Quando mi chiedevo cosa potesse unire l’avvocatura, le associazioni e tutti i rappresentanti istituzionali, non avrei mai pensato che un minus come un motivo di ineleggibilità potesse fungere da collante non per una presa di coscienza collettiva ma al contrario per salvaguardare il potere costituito, in modo che nulla veramente cambi.
Ebbene, in questi giorni molti incandidabili hanno interrotto il silenzio seguito al clamore suscitato dall’ormai nota sentenza della Cassazione civile, SS.UU. n. 32781 del 20/12/2018, e sono riapparsi in Tribunale, sfoggiando il migliore dei sorrisi possibili.
Hanno ostentato sicurezza ed affermato, più o meno tutti allo stesso modo, che “tutti insieme” avrebbero triplicato i voti degli altri, dicendosi sicuri che gli avvocati non avrebbero fatto caso a principi basilari, come quello dell’alternanza sancito dalla legge Falanga e ribadito dalla citata sentenza
È allora venuto il tempo della tanto invocata unità dell’avvocatura, piegata a becero patto affinché nulla cambi: gli ineleggibili si sono scoperti tutti sulla stessa barca e, come primo passo, hanno eletto al CNF il loro Caronte, affinché li traghetti sull’altra sponda, dove li attendono le tanto amate poltrone.
I consiglieri di professione, rinvigoriti da questa malsana unità, forti di anni di potere istituzionale esercitato per fini personali e di una legge elettorale priva di quozienti proporzionali, si dichiarano convinti che gli avvocati, pavidi, voteranno per loro o non voteranno affatto, come sempre, e nulla cambierà anche se una sentenza ha messo a nudo la loro vera natura.
Resta solo da sperare che l’avvocatura assopita si desti, cercando, con il voto, il vero rinnovamento per l’intera Classe, rendendola libera.