Non è vero che in Italia gli avvocati che si occupano di politica forense siano tutti uguali ,che nessuno abbia indicato le degenerazioni dell’avvocatura, che non esistano o non siano state offerte alla Cosa Nostra Forense le possibili soluzioni per ovviare alla catastrofe che ci stava piombando addosso.
Nel gennaio del 2014, quando dire che il numero di avvocati era figlio di una speculazione irrazionale, che presto avrebbe portato la bolla ad esplodere, costava l’emarginazione dall’intera comunità forense, più ancora di quanto non costi ora, io fondavo la mia sintesi di autoriforma della professione proprio sulla necessità di porre un freno immediato ai NUOVI accessi. In questi anni gli avvocati già presenti all’interno del mercato sono stati ingannati e si sono fatti ingannare. Vi hanno fatto credere che le misure urgenti, da prendere già ALLORA, non avrebbero dato risultati significativi, già ORA.
Sono passati oltre quattro anni da quell’11 gennaio 2014 e sono stati quattro anni perduti, che avrebbero potuto e dovuto segnare una svolta. Avremmo dovuto pretendere di difendere noi stessi da un fenomeno di aumento della pressione speculativa che stava chiaramente distruggendo gli avvocati incapaci di stare nei meccanismi della corruzione istituzionalizzata, ma abbiamo continuato a scandalizzarci di fronte ad un provvedimento regolatore della concorrenza, facendo nostre le tesi di chi mirava allo scoppio della bolla per mezzo dell’aumento indiscriminato di cercatori di reddito all’interno di una professione che non aveva più alcuna prospettiva futura da offrire.
Eppure, se avessimo saputo adottare una moratoria ai nuovi accessi, scoraggiando il ricambio e battendoci per l’uscita dalla professione dei percettori di pensioni che continuano ad esercitare, avremmo potuto facilmente capitalizzare questi anni, innestando una spirale finalmente virtuosa, in grado di ridurre il numero di avvocati italiani, ottenendo sicuramente un dato migliore rispetto agli attuali 242 mila. Misure strutturali, frutto di una visione finalmente sostenibile e vincolata al rispetto di precetti di etica pubblica, avrebbero già ora ribaltato la visione del mercato, in ambito di servizi di giustizia, come spazio economico alieno dal doveroso controllo dello Stato, avrebbero potuto fondare nuove politiche nazionali di tutela dello spazio territoriale, per mezzo di una riaffermazione dei diritti e delle prerogative concesse ai cittadini italiani dalla nostra Costituzione.
Gli avvocati hanno invece scelto la via della paura, della supina acquiescenza rispetto a dei mantra propugnati da una versione popolare e macchiettistica del diritto europeo, rinunciando a tentare di elaborare concetti e misure di legge in grado di sfidare l’interpretazione dominante dei fenomeni di massificazione e dumping interni al settore giustizia italiano.
Le responsabilità delle classi dirigenti dell’avvocatura sono state enormi e certamente i limiti culturali, personali e caratteriali dei vecchi padrini della Cosa Nostra Forense non possono giustificare il generalizzato deserto che ha praticamente azzerato le iniziative volte a discutere di una legislazione che finalmente desse all’avvocato un ruolo pubblico, difendendo il suo diritto ad essere sottratto dal mercato bestialmente inteso, dalla schiavitù della domanda e dell’offerta, del ribasso indotto del valore di ogni sua prestazione intellettuale e del valore accumulato nel suo titolo professionale.
Assistiamo dunque ad un processo davvero grottesco. Coloro che non hanno saputo tutelare il ruolo costituzionalmente garantito dell’avvocatura e dell’avvocato, pretendendo che i concetti di concorrenza, mercato, equilibrio economico e di funzionamento del pianeta giustizia fossero rispettati e governati, oggi osano proporre il riconoscimento di un proprio ruolo necessario nelle strutture della democrazia italiana. Quello stesso Consiglio Nazionale Forense che non ha mai parlato di bolla, non ha mai guidato un solo tentativo di razionalizzazione della bulimia forense che non fosse basato sullo sterminio dei più deboli, degli avvocati meridionali, dei giovani, delle donne, si erge a paladino dell’Ordine Forense, sostituendosi a coloro che, per colpa della sua vergognosa inerzia, si stanno avviando all’estinzione, a decine di migliaia.
I paladini dell’immobilismo in realtà non volevano che il sistema fosse riformato in modo meritocratico. Il disegno messo in piedi dalla 247/2012 prevedeva una scrematura che lasciasse al sicuro i privilegiati, gli istituzionalizzati, i vecchi e gli inefficienti. Introdurre una nuova forma di concorrenza qualitativa, sottoporre i privilegiati e i ricchi alla guerra dei più bravi, dei più giovani, delle tante colleghe capaci e motivate che in questi anni premevano alle porte della torta, avrebbe significato accettare un rischio ed una sfida che la casta istituzionalizzata non poteva permettersi. Così si è scelta un’altra via, opposta a quella da me ipotizzata: si è creata la figura dell’avvocato diminuito, sottoposto ad una sorta di tutela da parte della Cosa Nostra Forense e si è continuato a lasciare che i disperati si riversassero nella bolla, in modo da andare a generare ancora più pressione sulle categorie economicamente e socialmente più svantaggiate, destinate così, nei piani dei padrini della cupola, ad alzare bandiera bianca ed abbandonare la professione, lasciando campo libero alle concentrazioni di capitali, altamente tecnologizzate, specializzate, e ben rifornite di manodopera a basso costo.
Il disegno non è stato particolarmente difficile da scorgere. Tutto era già chiaro a chi avesse analizzato la vicenda andata in scena nel 2012, al famigerato Congresso Nazionale di Bari, dove una legge professionale retrograda, classista, sessista, scritta dai vecchi e dai potenti per fottere tutti coloro che non facevano parte di Cosa Nostra, fu approvata e fatta approvare, con il preciso intento di sterminare l’eccesso, dolosamente attratto verso un miraggio, ma già considerato carne da cannone.
MORATORIA AGLI ACCESSI E PENSIONAMENTO INCOMPATIBILE CON L’ESERCIZIO DELL’ATTIVITA’.
Eppure una politica orientata a tutelare il valore del titolo, a riqualificare, a ridurre la bulimia di una classe gonfiata da numeri malati, spaventosi, che non hanno uguali al mondo, ci avrebbe consentito di guadagnare tempo prezioso, di lavorare per un programma di riconversione e redistribuzione del reddito morbida, compatibile con i nuovi contesti operativi che si stanno delineando. Governare il nostro numero sarebbe stato il compito primario di una classe dirigente illuminata, realmente dedita al bene degli avvocati, onesta verso i giovani che si stanno ancora affacciando ad una professione che alla gran parte di loro non lascerà scampo, né sul piano umano, né su quello professionale ed economico.
Un serio programma che si strutturasse in due punti:
- Una moratoria ai nuovi accessi, con l’istituzione di un pubblico concorso, capace di selezionare solo i migliori, al termine di un processo di qualificazione e prove da svilupparsi durante il tirocinio;
- L’imposizione dell’abbandono dell’esercizio attivo della professione a quegli avvocati che contemporaneamente scelgano di godere dei trattamenti pensionistici maturati, naturalmente con percorsi economici incentivanti per i destinatari della misura;
già ci avrebbero consentito di avviarci ad una drastica riduzione del numero di avvocati attivi. L’effetto psicologico legato ad una pubblica ammissione di un meccanismo di ingresso insostenibile avrebbe via via scoraggiato i tanti illusi che ancora si stanno avvicinando ad una fornace etica, capace di divorare vite, aspettative e dignità. Agire in tal senso era un dovere, e lo è ancora, per chiunque voglia davvero bene all’avvocatura italiana, ma chi ancora ha da piazzare figli, amanti, portaborse e lacchè nei propri studi, un tempo avviatissimi, non può o vuole che l’accesso si precluda al sangue e al vizio, diventando territorio per la certificazione delle eccellenze intellettuali, che pure ci sono e che sarebbero a quel punto invogliate a tornare all’avvocatura, finalmente vista come élite, e non come ripiego.
La questione che oggi ci riguarda più da vicino attiene al ripensamento, alla rinascita dell’avvocatura, che non può più fare a meno di dare ai propri appartenenti una forza ed una sicurezza economica, se vuole davvero coinvolgerli nel miglioramento della società. Ogni altra pantomima che prescinda dai bisogni materiali, dall’operatività che sta via via riducendo sul lastrico le famiglie di chi ha scelto questa professione, non fa che alimentare nuova tensione su un sistema che rischia di vedere esplodere i conflitti fino ad oggi sopiti, con effetti che potrebbero destabilizzare la Cosa Nostra Forense ben più delle violente e sacrosante critiche che piovono sulla cupola dall’interno dei social network.
Se riuscissimo ad ottenere un calo del numero di iscritti anche solo di 30 mila unità nei prossimi 5 o 6 anni, il beneficio reddituale, morale ed operativo per tutto il comparto giustizia sarebbe enorme e l’avvocatura potrebbe fornire un aiuto concreto alla riconversione del sistema, scegliendo finalmente di investire nell’efficienza, nell’efficacia e nella celerità delle risoluzioni del conflitto, sconfiggendo ogni resistenza interna alla modernizzazione del nostro ruolo.
NAD continuerà ad impegnarsi per questi obiettivi, che appaiono più che mai strategici ed irrinunciabili. Continueremo a lottare ed informare,porteremo le nostre proposte all’attenzione della società italiana, certi che nulla vada tralasciato, di ciò che può essere fatto per salvare la nostra professione. Occorre subito un piano di riduzione del numero di avvocati che ponga la sostenibilità economica del settore giustizia al primo posto del dibattito politico forense, occorre una task force che blocchi ogni altro progetto, per ridare valore al titolo di avvocato, consentendo a chi lo possiede di riguadagnare prospettive reddituali, sia in ottica presente che futura. Serve avere accesso a un sostegno statale, che supporti la categoria, dal punto di vista contributivo e fiscale, realizzando un modello di sviluppo che contemperi le aspirazioni private con la visione pubblica del ruolo e della funzione sociale dell’avvocato.
Questo costituirebbe per davvero un effettivo processo di costituzionalizzazione del nostro ruolo, ci ridarebbe forza, prestigio, ci consentirebbe di tornare ad occuparci di alto diritto e non di mera sopravvivenza.
NAD lavorerà su questi temi, perché possiamo ancora salvarci, se lottiamo per farlo.
Avv. Salvatore Lucignano