Frank Costello fu il più potente boss mafioso di New York dal secondo dopoguerra agli anni 50. Nel 1951 Costello accettò di farsi riprendere durante l’interrogatorio organizzato dalla commissione d’inchiesta sul crimine organizzato, guidata dal senatore degli Stati Uniti Estes Kefauver. Fu ordinato di riprendere solo le mani del boss, il quale le mosse così nervosamente, durante l’interrogatorio, da rendere famoso quel “balletto”, divenuto celebre nelle cronache statunitensi dell’epoca.
Ad una domanda che gli fu rivolta, Costello rispose in un modo singolare. Gli fu chiesto: “cosa ha fatto in tutti questi anni per essere un buon cittadino americano?” Frank, che non credeva che sarebbe stato messo sotto pressione in modo così efficace dai suoi interlocutori, rispose, quasi di scatto: “ho pagato le tasse!”
Tutto qui. La risposta di Costello era: “ho pagato le tasse”. Non avvertiva la distanza dalla società civile, non vedeva il suo essere mafioso come un problema per l’appartenenza alla società americana. Lui “aveva pagato le tasse”, era in regola, era a posto. Perché racconto tutto questo? Semplice, perché molti avvocati italiani si comportano esattamente allo stesso modo.
In questo periodo ne ho sentite e lette tante, tantissime. Potrei raccogliere tutti gli slogan vuoti che ho sentito in questi quattro e più anni di politica forense e riempirci un libro. Una sorta di bestiario del pensiero debole, anzi debolissimo, a cui ho sempre cercato, non senza commettere errori, di porre rimedio con la buona politica.
“Dobbiamo essere uniti, non ci sono nemici interni, siamo tutti avvocati, dobbiamo guardare oltre, ritrovare il prestigio, il ruolo sociale, la colleganza. Il nemico è fuori, i modi sono importanti, dici cose giuste, ma i toni…
E ancora: ma sei troppo diretto, dici troppe verità scomode, devi curare i rapporti, devi essere più falso, ci vuole tempo, lui ha i voti, lei è amica di lui, loro sono qui da tempo, si ma non possiamo, ok ma non dobbiamo… ecc. ecc.”
La verità? La verità è che ai colleghi si può offrire esempio, lotta, impegno, proposta, competenza e cercare di ottenere il consenso necessario a cambiare l’avvocatura. I colleghi alla fine scelgono e scelgono ciò che vogliono. Quando leggo di avvocati che si dolgono che nella nostra categoria cambi poco, gli chiedo sempre se loro cambiano. Gli chiedo chi votano, quali battaglie fanno, in cosa si impegnano. A volte qualcuno mi risponde: ma io vado in udienza! Allora sorrido. Mai sentito un ferroviere dire che per votare si reca in stazione . Gli avvocati invece si. Ci sono avvocati per cui il contributo al miglioramento della nostra professione è: ma io vado in udienza.
Gli avvocati si lamentano che l’avvocatura non cambi, non migliori, ma pensano che per fare il proprio dovere, per aiutare a migliorarla, basti andare in udienza. Proprio come il vecchio Frank. In fondo lui “pagava le tasse!”
Avv. Salvatore Lucignano