Il regime previdenziale forense dagli anni novanta in poi è passato dalla
mutualità alla solidarietà di categoria (Corte Costituzionale 06.05.1997, n.
119) il principio di solidarietà non si è sovrapposto al principio
mutualistico, ma ha operato da correttivo mitigando il criterio di
proporzionalità delle prestazioni ai contributi versati nella misura
occorrente per assicurare a tutti gli appartenenti alla categoria mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita. Nella seconda metà degli anni ’90
Cassa Forense è stata interessata dal fenomeno della cd.
“privatizzazione” delle Casse previdenziali dei liberi professionisti, ovvero
la loro trasformazione in persone giuridiche di diritto privato esercenti
una funzione pubblica, avviata dall’art. 1, commi 32 e 33, l. n. 537/1993
ed attuata dal d.lgs. n. 509/1994.
Con la privatizzazione Cassa Forense ha rinunciato ad ogni intervento
dello Stato garantendo l’autofinanziamento e l’equilibrio di bilancio. Ne
consegue che con l’avvenuta privatizzazione lo Stato si è affrancato dagli
oneri della previdenza forense scaricati tranquillamente sull’avvocatura
italiana.
Benché, sin dalla l. n. 335/1995, fosse prevista la possibilità di optare per
il sistema di calcolo contributivo ,tanto versi e tanto avrai , ferma la solidarietà
categoriale ,Cassa Forense è rimasta ancorata al sistema di calcolo
retributivo delle prestazioni che, crea debito ,infatti il rapporto tra
contributo medio e pensione media per gli avvocati è di 4,34 il che
significa che, mediamente, paghi 1 e incassi 4,34.
Se dunque il sistema di calcolo retributivo è fallimentare perché crea
debito, occorrerebbe attuare un sistema misto tra contributivo e
retributivo.
Il sistema sarebbe caratterizzato da una “generosità” nei confronti di tutti
gli iscritti ad eccezione degli avvocati che dichiarano redditi e volume
d’affari molto elevati, i quali ricevono in prestazioni molto meno di
quanto hanno versato (si tratta solo di circa sedicimila avvocati ) .
Questo sistema non puo’ reggere stante l’aumento degli avvocati iscritti,
e il conseguente impoverimento della classe . In questa prospettazione
si impone una riforma strutturale del sistema previdenziale forense ed
una migliore regolamentazione della solidarietà che deve essere
indirizzata, a chi ne abbia effettivamente bisogno, così da coniugare la
solidarietà con l’equilibrio di bilancio.
La recentissima sentenza n 67/2018 della Corte Costituzionale in linea
con altri precedenti, ha disegnato la situazione della previdenza forense ,
senza pero ‘ eliminare o ridurre
categoria in una sorta di destino inesorabile e senza via d’uscita . La
riproponiamo di seguito per avere un quadro completo della
interpretazione della Corte :
«Il sistema della previdenza forense – quale disciplinato
fondamentalmente dalla legge n. 576 del 1980, più volte modificata, e
dalla successiva normativa sulla privatizzazione della Cassa, integrata
dalla regolamentazione di quest’ultima – è ispirato ad un criterio
solidaristico e non già esclusivamente mutualistico, come già
riconosciuto dalla Corte (sentenze n. 362 del 1997, n. 1008 del 1988, n.
171 del 1987, n. 169 del 1986, n. 133 e n. 132 del 1984). Gli avvocati
assicurati, che svolgono un’attività libero-professionale riconducibile
anch’essa all’area della tutela previdenziale del lavoro, garantita in
generale dal secondo comma dell’art. 38 Cost., non solo beneficiano –
assumendone il relativo onere con l’assoggettamento al contributo
soggettivo ed integrativo (ex artt. 10 e 11 della legge n. 576 del 1980) –
della copertura da vari rischi di possibile interruzione o riduzione della
loro attività con conseguente contrazione o cessazione del flusso di
reddito professionale, ma anche condividono solidaristicamente la
necessità che, verificandosi tali eventi, «siano preveduti ed assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita», come prescritto dal richiamato
parametro costituzionale. Ciò rappresenta, non diversamente da
parallele forme di previdenza per altre categorie di liberi professionisti,
la connotazione essenziale della previdenza forense, quale soprattutto
risultante dalla riforma introdotta con la citata legge n. 576 del 1980, e
segna il superamento dell’originario e risalente criterio, derivato dalle
assicurazioni private, di accantonamento dei contributi in conti
individuali per fare fronte, in chiave meramente assicurativa e non già
solidaristica, a tali rischi. Le plurime prestazioni previdenziali previste dalla legge
n. 576 del 1980,quali la pensione di vecchiaia (art. 2), quella di anzianità (art. 3),
quella di inabilità (art. 4) o di invalidità (art. 5), quella di reversibilità (art. 7),
rappresentano le distinte articolazioni di tale solidarietà mutualistica
categoriale prescritta dal legislatore con carattere di obbligatorietà in
attuazione del precetto costituzionale posto dall’art. 38, secondo
comma, Cost. e da ultimo rafforzata dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247
(Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense), nella
misura in cui dall’iscrizione agli albi consegue automaticamente la
contestuale iscrizione alla Cassa (art. 21, comma8).
L’abbandono di un sistema interamente disciplinato dalla legge – dopo la
trasformazione della Cassa in fondazione di diritto privato, al pari di altre
casse categoriali di liberi professionisti, in forza del decreto legislativo 30
giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma
32, della legge 24 dicembre 2 1993, n. 537, in materia di trasformazione
in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di
previdenza e assistenza) – e l’apertura all’autonomia regolamentare del
nuovo ente non hanno indebolito il criterio solidaristico di base, che
rimane quale fondamento essenziale di questo sistema integrato, di
fonte ad un tempo legale (quella della normativa primaria di categoria) e
regolamentare (quella della Cassa, di natura privatistica). Con il citato
d.lgs. n. 509 del 1994, il legislatore delegato, in attuazione di un
complessivo disegno di riordino della previdenza dei liberi professionisti
(art. 1, comma 23, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante
«Interventi correttivi di finanza pubblica», ha arretrato la linea
d’intervento della legge (si è parlato in proposito di delegificazione della
disciplina: da ultimo, Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 13 febbraio
2018, n. 3461), lasciando spazio alla regolamentazione privata delle
fondazioni categoriali, alle quali è assegnata la missione di modellare tale
forma di previdenza secondo il criterio solidaristico. Rientra ora
nell’autonomia regolamentare della Cassa dimensionare la
contribuzione degli assicurati nel modo più adeguato per raggiungere la
finalità di solidarietà mutualistica che la legge le assegna, assicurando
comunque l’equilibrio di bilancio (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 509 del
1994) e senza necessità di finanziamenti pubblici diretti o indiretti (art. 1,
comma 3, del medesimo decreto legislativo.), che sono anzi esclusi
(sentenza n. 7 del 2017). È tale connotazione solidaristica che giustifica e
legittima l’obbligatorietà – e più recentemente l’automaticità ex lege –
dell’iscrizione alla Cassa e la sottoposizione dell’avvocato al suo regime
previdenziale e segnatamente agli obblighi contributivi . Il criterio
solidaristico significa anche che non c’è una diretta corrispondenza, in
termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione, alla quale è
chiamato l’avvocato iscritto, e le prestazioni previdenziali (ed anche
assistenziali) della Cassa. Si ha quindi che l’assicurato, che
obbligatoriamente, e da ultimo automaticamente, accede al sistema
previdenziale della Cassa (ora fondazione con personalità giuridica di
diritto privato), partecipa, nel complesso ed in generale, al sistema delle
prestazioni di quest’ultima, il cui intervento, al verificarsi di eventi coperti
dall’assicurazione di natura previdenziale, si pone in rapporto causale
con l’obbligo contributivo senza che sia necessario alcun più stretto ed
individualizzato nesso di corrispettività sinallagmatica tra contribuzione e
prestazioni. È questo criterio solidaristico che assicura la corrispondenza
al paradigma della tutela previdenziale garantita dall’art. 38, secondo
comma, Cost. In riferimento all’art. 53 Cost. «quella contributiva
previdenziale non è una imposizione tributaria vera e propria, di
carattere generale, ma una prestazione patrimoniale diretta a
contribuire esclusivamente agli oneri finanziari del regime previdenziale
dei lavoratori» (sentenza n. 173 del 1986; nello stesso senso sentenza n.
88 del 1995). Si è già ricordato che l’obbligazione contributiva
dell’assicurato iscritto alla Cassa trova fondamento nella prescritta tutela
previdenziale del lavoro in generale art. 38, secondo comma, Cost.) e si
giustifica nella misura in cui è diretta a realizzare tale finalità, la quale
segna anche il limite della missione assegnata alla Cassa. Diversa è
l’obbligazione tributaria che si fonda sulla «capacità contributiva» (art.
53, primo comma, Cost.) e che non ha e che non ha necessariamente
una destinazione mirata, bensì si raccorda al generale dovere di
concorrere alle «spese pubbliche» e può anche rispondere a finalità di
perequazione reddituale nella misura in cui opera il prescritto canone di
progressività del sistema tributario (art. 53, secondo comma, Cost.).
Stante questa differenziazione, la contribuzione dovuta alla Cassa, fin
quando assicura l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici alle
esigenze di vita, anche con un indiretto effetto di perequazione, non
eccede la solidarietà categoriale di natura previdenziale, in quanto «volta
a realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale»
(sentenza n. 173 del 2016), né trasmoda in un’obbligazione ascrivibile
invece alla fiscalità generale e quindi di natura tributaria».
La Corte Costituzionale definisce i contributi previdenziali “ prestazioni
patrimoniali imposte, cd. Parafiscali “, resta confermata la non
regressività degli stessi e quindi spetterà al Giudice del lavoro,
interessato da numerosi ricorsi sulla illegittimità di una contribuzione
minima non parametrata al reddito, dare della normativa in questione
un’interpretazione costituzionalmente corretta, escludendo la
regressività che è nata in altri tempi storici al solo fine di finanziare
meglio la pensioneminima.
Si avvicinano (24-28 settembre 2018) le elezioni per il rinnovo del Comitato
dei Delegati di Cassa Forense.
In Cassa Forense devono essere eletti colleghi preparati in previdenza e
finanza ma anche consapevoli dei problemi che oggi il sistema
previdenziale forense pone non essendo più in grado di rispondere
all’esigenza di flessibilità che moltissimi iscritti chiedono.
La interpretazione della Corte Costituzionale è anacronistica e contraddittoria
“fa Acqua da tutte le parti “ , è anacronistica laddove rafforza l’obbligatorietà
prevista dalla legge 247 del 2012 , che deve soddisfare il criterio della solidarietà
e dei parametri di bilancio, in un momento storico in cui molti colleghi si
cancellano dall’albo ,per cui il principio della solidarietà e sostenibilità crolla in
ogni caso . E’ contraddittoria laddove il contributo che versiamo alla Cassa non
sarebbe puramente fiscale ma parafiscale cioè un “UFO” non meglio
identificato.
Non ultima critica va mossa all’analisi della Corte che ci appare come “Pilato”
che si lava le mani rimettendo il tutto nelle Mani dell’Ente Cassa sottolineando
la sua totale autonomia regolamentare, facendo salvi il criterio solidaristico e
l’equilibrio di bilancio. Quest’ultima ergo l’autonomia regolamentare di mamma
Cassa ci mette in una posizione di vantaggio dove il nostro Ente previdenziale
puo’ tranquillamente modificare alcuni parametri come la obbligatorietà e
soprattutto consentire agli avvocati che hanno un reddito basso di versare in
proporzione al loro guadagno, altrimenti la loro cancellazione comunque
elimina quello che è il principio della sostenibilità che viene meno sua sponte
come conseguenza della cancellazione degli stessi dall’albo e di conseguenza
dalla Cassa . Lo Stato dal suo canto deve varare una legge che preveda la libertà
di scegliere il sistema previdenziale piu’ consono alle esigenze del singolo
avvocato .
Il sistema previdenziale forense deve e dovrà essere in grado di
intercettare i bisogni degli iscritti per realizzare quella uguaglianza
sostanziale e non solo formale che sta alla base della parte più innovativa
dell’art. 3 nel secondo comma della costituzione laddove si afferma che per
rendere effettiva l’eguaglianza fra i cittadini, lo Stato e in questo caso
Cassa Forense deve fare interventi che tutelino e migliorino le condizioni
delle categorie svantaggiate.
Segretario Nad Nola
Dirigente Nazionale Nad
Avv. Anna Mondola