NAD ha già denunciato la scomparsa del secondo rapporto Censis sull’avvocatura italiana, commissionato dalla Cassa Forense e presentato, in estratto, nella convention organizzata dal committente a Roma, il 9 e il 10 giugno 2017. In quella occasione la Cassa si affannò a dare una visione di comodo dei numeri impietosi offerti dal rapporto, raccontando una realtà taroccata, una delle mille balle del regime dell’istituzionalizzazione forense, alla presenza di giullari, nani e ballerine compiacenti, ovvero del Ministro della Giustizia Andrea Orlando, degli Ordini distrettuali e circondariali, delle associazioni accucciate ai piedi dei padrini. Gran cerimoniere dello show fu il noto giornalista Francesco Giorgino, assoldato (senza alcuna colpa, va detto, facendo egli giustamente il suo lavoro), per per portare la sua capacità di presentatore e moderatore nell’evento fortemente voluto dal tycoon che comanda il vapore, il Presidentissimo Nunzio Luciano.
Alla fine dello spettacolo, una volta spente le luci e calato il sipario, sul sito istituzionale della Cassa Forense apparve uno dei soliti messaggi per iniziati, che avvisava i cari inferiori che il Presidentissimo ed il suo staff avrebbero provveduto entro qualche settimana a pubblicare la versione integrale del rapporto. Ad oggi, 4 aprile 2018, di tale versione, sul sito istituzionale della Cassa Forense, di quel rapporto non vi è traccia.
Si tratta di un fatto importante, a cui ovviamente gli avvocati italiani danno poco peso, ma che NAD continuerà a denunciare, pur nel silenzio generale che accompagna tale azione. Il rapporto Censis del 2016 conteneva dati impietosi sul grado di soddisfazione degli avvocati per il ruolo e i risultati ottenuti dalle rappresentanze forensi: solo il 2,6% si dichiarava “ben rappresentato”, mentre per la Cassa, stando a quanto dichiarato, il dato aumentava, arrivando ad un risicato 6,7%.
Numeri raccapriccianti, che porterebbero alle immediate dimissioni un qualsiasi governo democratico che voglia dire di rappresentare gli interessi di una categoria o gruppo sociale di riferimento. Numeri ancor più netti se confrontati con le percentuali di colleghi che si dichiaravano per nulla rappresentati: il 33,5% per la rappresentanza ordinistica, nel suo complesso, il 26,7% per quanto riguarda il ruolo della Cassa Forense, in particolare.
I numeri aggregati presentavano questo scenario: i colleghi che si sentono poco o per nulla rappresentati dalle istituzioni forensi italiane ammontano all’83,5%. Quelli che si sentono poco o per nulla rappresentati dalla Cassa Forense ammontano al 66,9%.
Eppure, di fronte a questa gigantesca manifestazione di sfiducia, il Presidente di Cassa Forense trovava ancora la faccia tosta di esclamare, alla presentazione dell’estratto del secondo rapporto, nel giugno del 2017:
“I dati rilevati dalla ricerca del Censis, la seconda volta per Cassa Forense, dimostrano che siamo sulla strada giusta”. Cit. Nunzio Luciano
La “strada giusta”. Una rappresentanza forense sfiduciata da una percentuale di colleghi oscillante, grosso modo, tra il 70 e l’80% degli avvocati, e ritenuta capace di tutelare gli interessi di categoria da percentuali da prefisso telefonico, rappresenta, per il Presidente della Cassa Forense, “la strada giusta”.
Una strada che nel 2018 non può offrire agli iscritti che si recheranno al voto per il rinnovo del Comitato dei delegati alla Cassa Forense di quella tabella n. 28, pubblicata nel 2016, che costituirebbe un validissimo strumento di confronto per gli elettori e potrebbe spiegare se la strada ritenuta giusta da chi comanda sia altrettanto comoda per chi muore di fame e vive ogni giorno i disagi di una professione che si stra trasformando in una vera ed ordinaria apocalisse.
“Se sbagliamo… voi non ci corriggerete…” Cit. Zù Totò Mascherin
Il 17 dicembre del 2015 a Roma andava in scena una delle pagine più tristi della storia politica dell’avvocatura italiana. Il padrino dell’Ordine Forense annunciava alla platea silente e succube dell’Agorà degli Ordini la propria decisione di regalarsi una corposa indennità di funzione, di “soli” 90 mila euro annui, spacciata per gettone di presenza e legata ad una arbitraria, personale ed abusiva scelta, quella di dichiarare, a cose fatte, l’avvenuta professionalizzazione della rappresentanza ordinistica apicale. Nei mesi successivi una mano ancora sconosciuta forniva agli avvocati italiani un documento unico nel suo genere, inspiegabilmente ancora presente su youtube, che ho già avuto modo di definire in passato “il video della vergogna”.
Il filmato, abbondantemente riproposto, ma da conservare, a futura memoria di uno dei punti più bassi mai vissuti dalla professione forense italiana, esprime in soli 4 minuti la storia di questi tempi tristi. Vi si scorge un uomo, solo al comando, occupato a giustificare il suo “bisogno di mangiare” grazie ai soldi dei suoi colleghi. Il padrino prosegue, parlando di obbligo di responsabilità derivanti dalla sua carica, ormai professionale, a cui farebbe da contraltare il dovere di prendere atto di risultati non all’altezza dei lauti guadagni.
Chi volesse avere anche la versione “edulcorata” del video della vergogna può vezzeggiarsi nella mia videoanalisi, che presenta un’anamnesi critica e fumantina di quel che vidi allorquando il video venne pubblicato. Ovviamente la visione è sconsigliata ai minori e ai componenti del Consiglio di Disciplina del Distretto Forense di Napoli…
Ebbene, se le rilevazioni di opinione hanno un valore, se 8000 avvocati, censiti dal primo rapporto Censis, hanno espresso nel 2016 un grado di soddisfazione per le rappresentanze ordinistiche pari ad un misero 2,6%, è lecito chiedere a Sua Eccellenza, il padrino dell’avvocatura italiana, se tale “soddisfazione” sia compatibile con una sua riconferma? O forse l’opinione degli avvocati, di certi avvocati, non conta, o meglio, conta quanto quella degli altri, ma tenendo ben presente che quella di alcuni conta più di quella di altri?
La discrasia tra voto ed opinione: Cosa Nostra Forense e voto di scambio.
La risposta che la Cosa Nostra Forense appronta quando NAD rinfaccia ai padrini i loro stessi dati, impietosi e non manipolabili, è che i colleghi votano e sono i voti, e non le opinioni, a dimostrare il gradimento verso certe espressioni della rappresentanza forense. Ebbene, questo è in buona parte falso. La verità, che tutti conosciamo, è che la Mafia Forense S.p.A. compra molti voti di avvocati che disprezzano la Cosa Nostra, ma la sostengono per motivi clientelari, per paura di ritorsioni, per vigliaccheria, o perché ricevono dagli esponenti della Cosa Nostra attenzioni e favori che non vogliono perdere. Molti avvocati si rivolgono al “sistema” con le stesse modalità con cui i cittadini delle zone depresse, prive di autorità autorevoli e di sviluppo economico, si rapportano alla criminalità organizzata. La Cosa Nostra Forense è diventata così l’antistato, in molte realtà forensi, specie le più disagiate, massificate e squalificate, ha costruito un giro di picciotti, di affiliati e di soldati, che sostengono gli esponenti delle famiglie “storiche”, raccontando agli avvocati potenzialmente liberi quanto sarebbe destabilizzante per loro non potersi più rivolgere a Cosa Nostra per ottenere attenzioni e deroghe alle regole.
Il voto dunque, in un sistema corrotto e drogato dal denaro, dal potere, dalla paura di ritorsioni, non è un libero strumento di selezione della migliore rappresentanza possibile ed all’interno dell’Ordine Forense italiano, una mafia che a molti colleghi mette ancora enorme paura, parlare di voto libero e democratico è un’autentica presa in giro. I dati del resto lo testimoniano, senza tema di smentite:
il 2,6% degli avvocati italiani, secondo il rapporto Censis 2016 era soddisfatto della rappresentanza ordinistica, ma al Congresso Nazionale di Rimini, sempre nel 2016, oltre il 60% dei delegati cooptati dai padrini della Cosa Nostra approvò il disegno di cancellazione della rappresentanza unitaria che aveva tentato di costituire un’alternativa dialettica allo strapotere della Cupola. Un voto di regime, conservatore, che stride chiaramente con le rilevazioni di opinione effettuate dagli istituti demoscopici e dimostra forse che gli avvocati votano la Cosa Nostra con lo stesso spirito con cui un tempo l’italiano medio votava per chi era in grado di rappresentare il governo degli apparati burocratici: turandosi il naso.
La scomparsa dei dati contenuti nel secondo rapporto Censis che avrebbero potuto essere comparati con la tabella n. 28 del primo rapporto rappresenta dunque un elemento su cui interrogarsi, insieme alle circostanze analizzate nell’articolo. Il rapporto Censis però, con i suoi numeri, ha dimostrato che il lavoro svolto da Avvocatura 3.0 nel 2015, con il sondaggio rivolto alla giovane avvocatura, era assolutamente equilibrato, ben fatto e presentava una fotografia attendibile delle opinioni dei colleghi compresi tra i 30 e i 35 anni di età. Il quadro uscito dalle nostre domande sulla rappresentanza forense fu allora ancora più crudo nei confronti del regime dell’istituzionalizzazione forense:
solo il 4,6% si dichiarava rappresentato dal Consiglio Nazionale Forense. Un dato che precipitava ad un misero 1%, nel caso della Cassa, restava irrisorio, all’1,7% per l’OUA, l’Organismo Unitario dell’Avvocatura, che sarebbe stato soppresso dalla Cosa Nostra da lì a poco, ma soprattutto vedeva ben il 30,7% degli intervistati affermare che nessuno degli organismi e soggetti oggi attivi nell’ambito della rappresentanza politica forense italiana fosse in grado di svolgere davvero rappresentativo.
Numeri… freddi… crudi, che la Cosa Nostra Forense ha voluto e saputo nascondere, ma che alcuni avvocati italiani continuano a riaffermare e ripubblicare, infischiandosene delle conseguenze disciplinari.
I giovani avvocati italiani non hanno la minima idea di chi siano i Consiglieri nominati da oscure trame di potere al Consiglio Nazionale Forense e vivono la Cassa Forense come una sorta di UFO, i cui volti, i nomi, le parole ed i pensieri restano costantemente nascosti nell’ombra, forse per vergogna, o forse perché gli stessi protagonisti del banchetto avvertono sulla coscienza tutto il peso del proprio essere impresentabili.
Ecco, questi sono i fatti, i numeri, i numeri proposti dalle stesse istituzioni che affermano di godere di fiducia e consenso da parte dei propri rappresentati. La verità è che queste istituzioni mentono per la gola, spudoratamente. L’avvocatura è distante dalla Cosa Nostra Forense, o ne ha paura, o se ne serve per interessi biechi ed inconfessabili, preferendo avere referenti corrotti e corruttibili all’interno della macchina amministrativa, piuttosto che scommettere su nuovi protagonisti, che proclamano di voler porre fine alle clientele ed agli abusi. i voti vengono sistematicamente comprati, i sistemi elettorali sono truccati, le regole vengono fatte ad uso e consumo dei padrini, che pompano denaro liquido, sotto forma di assistenza e prebende, quando si tratta di acquistare il consenso della marmaglia.
Le relazioni pericolose
La macchina dell’istituzionalizzazione forense italiana è piena zeppa di figli di antichi padrini e vecchi baroni. I meccanismi relazionali che consentono il voto “personale”, ottenuto per amicizia, conoscenza, benevolenza o appartenenza alla rete di clientes che i vecchi patriarchi trasmettono spesso, di generazione in generazione, non consente in alcun modo di accostare i concetti di qualità, indipendenza, valore, ai blasoni dei soliti noti, o dei perfetti ignoti, che entrano nella macchina della degradazione ed omologazione ordinistica. Il sistema non permette di sviluppare antidoti, vaccini, capaci di riformare i suoi bubboni dall’interno, o perlomeno lo consente solo a prezzo di enormi sforzi, lotte cruente, che devono necessariamente travalicare i confini della dialettica edulcorata imposta ai ribelli dalla deontologia padrinale. La commistione tra governanti e giudici è endemica e nel caso della Cosa Nostra Forense giunge alla piena identificazione tra gli uni e gli altri, con implicazioni funeste sulla credibilità dell’intero sistema deontologico. Mancano organi di informazione liberi di criticare il regime, mentre la Piovra finanzia iniziative, convegni, Kermesse, conventions, riviste e giornali che hanno il compito di diffondere la voce del padrone.
La strada è giusta si, ma solo per i padroni della strada. E per gli altri?
In questo quadro, semplicemente disastroso, in qui i titoli dei giornali non fanno che parlare di avvocatura ridotta alla fame, di numeri insostenibili, in cui i colleghi, ogni giorno, lanciano grida di aiuto disperate, lamentando edilizia
giudiziaria fatiscente, liquidazioni di onorari risibili, tempi di definizione dei giudizi incompatibili con l’accettazione di incarichi, le parole di chi continua a gozzovigliare, raccontando un mondo che non c’è, continuano a suonare offensive. Valori aulici, strade giuste, splendore e albagia, contrastano in modo sempre più evidente con il pessimismo, i drammi, personali e professionali, vissuti sulla propria pelle e su quella delle proprie famiglie da decine di migliaia di avvocati. Tutta la violenta e volgare propaganda della Cassa Forense sulla bellezza di questi tempi non riesce ad incidere sull’umore e sulle percezioni degli avvocati, che forse avranno il torto di guardarsi in tasca e di non credere alle fandonie di Luciano, raccontate con il supporto di Giorgino.
Fatto sta che le poche rilevazioni offerte dal secondo rapporto Censis sull’avvocatura, quindi sempre da numeri e dati forniti dall’istituzione e non certo da pericolosi rivoltosi, non lasciano affatto supporre che la categoria condivida l’idea che la strada che stiamo percorrendo sia “giusta”.
Al contrario, tra il 2015 ed il 2017 i dati comparati sull’outlook percepito dagli avvocati segnano un netto, gigantesco ed incontestabile fenomeno di regressione. La percentuale degli ottimisti sulla propria condizione è passata dal 36,8% al al 27,8%, mentre i pessimisti sono cresciuti, dal 24,6% al 33,6%.
Ben 9 punti percentuali, che hanno radicalmente mutato opinione su ciò che li attende negli anni a venire, lasciando invariata la percentuale di chi ritiene che il domani non sarà né migliore, né peggiore del presente. Ad oggi gli avvocati italiani si mostrano sfiduciati, stanchi, abbandonati da istituzioni infingarde, che non li rappresentano, e da una politica che si limita a tentare di ridurre la bulimia dell’avvocatura di massa affamando i più deboli, i giovani, le donne. Un’ecatombe, uno sterminio scientemente pianificato, con la complicità consapevole della Cosa Nostra Forense S.p.A.
In un quadro tanto degradato, le rilevazioni di opinione, i sondaggi indipendenti, assumono valore fondamentale per poter dare un volto alle preoccupazioni ed alle angosce di decine di migliaia di avvocati, sull’orlo dell’estinzione.
NAD continuerà a combattere, a non rassegnarsi, a denunciare con forza una situazione sempre più insostenibile. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri figli, ma soprattutto, al nostro giuramento di avvocati, che ci impone di lottare contro ogni forma di sopruso, in primo luogo se perpetrato all’interno dell’avvocatura.
Avv. Salvatore Lucignano