9 Aprile, 2018 | Autore : Salvatore Lucignano |
Avevamo già pubblicato le foto che ritraevano questa pagina del resto del Carlino. Si parla di Pesaro, le interviste sono di qualche giorno fa. Solo queste foto, più dettagliate, ci hanno permesso di leggere l’intervista all’Avv. Del Prete, Presidente dell’Ordine di Pesaro. Si consiglia “di non puntare tutto su un’unica strada”. Praticamente il contrario di quanto abbiamo fatto noi, che abbiamo cominciato 10 o 15 anni fa.
Come si può crescere, puntare all’eccellenza, se avviarsi all’avvocatura deve essere “uno” dei tentativi di trovare uno stipendio? Tra cosa ci si deve dividere? Intendiamoci, l’intervista del collega Del Prete è molto onesta, è assai apprezzabile nella sua “purezza”. Il dramma è un altro: ormai solo i ciechi si rifiutano di vedere ciò che NAD denuncia con estrema forza: ovvero che l’avvocatura sta morendo, che il sistema ordinistico non ha saputo fare nulla per impedirlo, che persino le antistoriche preclusioni all’integrazione reddituale mediante la pratica di diverse attività lavorative, lungi dal selezionare avvocati migliori, diventa incompatibile con la sopravvivenza dei più deboli.
Via alle limitazioni nel lavoro.
NAD lo ha denunciato da tempo: limitare l’agire dell’avvocato gli ha precluso spazi operativi, occupati da altri soggetti e professionalità. Il regime delle incompatibilità professionali, aggirato da molti con l’utilizzo di prestanome o di società di fatto, non ha assolutamente retto alla prova dei fatti. Le norme che tengono l’avvocato in una ideale riserva indiana erano state pensate dalla Cosa Nostra Forense per separare nettamente il mondo reale da quello ideale. La nostra legge professionale aveva esattamente questo scopo: destinare coloro che si misurano con il mondo reale all’espulsione, selezionando una classe di sopravvissuti basata solo sulla forza del denaro. E’ il vero scopo del “sistema”, lo stiamo denunciando da tempo e nessuno riesce più a nascondere la verità.
La previdenza usata come strumento di selezione per censo.
I tanti articoli pubblicati sul nostro sito internet da Giuseppe Fera, tesoriere nazionale NAD ed uomo di punta nella battaglia nazionale per una nuova previdenza forense, non lasciano adito a dubbi. La ratio del sistema previdenziale attualmente in vigore è quella di predare i deboli, per costringerli a lasciare, accumulando una ricchezza, una grande quantità di liquidità, che consenta ai gestori dell’immenso patrimonio della Cassa di Previdenza di intessere relazioni con la politica, al fine di esercitare un ruolo di supporto a disegni di natura estranea al fine che dovrebbe avere una previdenza seria. Questo fine è stato esplicitato da Fera con una sintesi mirabile ed incontestabile:
Cassa Forense dovrebbe limitarsi ad offrire le migliori pensioni possibili al minor costo possibile per gli iscritti.
Superare l’attuale meccanismo di accesso alla professione.
Esiste un problema che si chiama BOLLA SPECULATIVA. NAD lo denuncia da mesi. L’accesso alla professione va immediatamente riformato, attrarre i giovani in questo calvario è un atto criminale. Immettere nuova concorrenza in una professione già devastata da un numero insostenibile di professionisti è un atto criminale. Allo stesso tempo vanno proposte misure emergenziali, IMMEDIATE alla politica. Se l’avvocato esercita una funzione di valore pubblico, essenziale per il funzionamento della giustizia, assistere inermi al massacro del dumping indotto nella nostra professione è vile e sbagliato. Un’avvocatura ridotta alla fame è ostacolo al buon funzionamento della giustizia, comporta l’immissione di germi devastanti, nocivi, all’interno della società italiana. Si deve ragionare di un governo della concorrenza, ripudiando finalmente un’idea selvaggia, antigiuridica ed improponibile della stessa, basata sulla guerra al ribasso delle tariffe praticate sulle prestazioni professionali. Quella non è concorrenza, quello si chiama dumping e non produce nessun vantaggio sociale, oltre a favorire l’estinzione di una fetta di avvocati in grado di approcciarsi ai cittadini con modalità e richieste compatibili con le loro possibilità. I processi selettivi voluti dalle istituzioni forensi mirano a far sopravvivere solo enormi strutture, altamente capitalizzate ed informatizzate, in cui il ruolo centrale dell’operatività è svolto dal capitale. Un quadro che porterà ad un sempre maggiore numero di italiani che si vedranno costretti a rinunciare all’esercizio delle proprie ragioni nei prossimi anni.
I dati di recente pubblicati dalla Cassa Forense parlano di un terzo dei cittadini che già oggi non agisce in giudizio, ritenendolo inutile ed improduttivo. Di questo passo la situazione è destinata a peggiorare, con ricadute letteralmente devastanti sulla coesione e la giustizia sociale.
Avvocato in crisi: niente ipocrisie.
NAD già nel 2014 presentò la mozione congressuale che prevedeva l’istituzione della figura del professionista in crisi. Lavorai al testo, NAD non era ancora nata, ma già c’era. Noi già combattevamo. La proposta era di poter usufruire di uno status di crisi che esonerasse l’avvocato in difficoltà da ogni obbligo, fiscale e contributivo, per tre anni, anche non consecutivi. E’ una misura che oggi, di fronte ai dati reddituali in nostro possesso, si impone come elemento minimo di sostegno sociale ad una categoria che sta vivendo la proletarizzazione e la perdita di opportunità come elemento dominante della propria vita professionale.
Riporto il testo della mozione riguardante l’istituto proposto, ben quattro anni fa. Occorre far comprendere ai colleghi che mentre in questi anni c’era chi si faceva stipendi con i loro soldi, declamando un mondo perfetto che non c’è, c’erano anche colleghi che vedevano per tempo i rischi della disfatta, e si preoccupavano di proporre in concreto i modi per evitarla:
L’avvocatura italiana riunitasi nel XXXII Congresso Nazionale a Venezia, dà mandato all’Organismo Unitario dell’Avvocatura di adoperarsi in sede politica perché vengano adottate le seguenti misure di sostegno all’avvocatura in crisi e di ampliamento delle fonti di reddito dei colleghi in maggiore difficoltà economica;
- Prevedere il riconoscimento di una soglia reddituale minima al di sotto della quale ottenere la dichiarazione dello status di “professionista in difficoltà”. Tale condizione ed i relativi benefici di legge dovrebbero essere previsti per un numero massimo di tre anni, anche non consecutivi, scaduti i quali al professionista non sia più data possibilità di goderne i vantaggi;
- Collegare allo status di professionista in difficoltà specifici benefici di natura fiscale e previdenziale, consistenti in:
2.a. possibilità di evitare ogni tipo di adempimento fiscale e previdenziale per l’esercizio in cui si sia in difficoltà, salva la comunicazione al proprio ordine circondariale di trovarsi nella condizione di sofferenza prevista dalla legge;
2.b. avere accesso privilegiato ad incarichi professionali assegnati dagli organi giurisdizionali, attraverso la possibilità di farne richiesta, con adozione di specifiche corsie preferenziali che mettano a disposizione dei professionisti in crisi tali incarichi;
2.c. ottenere l’esenzione completa dell’obbligo di pagamento degli oneri previdenziali quando si abbia ottenuto il riconoscimento di professionista in difficoltà, con possibilità di riscatto dei contributi minimi previsti, concessa al professionista che riesca a superare la difficoltà;
- Inserimento dello status di professionista in difficoltà all’interno della legge professionale, e segnatamente dell’art. 21 comma 1, attraverso norme che impediscano al professionista riconosciuto in difficoltà e che non riesca per questo ad esercitare la propria professione in modo effettivo, continuativo, abituale e prevalente, di subire la cancellazione dall’albo professionale;
Ecco, questo NAD lo diceva già nel 2014. Nel frattempo chi non voleva vedere continuava a raccontare frottole.
Le menzogne però oggi non reggono più alla prova dei fatti. Le prospettive future restano estremamente negative. La politica assistenziale e clientelare della Cosa Nostra Forense ha fallito. Lo dicono i numeri. I bandi, le briciole, l’assistenza erogata al fine di costruire clientele elettorali, hanno dimostrato tutta la loro inefficacia nell’affrontare una crisi che è sistemica, profonda e richiede misure drastiche, per poterci consentire di invertire la rotta.
Le prese d’atto dell’estinzione, anche da parte di esponenti della Cosa Nostra Forense (sotto pubblichiamo l’intervista all’Avv. Pardi, membro della CNF), sono parziali, tardive e inconcludenti. L’equo compenso è un’arma spuntata, che tiene fuori dalla propria portata applicativa i rapporti professionali degli avvocati più deboli, quelli con i privati.
Non si contano ormai le storie che narrano della grande fuga dalla “decorosa miseria”. Non è più tempo di favole, ma di guardare in faccia la realtà.
Occorre affrontare immediatamente la situazione, perché il tempo scarseggia. I prossimi anni assomiglieranno sempre di più al far west. Le istituzioni forensi si troveranno a gestire una massa di istanze sempre più caotiche ed ingovernabili, perché la miseria tra gli avvocati italiani è destinata a crescere, con ricadute ad oggi difficilmente ipotizzabili. Si deve mettere la crisi della professione al centro dell’agire di una rappresentanza forense riformata, finalmente inclusiva verso i giovani, le donne ed i soggetti in crisi. Occorre uscire da un sistema che fino ad oggi ha visto i forti e i sicuri scrivere (malissimo) le regole utilizzate per vessare tutti quanti gli altri.
NAD si impegnerà per invertire la rotta, anche se è difficilissimo attendersi risultati concreti, senza una forte presa di coscienza da parte della classe.
Avv. Salvatore Lucignano