CHURROS AL CIOCCOLATO – PARTE 4 DI 6

25 Ottobre, 2016 | Autore : |

Isabel cercò le chiavi in borsa, aprì il portone e si avviò verso casa. Mamma Rocìo ovviamente l’aveva aspettata sveglia, da brava casalinga chioccia. Il padre, il signor Gonzalo, invece dormiva. Era il direttore di una filiale del Banco di Santander ed anche al sabato doveva alzarsi presto per essere puntuale in ufficio.

“Ti sei divertita?”, disse la mamma, parlando a voce bassa per non svegliare Fernando ed il piccolo Raul, che già dormivano.

“Si mamma, grazie, Miguel è stato davvero gentile, abbiamo mangiato alla Bodega de la Ardosa, poi abbiamo passeggiato, mi ha offerto i churros al cioccolato che piacciono a me, ho avuto proprio una bella serata”, sussurrò lei.

“Miguel è un bravo ragazzo, avete una bellissima amicizia, mi fa piacere che vi frequentiate”, disse sua madre.

“Si mamma, è un bravo ragazzo, ora dormi, riposati, ci vediamo domani, buonanotte”

“Buonanotte Isabel, a domani”.

La madre la baciò, Isabel era la sua bambina, unica femmina di quattro figli: Felipe, il primogenito, che aveva trovato un ottimo impiego in Germania come chimico; Isabel che era venuta molti anni dopo e poi Fernando e Raul, più piccoli. Fernando, che aveva tre anni meno di Isabel, voleva diventare un grande pasticciere. Era lui ad aver trasmesso alla sorella la passione per i churros, glieli portava caldi da scuola ogni volta che poteva, quando faceva qualche prova pratica in cucina. Correva a portarglieli perché la regola per mangiarli è che siano caldi, Fernando insisteva che solo così non diventavano indigesti. L’ultimo della famiglia era il cocco di tutti, Raul, che papà Gonzalo aveva sperato invano fosse un’altra femmina. Raul era un bellissimo bambino di nove anni, vivace e dolcissimo ed Isabel stravedeva per lui.

Si spogliò lentamente, senza far rumore, per non svegliare i suoi fratelli che dormivano nella stanza accanto. Ripensava a quella sera e la sensazione di benessere che provava era offuscata dai dettagli del viso di Miguel, che si ripresentavano alla sua mente nonostante lei cercasse di sfuggirgli. Si mise il pigiama e si ficcò a letto, con le mani giunte sul petto, faccia in alto. Per un po’ stette così, immobile, a guardare il soffitto e a fantasticare, poi il sonno prese il sopravvento, si girò di fianco, abbracciò il cuscino e si addormentò.

Il giorno dopo Isabel si era immediatamente rivolta alla sua più preziosa consigliera: “pronto Beatriz come stai, sono io Isabel, vorrei vederti, devo raccontarti un po’ di cose e chiederti un consiglio, quando ci possiamo incontrare?”

“Ciao sorellina, che piacere sentirti, ma guarda, per me, non so, andrebbe bene anche oggi, dipende, c’è qualcosa di importante di cui vuoi parlarmi?”

“Si, si tratta di un ragazzo”

“Ah, birbante, e me lo dici così? Allora certo che è importante, dobbiamo per forza vederci oggi, così mi racconti i dettagli piccanti”.

Beatriz non cambiava, era sempre la solita, così pensò Isabel.

“Tu corri troppo,  ma è di questo che vorrei parlarti, ti va se ci vediamo a pranzo alle due alla Taberna de Angel Sierra? Che ne dici?”

“Perfetto, ci vediamo lì tra poco, così ho anche il tempo di sbrigare una faccenda”

Aveva sentito il bisogno di parlare con Beatriz di quella serata che anche al risveglio l’aveva lasciata dubbiosa, in cerca di risposte. Beatriz o Bea, come la chiamavano i suoi amici, era stata la fidanzata di Felipe, il fratello di Isabel, anni prima, quando lei aveva si e no dieci anni. I due si erano poi lasciati ma erano rimasti in ottimi rapporti. Per Isabel quella donna era una sorta di sorella maggiore e si rivolgeva spesso a lei per dei consigli, che Bea le dava affettuosamente e con l’entusiasmo tipico del suo carattere. Erano trascorsi quattro anni da quando Beatriz e Felipe non stavano più insieme ma Isabel era sempre rimasta in contatto con lei e non era raro che Beatriz venisse a casa dei suoi, a pranzo o a cena, dato che nonostante la fine del fidanzamento con Felipe era rimasta nel cuore dei genitori di Isabel, quasi come se fosse divenuta un’altra componente della famiglia. Aveva da poco compiuto trent’anni e viveva sola in città, suo padre era morto in un incidente sul lavoro in fabbrica quando lei era ancora bambina, sua madre si era trasferita a Valencia, dove viveva un suo fratello insegnante. Beatriz era una ballerina di Flamenco, sempre in giro nei locali del paese, ed era molto legata ad Isabel, alla sua sorellina, come la chiamava. Si divertiva a stuzzicarla, ben conoscendo il suo carattere riservato e timido: “Signor Gonzalo”, diceva al padre di Isabel quando si trovava in casa sua, “io tento invano di farla diventare un diavolo, ma Isabel è una ragazza d’oro, un vero angioletto”.

Una volta concordato il pranzo con l’amica Isabel avrebbe dovuto aspettare che Bea sbrigasse le sue faccende ma in casa non aveva nulla da fare e quindi decise di uscire e ingannare l’attesa gironzolando per la città. Era una luminosa mattina di aprile, Isabel decise di intrattenersi nelle strade a lei più familiari e cominciò curiosando tra le buone occasioni dei cento negozi che vendevano scarpe firmate a buon prezzo a Calle Figueroa. Passarono così alcune ore, entrava e usciva dalle boutique del centro, ma senza comprare niente. Alla fine, lentamente perché ancora in anticipo, si incamminò verso il locale in cui doveva incontrarsi con Beatriz, si sedette ad un tavolo, ordinò una birra e cominciò ad osservare la strada, in attesa.

Beatriz tardava come al solito, dato che la puntualità non era il suo forte, ma come faceva in occasioni del genere, non aveva mancato di inviarle un sms: “faccio un po’ tardi, se trovi un tavolo comincia pure a sederti, ho fame, Bea”. I messaggi di Beatriz erano sempre puntuali, nel senso che avvertivano del ritardo quando ormai l’ora dell’appuntamento era già scoccata. Era un lato del suo carattere, sembrava essere sempre di corsa e appariva spesso in affanno, perennemente costretta a raggiungere un altro luogo che si trovava troppo lontano per poterci arrivare in tempo. Isabel però adorava quella sua aria sempre arruffata, trovava che quel modo di essere fosse tipicamente femminile e che aggiungesse altro fascino alla sua bella presenza.

Alla fine Beatriz arrivò, prorompente e trafelata. Isabel la vide da lontano avanzare tra la gente ma il suo era più un correre che un camminare. Era vestiva con dei leggins neri che la fasciavano tutta, le sue lunghe gambe snelle in evidenza, i grandi occhi verdi nascosti da occhiali da sole stile anni ’50, la bocca carnosa ricoperta da un rossetto rosso scarlatto, il colore preferito, quello della passione, come diceva lei ridendo e mostrando i denti, con le unghie che simulavano artigli. Aveva una stola avvolta attorno alle spalle che non c’entrava niente con il resto ed una enorme borsa, aperta, anche quella un dato immancabile nel suo abbigliamento, perché ogni volta che era in giro per la città entrava in qualche negozietto a comprare uno scialle, un cappello, o qualche altro indumento strano e variopinto che inevitabilmente ficcava dentro una delle sue grandi borse.

Era bella, il corpo forgiato dalla danza, era una ballerina molto apprezzata in città ed Isabel l’ammirava molto.

“Allora sorellina, mangiamo? Ho una fame! Non immagini il casino che mi stanno combinando in teatro per avere questo mio certificato, dicono che è indispensabile averne uno aggiornato, è per il contratto capisci, mi fanno fare qualche serata, comincio a giugno e vado avanti per tutta l’estate, allora, ti vedo bene, sei cresciuta, che c’è, di cosa mi vuoi parlare, o meglio di chi? A proposito, mamma e papà come stanno? E Nando? E il piccolo? Lo sai che ho sentito Felipe nemmeno una settimana fa? Allora, racconta, hai già preso una birra vedo? Io vino rosso e voglio mangiare…”

Beatriz la investiva come un vulcano in eruzione, ma ad Isabel piaceva proprio per questo, lei sapeva sempre parlarle, non la lasciava mai sola con i suoi dubbi e nonostante fosse una donna che ad un primo sguardo distratto poteva apparire frivola, in realtà si trattava di una persona in gamba, che aveva fatto sacrifici fin da ragazzina per realizzare il suo sogno di diventare una ballerina.

“C’è questo ragazzo, Miguel …” cominciò Isabel, dopo che Beatriz ebbe ordinato il suo vino.

“Com’è, com’è, racconta, è bravo a letto?” disse Beatriz con aria complice.

“Bea!”, Isabel era arrossita, “smettila!”

Beatriz scoppiò in una fragorosa risata, le aveva dato l’ennesimo bacio, in pratica la sommergeva di baci ogni volta che si vedevano e i suoi  rossetti dai mille colori le restavano attaccati sulle guance per ore, poi si era fatta seria e aveva detto: “ok, ok, faccio la brava, ascolterò tutto senza fiatare”. Lo disse con tono credibile ma il suo sorriso non lasciava intendere affatto che avrebbe mantenuto l’impegno. Isabel la guardava e sorrideva, affascinata dalla sua femminilità.

“Come sei bella” le disse, dimenticando per un attimo la ragione del loro incontro.

“Grazie Isabel, sei bellissima anche tu, allora, parliamo di questo Miguel, dimmi se devo usare violenza contro di lui. Ti fa soffrire?” disse Beatriz e le fece l’occhiolino, mentre addentava una tapas.

“No, in realtà non mi fa soffrire, è un bravissimo ragazzo, ha la mia età, facciamo l’università assieme, ci siamo conosciuti al liceo. Da un po’ di tempo facciamo spesso passeggiate, di sera, a lui piace camminare e ieri sera siamo usciti, mi ha invitato a festeggiare l’esame di letteratura spagnola che ho passato …”

“Ah, quando, ieri? E come è andata?”

“Benissimo, ho preso nove, sono contentissima” sorrise Isabel.

“Brava! Ma tu del resto sei un genio, io te l’ho sempre detto, diventerai un’interprete meravigliosa”, le disse Bea, che le faceva sempre complimenti e la spingeva a coltivare il suo studio con impegno e determinazione.

“Grazie, e niente, siamo usciti, è stato gentile e …”

Beatriz smise di mangiare e la fissò, le mani giunte sotto al mento, gli occhi dritti verso di lei e nessun sorriso ironico, solo molta attenzione.

“Mi piace”.

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