I peana lanciati alti e diretti contro il potere rappresentato dalle istituzioni sono una costante di ogni regime e, nel tempo, si sono enfatizzati democrazia e voto democratico come panacea a garanzia dell’ottimo governo. La realtà dei fatti, invece, dimostra la crisi profonda dei sistemi democratici tutti, circostanza che impone riflessione.
Un dato incontestabile è buon punto di partenza: gli amministratori (buoni o cattivi che siano) vengono eletti da chi ne ha diritto tanto con l’esercizio del voto quanto con il disinteresse del non voto.
Indagare questo profondo vulnus del sistema è condizione necessaria per comprendere se e come lo stesso possa essere sanato.
Domandarsi il perché aventi diritto al voto legittimano, con la partecipazione o con la non partecipazione allo stesso, classi dirigenti mediocri, affariste, piegate all’interesse di poteri forti, centrate sull’obiettivo di auto conservarsi.
Il problema, quindi, si sposta sul voto stesso come condizione legittimante il potere espresso.
Delle due l’una, o l’elettorato è connivente col sistema di potere mediocre e corrotto perché ne trae vero o presunto vantaggio, o esprime il proprio diritto al voto senza la consapevolezza del rapporto causa effetto allo stesso correlata.
È evidente come i due modi di esprimere il voto possano coesistere e coesistano. La ricerca del vantaggio diretto o mediato è tentazione profondamente umana che, però, dovrebbe trovare il suo limite pratico nella consapevolezza che se a tutti (o a molti) pensano di trarre vantaggio da una connivenza, nessuno trae vantaggio dalla stessa.
Il secondo aspetto, invece, merita una più approfondita analisi, in particolare quando l’elettorato è, almeno teoricamente, qualificato così come accade nelle elezioni forensi laddove è lecito presupporre consapevolezza e mezzi ermeneutici superiori in capo agli Avvocati.
Cercare di definire la consapevolezza del voto significa indagare su temi non sempre gradevoli e, quasi sempre, impopolari quali il conformismo di pensiero, alla già richiamata convenienza, all’incapacità di pensiero politico.
Il rischio, per chi tenta di compiere tale analisi, è quello di apparire come soggetto auto celebrativo che si pone ex cathedra a dare lezioni di “consapevolezza” vestendo i panni di una intellettualità autoriferita. In questo senso l’antidoto è la militanza, il vivere su di sé la fatica e gli oneri di una lotta antagonista. Ciò impone una credibilità che va ricercata nella concretezza dei gesti più che nella prospettazione di programmi. La mediocrità si basa sui programmi.
Ma come definire il voto consapevole? Il rischio è ritenere che sia tale quello che rispetta i principi di chi si determina alla definizione.
Per evitarlo bisogna rifuggire ogni tentazione etica o metafisica, evitare concetti astratti quale bene comune. Il bene comune non esiste in contesti nei quali esistono posizioni particolari diverse.
Cinicamente, quindi, si potrebbe definire consapevole il voto scientificamente teso alla migliore tutela del proprio interesse particolare che diviene parzialmente generale quando appartiene a più soggetti in pari condizione. Tale voto può essere definito consapevole, quindi, allorquando vi è consapevolezza della propria condizione e prospettiva su come cambiarla.
Nell’attuale panorama politico forense, quindi, bisogna principalmente acquisire consapevolezza sulla natura\funzione dell’Avvocato del terzo millennio in Italia. Per far ciò bisogna liberarsi da una sovrastruttura concettuale esiziale. L’Avvocatura come insieme organico di singoli professionisti non esiste. Esistono, laddove necessiti la riconducibilità a gruppi omogenei, le Avvocature.
Esiste l’Avvocatura d’elite, quella che, per motivi economico politici è posta in una sfera di inavvicinabilità da gran parte delle altre Avvocature. Un’Avvocatura inserita in rapporti sinallagmatici con i poteri economici e politici per i quali la gestione delle vicende della Classe è finalizzata al mantenimento di equilibri in danno alla maggioranza della stessa. Questa Avvocatura non è in crisi e non partecipa direttamente alla politica forense perché gioca la partita della propria esistenza su tavoli preclusi ai più. Questa Avvocatura interviene nella politica forense manovrando da quei tavoli i rappresentanti istituzionali della Classe correggendone le spinte centrifughe. È l’Avvocatura che impone ed accetta riforme dannose. È l’Avvocatura che impedisce la nascita dell’Avvocatura politica come interlocutore autonomo e strutturato.
Esiste l’Avvocatura dei rappresentanti istituzionali di Classe, spesso avvocati dediti solo alla gestione del potere ed alla sua conservazione. I negri da cortile citati da Malcom X che si accontentano di essere nella casa del padrone per raccoglierne, pur in stato servile, i vantaggi derivanti.
Esiste l’Avvocatura definita recentemente di base. Quella che tenta di sopravvivere schiacciata tra una previdenza iniqua, una macchina della Giustizia inefficiente e delegittimazione mediatica. Una Avvocatura costretta a rincorrere il reddito che, nel meridione d’Italia, assume sempre più tratti terzomondisti tipici di realtà dove la professione di avvocato spesso si accompagna all’esercizio di un altro mestiere. Ma senza la base non si reggono le altezze.
Posto quanto sopra, il voto consapevole si riconduce necessariamente alla consapevolezza di sé abbandonando gli orpelli retorici di una unità di Classe arroccata attorno alla presunta dignità della funzione. Nel panorama attuale nulla è degno.
Acquisita tale consapevolezza occorre tradurla in scelte. Vivere nella speranza di una connivenza rispetto ad un sistema impermeabile o cercare di destrutturarla.
La pretesa della nascita di un’Avvocatura politica, capace di essere Potere antagonista ai Poteri che la pongono in stato di subalternità, è condizione necessaria a tale destrutturazione.
Ciò può avvenire ad ogni livello non guardando ai programmi, spesso copia distratta l’uno dell’altro, ma alle persone.
Nuova Avvocatura Democratica, in tal senso, ritiene necessaria la non contiguità con alcuna proposta che veda protagonisti, diretti o mediati, che abbiano partecipato al sistema di gestione\spartizione che ha condotto alle macerie attuali. Sollecita e lavora, quindi, al fine di aggregare attorno alle proprie proposte Colleghe e Colleghi che possano garantire, in primis, una vera discontinuità con i progetti portati avanti da consiglieri uscenti che vantino una presenza consiliare pregressa e di lungo corso.