o si sia sottoposti ad esecuzione forzata .In altri termini, non pare giuridicamente corretto che il convenuto che abbia poche possibilità di vedere rigettata la domanda attorea, non goda di altra scelta che rimanere contumace; che l’esecutato debba rimanere mero osservatore della espropriazione e non possa avvalersi della difesa di un avvocato. Del resto quando sarebbe non manifestamente infondata la costituzione in giudizio del debitore in un’esporopriazione forzata? (in disparte la previsione di cui all’art. 135 secondo cui “ Le spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli articoli 2755 e 2770 del codice civile, sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell’assegnazione o sulle rendite riscosse dall’amministratore giudiziario”.)
Un fatto è certo: la ratio del’istituto non sta nel garantire all’avvocato che sia chiamato a svolgere le difese il compenso, ma nell’obbligo statale di garantire la difesa del non abbiente.
Nel linguaggio comune anche giuridico l’istituti è denominato “gratuito patrocinio”; il che genera grave confusione, perché concettualmente il patrocinio a spese dello stato richiama principi democratici di giustizia sociale, assai differenti da quelli che richiama l’espressione gratuito patrocinio.
La differenza terminologica concettuale assume grande importanza, sol che si pensi che l’espressione utilizzata dal legislatore in alcun modo lascia spazi ad un’interpretazione che assecondi la gratuità della prestazione professionale, obbligando il professionista ad un atteggiamento filantropico. L’avvocato che svolga un incarico in favore di soggetto ammesso al patrocinio a spese dello Stato non esercita attività gratuita, ma attività che, anziché essere remunerata dal cliente, è remunerata dallo Stato: ovvero lo Stato, per ragioni di uguaglianza sociale e per garantire il diritto costituzionale di difesa, si sostituisce al meno abbiente nella corresponsione del compenso.
Non va confuso infatti l’istituto cosìcome strutturato in Italia da quello previsto in altri sistemi; ad esempio negli Usa, ove lo svolgimento di almeno 50 ore di attività legale a titolo gratuito, non solo rappresenta un obbligo per ciascun avvocato che eserciti la professione (Rule 6.1 dei Model Rules of Professional Conduct), ma si pone come condizione da assolvere da parte degli studenti in legge ai fini dell’abilitazione alla professione di avvocato. L’attività pro bono (“publico”) presuppone però che lo Stato,attraverso il professionista privato, possa essere esonerato dalla funzione sociale e dall’adempimento del dovere costituzionale della difesa del meno abbiente. Imporrebbe pertanto un ripensamento (condivisibile o meno) sulla struttura dei principi di solidarietà sociale e di diritto di difesa.
Talché è assolutamente irrazionale che la legge, pur circoscrivendo la protezione alle ragioni “non manifestamente infondate”, preveda una differenziazione nella liquidazione dei compensi tra l’attività penale e quelle di cui al secondo comma dell’art. 74.
Ed invero l’art. 141 prevede che al difensore siano liquidati i compensi con un richiamo all’art.82 co. 1, ovvero secondo “la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell’impegno professionale, in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa” ma con la specificazione che “gli importi sono ridotti della metà’”!!!
Ulteriore considerazione merita la bizzarra disciplina in tema di “pagamento in favore dello Stato”. Mentre per l’attività penale “il magistrato, se condanna il querelante al pagamento delle spese in favore dell’imputato, ne dispone il pagamento in favore dello Stato. (…) se assolve l’imputato ammesso al beneficio per cause diverse dal difetto di imputabilità e condanna la parte civile non ammessa al beneficio al pagamento delle spese processuali in favore dell’imputato, ne dispone il pagamento in favore dello Stato. (…) se condanna l’imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio, ne dispone il pagamento in favore dello Stato” (art. 110), per le altre attività difesnive (civili,amministrative, contabili,tributarie) “Il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato.” (art. 133)
In particolar modo nel processo civile, nella ipotesi che il magistrato liquidi correttamente le competenze a carico del soccombente secondo i valori medi di tariffa, si giunge all’assurdo lucro dello Stato sul difensore: ovvero il difensore della parte ammessa al patrocinio vincitrice percepisce il 50% dei compensi,mentre lo Stato ha diritto di ripetere dal soccombente non solo e giustamente il 50% anticipato al difensore della parte ammessa, ma anche l’altro 50% che sarebbe spettato al medesimo difensore, ove la legge non avesse previsto la riduzione a metà dei compensi!!!
Ne deriva che nella (ir)ratio del legislatore, non solo la difesa penale è ritenuta più importante delle altre (???) in termini di compenso, ma vi sono ipotesi in cui lo Stato può giungere a lucrare sull’attività dell’avvocato difensore nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario.
Ovviamente ciò senza considerare la insana abitudine del magistrato di liquidare compensi, sia in ambito penale che civile, ben inferiori a medi di tariffa: cosicché la missione sociale del difensore che collabori con lo Stato nella difesa dei meno abbienti, anche con i compensi al di sotto dei medi di tariffa e ridotti del 50%, finisce con il diventare sfruttamento del difensore da parte dello Stato!!!
La disciplina va interamente ripensata in termini di risorse statali da dedicarsi alla difesa dei non abbienti ed in termini di rispetto dell’attività defensionale affinché, da un lato, non vi siano sempre meno avvocati disposti a offrire le proprie prestazioni al cittadino meno abbiente oppure che la prestazione sia svolta con inammissibile superficialità, dall’altro, l’istituto non diventi fonte di sostentamento statale degli avvocati meno abbienti, dall’altro ancora non venga utilizzata, da parte dello Stato, come mezzo di sfruttamento della stessa categoria degli avvocati a cui lo Stato necessariamente deve rivolgersi per garantire il diritto di difesa del meno abbiente.
Avvocati si, filantropi se si voglia, ma sfruttati o sottoposti ad usura no!!!
Avv. Antonio Lezzi