I redditi degli avvocati di base non potranno che continuare a diminuire. I meccanismi che compongono il reddito degli avvocati, la loro natura spesso antistorica, inefficiente, superata dagli eventi e dall’organizzazione contemporanea delle società evolute, sono ignorati dall’avvocatura di massa italiana. Occorre dire la verità, anche se è stata già detta tante volte, pur senza sortire effetti. L’incertezza dei risultati è evidente, palese, e questo genera una richiesta di diminuzione dei prezzi. Nessuno intende pagare per qualcosa di incerto, i cui effetti patrimoniali siano aleatori ed indefiniti nel tempo. Il sistema giudiziario italiano, come abbiamo già detto molte volte, disincentiva il pagamento dell’avvocato che opera per ottenere efficienza ed incentiva il lavoro dell’avvocato che specula sulle inefficienze. Il lavoro dell’avvocato finisce così con il divenire premiante quando si pone come obiettivo la tutela di interessi che coincidono con i torti, mentre penalizza enormemente l’avvocato che opera per cercare di dare concreta soddisfazione, in termini di diritti e di interessi, alla ragione.
Il mestiere dell’avvocato ha potuto storicamente contare su una grande libertà nell’imporre il prezzo della prestazione, spesso slegata da qualsiasi forma di risultato per il cliente e vincolata esclusivamente all’attività prestata. Si sa, si parla di obbligazione di mezzi e non di risultato, ma dietro questo paravento noi avvocati abbiamo nascosto ogni cosa, giustificato ogni fallimento, rendendo sostanzialmente irrilevante agli occhi del cliente la differenza tra vittoria e sconfitta. Ecco, questo meccanismo è semplicemente sconfitto, superato dalla storia, incompatibile con la fame dell’avvocatura di massa contemporanea.
Quando mi trovo periodicamente a riaffrontare i punti critici che stanno impoverendo l’avvocatura di base, per riproporre le soluzioni che ho già indicato 5 anni fa, mi sembra ormai di essere diventato un disco rotto. Ciò nonostante constato che l’ignoranza e la cecità dei miei colleghi in merito ai fattori che portano benessere nella professione forense permangono, con il risultato che i nostri redditi continuano a calare sempre più, mentre quelli degli avvocati d’affari, dei grossi studi, altamente capitalizzati, robotizzati e pubblicizzati, aumentano.
L’avvocatura di base sembra ignorare o dare poco peso al valore capace di includersi nell’essere. In particolare diamo pochissima attenzione ai processi di accumulazione di valore, ignorando che l’impegno in processi produttivi di scarso valore, a scarso valore aggiunto, non potrà fatalmente concedere buone opportunità reddituali a chi sogna di ottenerle per mezzo di cose che chiunque può fare.
I tabù che riguardano la capacità di autoanalisi dell’avvocatura italiana non sono mai affrontati dai gruppi dominanti e trovano negli strati subalterni un potente alleato alla conservazione dell’esistente.
Scrive Gillian K. Hadfield, nel suo “The price of Law: How the Market for Lawyers Distorts the Justice System”:
“For all these reasons then, even if the rate of return on the investment in legal training is determined by a perfectly competitive market, as economists such as Rosen suggest, we cannot conclude that the cost of lawyers is just the competitively determined cost of complex law. The complexity of law, and hence both the amount of time devoted to a matter and the extent of legal training required, is the product of a host of factors that disregard the costs and benefits of complexity for law as a whole.
We can think of the above impact of complexity on the cost of legal services as a direct effect: complexity raises costs because it increases the amount of legal effort necessary to resolve a dispute or claim.”
L’avvocatura italiana non ha mai voluto seriamente affrontare il rapporto tra la complessità dell’edificio giuridico italiano e la sua complicazione, facendo una valutazione onesta sui benefici sociali di una semplificazione e chiarificazione del sistema legale, assieme ad una semplificazione della complicazione del sistema giurisdizionale. Questo non servirà a frenare gli sviluppi dei processi di semplificazione dell’inutile complicazione del sistema giurisdizionale italico. Il fatto che gli avvocati fingano di non vedere la ragione per cui i loro redditi sono stati assurdamente alti, in relazione alla resa effettiva, in termini di tutela degli interessi, nel sistema italiano, è uno dei grandi problemi del nostro Ordine Forense. La propaganda che si fa all’interno della nostra categoria, tutta tesa all’esaltazione delle doti dell’operatore giuridico, cozza fatalmente con attività che spesso potrebbe svolgere chiunque. Nell’attività media di un avvocato che si occupi di cause ripetitive, il livello di sapere necessario a svolgere l’azione è molto inferiore rispetto a quello che un tempo era indispensabile per agire. Le prove empiriche di questi fenomeni non mancano: segretarie e praticanti in udienza; atti e comparse stilati in serie, con l’aiuto dei formulari e dei fac-simili; assenza sostanziale di istituti processuali volti ad esaltare il sapere tecnico dell’avvocato più preparato ed abile nel singolo caso, rispetto a quello meno capace. Tutti questi tabù contribuiscono a rendere fatalmente vana una politica forense che parli con onestà alla classe, perché la classe sostiene la retorica della propria indispensabilità, ma si tratta solo di propaganda assolutoria, lontana mille miglia dalla realtà, dalla percezione dei cittadini e dalle considerazioni delle forze che sviluppano sistemi operativi alternativi all’avvocato umano.
Il problema che attiene alla spendibilità del sapere è importante per spiegare la perdita di reddito degli avvocati che trattano le vicende a minore valore aggiunto. La replicabilità della conoscenza è causa di arricchimento collettivo e depauperamento individuale. La conoscenza condivisa rende tutti più ricchi, in termini di valore non monetizzabile, ma sottrae valore e reddito ai possessori di quel sapere. Il superamento di forme di redditività legate allo scambio di un sapere ormai facilmente ottenibile “aliunde” è una delle cause dell’impoverimento dell’avvocatura di massa, che ne determinerà la contrazione numerica nei prossimi anni.
La capacità di avere ricordi creativi, ovvero di organizzare la riscrittura del sapere secondo processi di ottimizzazione, che scelgano il necessario e scartino il superfluo, è abilità cognitiva propria delle specie viventi. Laddove l’intelligenza artificiale imparerà a fare anche questo, combinando la propria capacità di memoria fisica con quella di una memoria selettiva, che riutilizzi i ricordi modificati per imparare da essi, otterremo un nuovo step verso la creazione del superuomo artificiale.
In tal caso apparirà ancora più miope una visione del nostro progresso economico che non tenga conto che il sapere si avvia a diventare bene collettivo, un “common”, da trattare come strumento in grado di restituire ricchezza a tutti. La battaglia per il possesso del sapere in grado di generare valore si sta ormai spostando sempre più nelle pieghe della conoscenza tecnologica sofisticata. Il sapere giuridico, scarsamente tecnico, più complicato che complesso, non è affatto difficile da rendere “diffuso”. Ecco perché gli avvocati diventeranno sempre più poveri nei prossimi anni.
Persino l’incertezza sugli esiti del giudizio, vero elemento premiante del reddito degli avvocati, prima o poi verrà eliminata dallo scenario, per mezzo dell’introduzione massiccia di modelli giurisdizionali più snelli, più certi, meno aleatori. E’ un processo ineludibile, che l’avvocatura italiana non guarda e non affronta. Il populismo istituzionale lo ignora: l’avvocatura di massa lo ignora, ma esso va avanti, non curandosi certamente della nostra ignoranza.
Per secoli il sapere dell’avvocato è stato di tipo esoterico e la figura dell’avvocato, il suo “latinorum”, è stata il sancta sanctorum dell’insondabilità da parte del cliente. Il cliente ideale dell’avvocato ideale si recava allo studio dello stregone, gli esponeva sommariamente una vicenda, ignorava ogni aspetto dell’operatività dello stregone in toga, e dopo un iter a lui sostanzialmente oscuro, sia che si vincesse, sia che si perdesse, versava allo stregone/avvocato una cospicua somma, che a volte poteva essere una parte di quella ottenuta, in caso di vittoria, ma anche in caso di sconfitta andava ad aggiungersi al danno, quale ulteriore beffa. Questa è una delle verità scomode che gli avvocati non vogliono conoscere, né indagare, per comprendere il perché dell’esplosione dell’avvocatura di massa. Eppure essere onesti sulle ragioni che ci hanno spinti a diventare avvocati, superare le menzogne sulla nostra presunta vocazione da missionari laici, sarebbe il primo passo per ripensare un Ordine Forense costruito finalmente per essere elite intellettuale.
Nell’avvocatura italiana, per constatazione più o meno unanime, ciò è attualmente impossibile. Lo stregone/avvocato è ormai un Re nudo, non più in grado di arzigogolare ed “azzeccagarbugliare” la propria attività. Il valore aggiunto apportato a molte vicende di scarso impegno intellettuale è sostanzialmente contenuto nella riserva in favore del professionista, ma la concorrenza distruttiva dell’avvocatura di massa, con il ribasso dei prezzi, ha denudato anche le parti più intime ed inconfessabili del meccanismo speculativo alla base del nostro successo economico. E’ così che il reddito si sposta verso lo status, lo studio in grado di servire i clienti ricchi, le entrature, le capacità di incidere, non per mezzo del mero “sapere”, ma dell’essere. E’ così che la maggior parte del valore stoccato nelle possibilità di successo reddituale dell’avvocato si rivolge all’essere e non al sapere, o al saper fare.
La realtà, che piaccia o meno, è questa. Il contesto ambientale, i contatti pregressi, la familiarità della professione, sono valori aggiunti che sovrastano la preparazione, la cultura e la capacità di operare bene. L’avvocato contemporaneo ricco è un operatore di marketing legale, che cerca nuove vie, si apre alla pubblicità, alla multidisciplinarietà ed ai servizi legali integrati. Lo stregone/avvocato di paese resta una figura residuale, destinata presto a scomparire. L’avvocato artigiano generalista, attivo nei territori ad altissima densità forense, si avvia ad essere estromesso dal mercato dall’insostenibilità della concorrenza.
Avv. Salvatore Lucignano