Si era sottratto all’assedio ma per farlo aveva dovuto interrompere la conversazione piuttosto bruscamente. Gli era sembrato strano che Ramon non lo avesse tempestato di domande ed osservazioni sul suo rapporto con Ines ma era certo che l’amico sarebbe presto tornato all’assalto.
A quel punto della serata lo studio rappresentava l’unica alternativa ad una passeggiata solitaria ma Miguel non voleva sentirsi parte della compagnia dei secchioni e decise di arrivare comunque alla Castellana, vedere un po’ di gente alle terrazas, proseguire fin dove gli avesse suggerito la voglia e tornare a casa a tarda notte. Magari avrebbe mangiato qualcosa in strada, bevuto un paio di birre ed occhieggiato qualche bella turista.
I suoi genitori vivevano a Calle Del Amparo, a poca distanza da Puerta del Sol. Suo padre, Pedro, era uno stimato ingegnere e la madre Leonor era una dirigente della pubblica amministrazione, lavorava al Ministero dell’educazione e della cultura. Erano entrambi genitori impegnati nel lavoro ma avevano sempre avuto un buon rapporto con Miguel e pur non avendo avuto altri figli la loro era una casa sempre allegra e frequentata, perché ai suoi piaceva la compagnia.
Fino a Colon ci andò in metro, dalla fermata di Lavapiés, che distava pochi metri da casa sua. Era un venerdì dei primi di aprile e alle nove di sera la città era vivissima come al solito. Miguel non aveva ancora fame, in genere quando usciva si accontentava di andare per tapas e di qualche buona birra. Pur non praticando sport era magro, sottile come un manichino.
Piazza Colon era quella dove anche lui, due anni prima, aveva festeggiato la vittoria ai campionati del mondo di calcio delle furie rosse, dopo l’indimenticabile finale contro l’Olanda. Ma quel luogo di Madrid gli era sempre piaciuto. Lì c’era il monumento a Colombo, rivolto alla fontana che rappresentava il grande mare oceano. Quando osservava quel coraggioso marinaio italiano Miguel si sentiva spinto ad affrontare il futuro senza paura, a cercare la sua strada nel mondo. Quella era una delle “sue” piazze in città: Colon, dove tutto è in movimento, come dicono i madrileni.
Gli piaceva passeggiare alla Castellana, guardare le facciate austere dei ministeri e delle ambasciate, dare uno sguardo alle targhe che indicavano gli edifici, fino alla Piazza Emilio Castelar e poi oltre. In genere si spingeva ancora avanti, lasciandosi alle spalle la scuola superiore di ingegneria industriale, frequentata un tempo anche da suo padre, e poi l’AZCA, con l’immancabile ed onnipresente Corte Ingles. Quando era da quelle parti il capolinea dei suoi passi era immancabilmente il Santiago Bernabeu, lo stadio in cui giocava la sua squadra di calcio, il Real Madrid. Solo una volta giunto allo stadio ritornava indietro, soffermandosi al Paseo di Recoletos ad osservare concittadini e turisti seduti agli innumerevoli caffè. A volte, desideroso di unirsi alla gente, si sedeva anche lui al Caffè Gijon, del quale amava l’aspetto tradizionale, sempre lo stesso da più di quarant’anni.
Passeggiare per le vie di Madrid era un modo di dare sfogo alla sua irrequietezza. Gli piaceva entrare dappertutto, ficcarsi nei capannelli, nella calca, con passo leggero e veloce. Isabel lo rimproverava, diceva che Miguel in realtà camminava come un fuggiasco ma lui si sentiva in sintonia con la sua città, con il movimento e ribatteva che un vero madrileno si muove in fretta e non si stanca mai.
A Puerta del Sol i bar vendevano già la granita di caffè, nonostante non facesse ancora molto caldo e Miguel ogni tanto si fermava ad osservare la gente, sempre silenzioso, per poi ripartire, d’improvviso, con quella camminata irruenta.
Quella sera però i suoi propositi di tirar tardi furono vinti da ragionamenti più prudenti. Non amava andare in giro da solo, l’indomani voleva comunque studiare, visto che Ramon gli aveva detto che voleva andare a ballare e lui sapeva che questo avrebbe significato tornare a casa a notte fonda, se non all’alba. Rientrò prima dell’una e contrariamente alle sue abitudini decise di andare a dormire senza accendere la tv. Per quella notte non si sarebbe sintonizzato sulla CNN, cosa che faceva per migliorare la comprensione dell’ americano, così diceva ai suoi genitori.
Ad una settimana esatta da quella passeggiata solitaria, Isabel lo chiamò alle quattro del pomeriggio: “Promossa, mi sono levata un bel peso, ho dato un esame fantastico!”
“Bravissima, sapevo che non avresti fallito”, disse lui.
Miguel era a casa a studiare, i due si erano detti che una volta terminato l’esame Isabel lo avrebbe avvertito dell’esito.
“Ti ho chiamato per sapere se stasera eri libero, se ti andava di fare quattro passi, dopo la clausura ho bisogno di svagarmi”, gli propose lei.
Si era impegnata tanto, era davvero restata chiusa in casa da quello scorso venerdì, perché la letteratura spagnola non l’aveva mai digerita ed ora desiderava uscire, vedere un po’ di gente. Miguel del resto non era tipo da rifiutare una proposta che prevedesse il tirar tardi in giro per Madrid e dunque accettò senza esitare.
“Ma si, festeggiamo dai, però non andiamo in giro senza una meta, prima ti porto in un posto carino, ti piacerà”
“Dove dovremmo andare?”, chiese Isabel.
“Dai è una sorpresa, lo scoprirai stasera, ti passo a prendere verso le nove, che ne dici? Così hai il tempo di sistemarti”
“Sai che le sorprese non mi piacciono, dimmi dove vuoi andare, magari conosco il posto ed allora la tua non sarebbe una sorpresa”, scherzò Isabel.
“Uff, sei sempre la solita, andiamo a mangiare tapas alla Bodega de la Ardosa, la conosci?”, disse lui.
“Si, ci sono stata qualche volta”
“Ecco, lo sapevo, allora cambiamo”
“No, va benissimo, almeno non facciamo la Castellana, dai ti aspetto alle nove, a dopo”
“Ok, ah, naturalmente stasera sei mia ospite, sei la festeggiata”
“Festeggiata per cosa? Per aver passato un esame?”
“Certo, per te che sei una specie di genio è una cosa normale ma noi mortali amiamo festeggiare per un esame in meno sul conto dei debiti e quindi stasera si festeggia, si beve”
“Va bene, ci vediamo alle nove allora, a dopo”
Isabel gli aveva telefonato appena dopo aver avvertito sua madre e pensò che Miguel era stato molto gentile. Lei non era molto abituata a ragazzi così giovani che fossero anche galanti, in genere all’università i suoi compagni di studi erano piuttosto sgarbati e non si preoccupavano affatto di fare figuracce con le donne mentre nei locali raramente conosceva dei coetanei che sapessero essere garbati quando tentavano di approcciare con una ragazza. Miguel invece con lei era carino, cercava sempre una scusa per essere lui ad offrire, che fossero i churros durante le loro passeggiate o un panino in pausa pranzo, dopo una lezione all’università. Avevano frequentato lo stesso liceo linguistico, si erano conosciuti lì, e poi entrambi si erano iscritti alla facoltà di lingue, lui per quella passione per l’estero che avrebbe voluto lo portasse a lavorare negli Stati Uniti, lei per cercare di perfezionarsi, con l’obiettivo magari di andare a lavorare a Strasburgo, come interprete in qualche organismo dell’Unione Europea. Tra di loro c’erano comunque più sintonie di quanto lei avesse potuto immaginare durante il periodo del liceo ed Isabel a volte si chiedeva come mai fossero diventati amici solo all’università e perché durante gli anni della scuola non si fossero mai frequentati e nemmeno piaciuti.
Miguel era sempre puntuale quando decidevano di uscire insieme ed anche quella sera si presentò in Calle de la Palma, sotto casa sua, alle nove esatte. Aveva scelto la Bodega de la Ardosa perché Calle Colon distava pochissimo da casa di Isabel, sapeva che a lei piacevano le vie strette ed affollate della città vecchia e da quelle parti avrebbero potuto assaggiare i churros praticamente ad ogni angolo di strada. Isabel ne era ghiotta e Miguel anche quella sera aveva in mente di mangiarli insieme a lei.
“Ciao, sei puntuale, non mi fai mai aspettare come fanno in genere le donne”, le disse appena la vide, perché Isabel lo aveva raggiunto in strada poco dopo che lui le aveva citofonato.
“Questo non è molto piacevole da sentire, allora non sono una vera donna?”, ribattè lei, chiudendosi il portone alle spalle.
In realtà Isabel ci aveva messo un bel po’ a prepararsi. Alla fine aveva scelto un grazioso vestitino marrone chiaro, corto, i capelli lunghi e neri erano sciolti sulle spalle e le formavano dei boccoli naturali, portava sandali aperti per passeggiare comodamente e un golfino bianco per riparare le spalle dal fresco della sera primaverile. Si era truccata, appena un filo di rossetto ma aveva calcato la matita per esaltare il contorno dei suoi grandi occhi neri.
Miguel come al solito si presentava bene: camicia bianca, stirata di fresco ed anche se non aveva rinunciato ai suoi jeans ne indossava un paio scuro, che al buio davano l’impressione del pantalone di un vestito; portava le sua Nike d’ordinanza ma nel complesso era abbastanza elegante, almeno per i suoi standard, che prevedevano quasi esclusivamente abbigliamento casual.
“Sei molto carina, complimenti, non ti avevo mai visto questo vestitino, l’hai comprato da poco?” le disse lui, mentre si incamminavano verso Calle de Fuencarral.
“Si, ti piace?” rispose Isabel, visibilmente compiaciuta.
“Si, molto, ti sta bene”, disse Miguel. “Hai visto? Domenica abbiamo pareggiato contro i blaugrana, siamo sempre avanti, quest’anno lo Special One e Cristiano Ronaldo non ci tradiranno, ormai la Liga è nostra”
“Si ma Messi mi pare abbia fatto due goal”
“Cristiano è più forte, non scherziamo”
“Mah, intanto Messi vince sempre il pallone d’oro, Cristiano Ronaldo mai”
Erano arrivati a Piazza di San Ildefonso, la Bodega si trovava proprio lì, a due passi. Riuscirono a farsi largo tra la ressa di giovani chiassosi e a prendere un tavolino all’interno del locale. Si trattava di un classico tapas bar del centro, frequentato per lo più da ragazzi, ma la birra era ottima.
Miguel le parlava di calcio, del suo amato Real Madrid ed Isabel era costretta a sopportare.
“Se continuiamo così quest’anno facciamo il record di punti in campionato”, diceva.
Lei in realtà non seguiva il calcio ma aveva una certa simpatia per Messi, perché gli piacevano i piccoletti, come lei, che sapevano farsi strada. Miguel però la tempestava lo stesso con i resoconti del campionato tanto che Isabel aveva cominciato a prendere nota dei risultati come una vera tifosa. Lui era un adoratore di Mourinho, l’allenatore del Real Madrid, che a lei invece stava antipatico mentre su Cristiano Ronaldo andavano decisamente d’accordo, specie nel convenire sulla sua indubbia bellezza. Lui a volte la faceva perfino arrossire: “altro che Messi, se venisse Cristiano a chiederti di uscire?”
“Scemo, sta con quella modella russa, quella Irina non so che, stai a vedere che mi chiede di uscire”
“Va bene ma cosa c’entra? Tutto può succedere no? Magari si innamora”
E scoppiavano a ridere, ma Isabel in quelle occasioni si imbarazzava ed inevitabilmente arrossiva.
Al liceo non erano mai stati amici. Lei aveva le sue amiche, lui i suoi. Lui era il tipo che amava stare per strada, tra la gente, durante gli anni di scuola era persino diventato attivista di un movimento ecologista, qualcosa di simile a Greenpeace, che si chiamava Ecohabitar. Per qualche tempo Miguel ne era stato entusiasta, era stato il movimento ad ispirare la sua decisione di diventare vegetariano, anche se lui ammetteva di non riuscire ad evitare qualche cedimento carnivoro, figlio delle vecchie abitudini. Isabel invece da adolescente era solo una studentessa timida, sempre impegnata a fare i compiti e a dare una mano a sua madre nelle faccende di casa. Entrambi erano ragazzi di poche parole anche se forse Miguel era persino più sfuggente di lei, che si riteneva fin troppo schiva.
“Sabato sei andato a ballare poi? Io ero chiusa in casa a studiare, pensa te”, gli chiese, non appena riuscirono a sedersi.
“Si, siamo andati al Kapital con Ramon, eravamo con queste amiche, due tipe impossibili, anche se una delle due, Carmen, era meno antipatica dell’altra, Ester, così si chiama”
“Insomma, non ti sei divertito”
“No, decisamente. Ramon a volte ha il gusto dell’orrido e infatti non solo erano brutte, ma anche antipatiche. E’ stata una serata no”.
“Una ragazza per piacerti deve essere per forza molto bella?”
“Non ho mai detto questo. Cosa vuoi da bere?”
Isabel chiese solo una birra chiara, Miguel invece prese anche il Vermouth. Si fecero portare tapas al formaggio, ma Isabel, che non era vegetariana, ordinò Jamon Serrano. C’era gente nel locale ed i tavoli all’aperto erano occupati, nonostante la serata cominciasse a rinfrescarsi. Lei lo guardava, Miguel era diventato un bel ragazzo, più che al liceo, alto, magro, dai modi delicati. Aveva lunghe dita, le unghie curate, occhi e capelli nerissimi, il volto spigoloso, tipicamente spagnolo e la sua bocca era perfetta.
Ad un certo punto, mentre sorseggiavano le birre, Isabel gli disse: “ma visto che ti piacerebbe andare in America, perché non provi a fare il modello? Sei alto, magro, potresti tentare”.
Glielo aveva detto mentre Miguel era intento a bere e lui la guardò con il boccale ancora alzato, poi le rispose: “non mi interessa affatto fare il modello. La mia idea è quella di lavorare come interprete, proprio come te”.
“Si, ma per fare l’interprete in America forse ti converrebbe studiare il cinese, gli Stati Uniti hanno stretti interessi e rapporti con la Cina, lo sai che i Cinesi sono i proprietari della maggior parte del debito pubblico americano?”
Miguel sgranocchiava noccioline e si guardava intorno, mentre Isabel lo fissava rilassata.
“Beh, il cinese non mi attira, non ci capirei niente, ne sono sicuro. Io penso che l’America possa comunque darmi opportunità che la Spagna in questo momento non può offrire”.