Caro Giudice,
ti scrivo perché spero che almeno qui, tu possa prestami attenzione…
Ultimamente, soprattutto in udienza, ti vedo sempre più provato, sempre più nervoso, poco incline a prestare la giusta considerazione ai vari casi che ti porto in Tribunale, per i quali, credimi, avrei fatto assolutamente a meno di te, ma non sempre, con i miei colleghi, riusciamo ad arrivare ad una transazione, un po’ per pigrizia, un po’ per esuberanza, altre volte, diciamolo pure, per ignoranza…
Venire da te, caro Giudice, non è cosa da poco, il mio cliente deve fare dei sacrifici e purtroppo io con lui, poiché spesso, sono l’ultima ad essere pagata… se va bene.., ma tu questo forse non lo sai.
Lavoriamo nello stesso ambito, lo so questo non ti piace, ma tra te e me, in comune, c’è una laurea in giurisprudenza e tantissimo studio. Tu hai scelto di fare un concorso, io ho scelto la libera professione e per l’esercizio della quale ho sostenuto un esame di abilitazione non da poco.
Sai, indossiamo una toga dello stesso colore, il nero, simbolo di “sofferenza”, beh ti piaccia o no anche questo ci accomuna…
Tanti anni fa, quando ho iniziato a conoscerti, eri diverso, mi ascoltavi e cercavi con me e il collega avversario, una soluzione che rispettasse verità e giustizia.
Oggi invece non hai più tempo, anzi non hai mai tempo, neanche per arrivare prontamente preparato in udienza. Lo so, lo so, il tuo carico di lavoro è improponibile, è massacrante, te ne dò atto, ma così lavoriamo male tu ed io.
La spocchia, l’arroganza e la superbia stanno contaminando la tua figura, che per me era sempre stata un punto di riferimento, una certezza di trovare riscontro oggettivo ad una situazione dalla quale le “parti” non riuscivano ad uscire.
Spesso, rabbrividendo, ti ho finanche sentito dire “io sono la legge”, ma sai bene che non è così, tu applichi la legge, molto spesso interpretandola con grande fantasia. No, non mi dire “tanto farai appello”, è una risposta che mortifica te e me.
Oggi spesso, troppo spesso, non hai neanche più rispetto per me.
Non mi rispetti quando mi censuri ingiustificatamente, con assoluta tracotanza, in udienza alla presenza del mio cliente.
Non mi rispetti quando non riconosci il mio lavoro nella liquidazione delle tue sentenze.
Non mi rispetti quando pretendi che io giustifichi tempestivamente la mia assenza anche quando sono in sala di rianimazione, mentre a te basta una telefonata, anche la mattina dell’udienza.
Eppure nonostante tutto io ancora provo il massimo rispetto per la funzione che svolgi, cerca di far rinascere in me anche il rispetto per la tua persona!
Avv. Rosaria Elefante