VERSO CATANIA 2018: LA FRAMMENTAZIONE DELL’OPPOSIZIONE DEMOCRATICA

2 Aprile, 2018 | Autore : |

Quando scriviamo che la politica forense, esattamente come ogni forma di attività intellettuale che ambisca a governare ed incidere nella realtà, ha bisogno della diffusione di una cultura “propria”, lo facciamo a ragion veduta.

L’avvocatura italiana vive una forma di infantile e vago rigetto verso la politica, verso la definizione di obiettivi strategici, la salutare distinzione in fazioni, l’affermazione ed il confronto di programmi. Ciò che si impone, quasi in maniera osmotica e senza un’adeguata valorizzazione del momento dialettico, è ciò che viene elaborato e proposto in centri di potere lontanissimi da certa avvocatura, eppure chi non riesce ad incidere sulle decisioni assunte dalle istituzioni forensi italiane, specialmente se è molto critico verso il merito di tali decisioni, assume il dato della propria impotenza o irrilevanza come una maledizione divina, un accidente venuto dagli astri, una sorta di calamità naturale, priva di qualsiasi colpa emendabile che coinvolga la malcapitata comparsa di questa violenta rappresentazione.

Sembra che si voglia dimenticare che la politica e la storia sono fatte di vincitori e vinti, che non esistono scenari privi di definizioni di interessi, che il trovarsi dalla parte giusta della barricata non può limitarsi ad una visione personalistica, per certi versi miserabile, della funzione politica di ciascuno, ma deve mirare a determinare assetti, deve avere ambizioni più alte, riuscire a dare un senso e a lasciare un segno.

 

 

Nel corso degli ultimi 10 anni il sistema ordinistico, quello che io chiamo la “Cosa Nostra Forense”, ha deciso e determinato ogni fatto proposto dall’avvocatura, a se stessa o al paese. L’influenza di quelle fasce di avvocatura estranee alla Cosa Nostra, anche di quelle antagoniste verso “o’ sistema”, è stata davvero minima. Il Congresso Nazionale di Rimini, ricordo già trapassato per alcuni, ma estremamente vivo nella mia memoria, ha dimostrato che l’avvocatura italiana non è solo divisa nel merito delle questioni da affrontare, non vive solo una fisiologica distanza tra posizioni, proposte e soluzioni. Al contrario, a Rimini è emersa una spaccatura culturale, antropologica, ideale, tra chi ritiene che la categoria sia il migliore dei mondi possibili e chi, invece la ritiene”Cosa Nostra”, chi non può e non vuole riconoscersi in una gestione del potere, sia di quello volto ai personalismi, sia di quello legato al “facere”, che ignori i rudimenti della democrazia partecipativa. In questo senso Rimini 2016 non è stato un Congresso, ma un golpe, preparato in luoghi estranei al Congresso, ratificato da una platea che non rappresenta l’avvocatura italiana, ma il sistema ordinistico, cioè un’altra cosa.

 

 

Catania 2018 non potrà essere diverso da Rimini 2016. Il comitato organizzatore del Congresso ordinistico è composto esclusivamente da membri della “Cosa Nostra”. La scelta dei temi su cui la cupola consentirà di aprire bocca non ha tenuto conto di nessun diritto, da parte della minoranza nazionale, ma è stata determinata nel chiuso delle stanze del potere. I padrini della cupola hanno deciso e agli altri non rimane possibilità di far si che oggetto della Kermesse siano temi, scottanti e scomodi, che pure dovrebbero essere trattati.

Non è questa l’ennesima sconfitta congressuale, vissuta da chi non è parte della “Cosa Nostra” e non dovrebbe provocare una riflessione, una profonda autocritica, in quella parte di avvocatura che anche a Catania dovrà limitarsi a prendere atto che Cosa Nostra Forense ha il pieno e totale controllo delle espressioni decidenti di categoria? A mio parere assolutamente si.

In politica il riconoscimento di una condizione di irrilevanza impone risposte adeguate alla situazione. Certo, i tempi della rilevanza sono figli di una consapevolezza che deve essere politica anch’essa, che comportano l’accettazione di fasi di fisiologica opposizione, alternati a ruoli di indirizzo o di governo. Se è sbagliato credere di poter far coincidere costantemente le proprie idee ed i propri programmi con quelli che riescono a determinare il corso delle cose, è anche vero che l’essere fuori da questa possibilità comporta il dovere di organizzare un’alternativa, proponendo alle classi di riferimento programmi, interpreti, strategie capaci di intaccare il quadro di governo che si vuole contribuire a mutare.

 

Nei mesi scorsi abbiamo analizzato la necessità di aggregare un fronte democratico in grado di costruire un’alternativa alla deriva autoritaria vissuta dal sistema ordinistico forense, proponendo che nascesse OUA, ovvero l’Orgnismo Unitario delle Associazioni, proprio per marcare una distanza netta tra gli avvocati democratici italiani e la Cosa Nostra Ordinistica, che non ha alcuna intenzione di sviluppare una dialettica politica con quella parte di avvocatura che a Rimini, nel 2016, si è espressa contro la morte della rappresentanza politica unitaria degli avvocati italiani. L’attuale assetto di potere espresso dagli avvocati vede la totale occupazione degli spazi da parte del sistema ordinistico, contrapposta all’irrilevanza delle associazioni forensi, incluse quelle come AIGA, ormai ufficialmente accucciate ai piedi dei padrini.

Servirebbe uscire da una visione di subalternità politica, rilanciare un progetto che abbia alla base una visione, porsi il problema di un’attività che voglia stare in campo e non accettare passivamente la resa come sbocco dell’incapacità di opporsi in modo proficuo. Occorre unire in un disegno comune anche esperienze diverse, uscire dall’angolo, non lasciare che i temi dettati dall’agenda politica siano quelli imposti da chi oggi comanda. E’ quanto di recente ho ribadito alla rivista “Avvocati”, nel corso di un’intervista di cui riporto un passo, per spiegare la mia idea di futuro e di lotta, in seno alla politica forense congressuale.

REDAZIONE AVVOCATI: 《Nell’ottobre 2018 si celebrerà il Congresso Nazionale Forense di Catania. Si assisterà ad un’ altra Rimini? Quale dovrebbe essere il ruolo delle associazioni forensi e nello specifico di NAD?》
LUCIGNANO: 《Il Congresso non esiste più, posto che sia mai esistito. Chi a Rimini parlava di una sua valorizzazione ha mentito. A Catania non si celebrerà un Congresso, ma un’assemblea votata alla ratifica dei desiderata maturati in seno al Comitato Organizzatore, un soggetto che sceglie di cosa parlare e ha il potere di far approvare solo ciò che è gradito al potere ordinistico.
Le associazioni forensi democratiche hanno un’unica possibilità di uscire dall’angolo: andare a Catania per celebrare un controcongresso, totalmente e coraggiosamente autonomo dalla liturgia ufficiale, che mostri la crisi del sistema alla società italiana, accusando finalmente l’Ordine Forense di autoritarismo. NAD su questo terreno è aperta al confronto con chiunque voglia dimostrare dignità. L’unica pregiudiziale che poniamo è che si faccia sul serio, che la lotta sia radicale e non di facciata.》

 

 

Catania 2018 non può essere una stanca parata di contenuti decisi dai soliti noti, ma perché ciò non avvenga, non possiamo sottrarci ad una riflessione seria e matura sulle capacità di chi si oppone, sia nell’ambito della conquista del consenso, sia per quanto attiene al coraggio di dichiarare che la problematica che vive l’avvocatura italiana non si può risolvere restando all’interno del sistema ordinistico, senza rifondarlo, su nuove e diverse basi ideali e culturali. Questa modalità di organizzazione delle espressioni politiche degli avvocati ha fallito, ha costruito un mostro autoritario, dominato da vecchi maschi, mediocri ed affamati, di soldi e di potere, ed ha tenuto totalmente fuori dai ruoli di indirizzo i giovani liberi, le donne, i più poveri, coloro che vivono sulle proprie spalle gli effetti della crisi della professione.

Fare politica forense oggi deve dunque provare a dare un senso più alto all’idea del mero galleggiamento. Con i padrini dell’avvocatura non si può ragionare, non si può credere che chi vuole che comandino sempre gli stessi abbia in sé le potenzialità per portare ad un vero, radicale cambiamento, una classe che da interi lustri è comandata da facce che si portano dietro una sequela inenarrabile di sconfitte.

 

 

Certo, non siamo stati bravi a far emergere nel modo giusto le inadeguatezze del sistema. Certo, la corruzione, il voto di scambio, l’impreparazione politica dei più giocano il proprio ruolo, nefasto e maledetto, nell’irrilevanza dell’avvocatura libera all’interno delle istituzioni forensi, ma l’alibi non può sempre essere cercato negli altri. Se gli avvocati italiani vivono una crisi di democrazia rappresentativa che è la questione più importante per la sopravvivenza della nostra professione e se questa vicenda non viene avvertita dalla generalità dei colleghi, è perché troppi finti oppositori del regime hanno mancato di combattere, hanno assunto atteggiamenti ondivaghi, spesso compiacenti verso i padrini. Atteggiamenti che hanno solo accelerato il processo di dissoluzione di quelle associazioni che potevano avere un ruolo di catalizzatore del conflitto interno e che invece oggi sono praticamente sparite dalla scena della politica forense, distrutte dalla loro ignavia, prima ancora che dai colpi del nemico.

 

 

Il rilancio di un progetto radicalmente alternativo alla Cosa Nostra Forense richiederebbe coraggio, visione, voglia di battersi. Sono qualità rare, che tra gli avvocati italiani si riscontrano con estrema difficoltà. Eppure, se vogliamo impedire che la frammentazione e l’irrilevanza di chi non si riconosce in questo stato di cose racconti una storia da cui noi tutti rischiamo di essere totalmente cancellati, dobbiamo tentare. Dobbiamo superare immaturità e personalismi, costruire una forza nazionale che ponga al centro dell’azione collettiva il sovvertimento delle attuali istituzioni forensi, dobbiamo abbandonare la paura di essere additati come rivoltosi, facinorosi o peggio, traditori della patria.

La Cosa Nostra Forense non è l’avvocatura. Il Consiglio Nazionale Forense, organismo eversivo, padronale, marcio fino al midollo, non rappresenta la politica degli avvocati ma di certi avvocati: quelli vecchi, maschi, conservatori e ignoranti. Noi dobbiamo avere il coraggio di gridare queste cose, senza paura delle possibili conseguenze. Dobbiamo dire con chiarezza che la svolta autoritaria di Rimini, compiuta nel 2016, ha ucciso le associazioni forensi generaliste, ma ha anche distrutto la possibilità di una rappresentanza politica autenticamente democratica. Dobbiamo avere il coraggio di ribellarci, di non sottostare ad una prospettazione della politica forense dominata dai padrini, in cui chi dissente dall’autorità illegittima ed arbitraria sia destinato all’ostracismo. Per far questo però, occorre farsene una ragione, serve combattere, pagare prezzi, accettare il rischio di restare sul campo.

 

 

E’ vero, questa sporca guerra la vogliono combattere in pochi. In fondo oggi il “tengo famiglia” è l’ideologia più potente, quella capace di mobilitare le masse ed è quella che i padrini dell’avvocatura hanno saputo diffondere tra i colleghi, riuscendo a formare una classe di perfetti ignavi, privi di spina dorsale. Si deve prendere atto che gli avvocati italiani sono silenti, pavidi, distanti da un’idea di libertà e progresso ottenuta mediante il riscatto dell’impegno politico e civile. Se avessimo avvocati diversi ci troveremmo in presenza di un’avvocatura migliore, questo va da sé, ma noi non possiamo rassegnarci. La nostra dignità di professionisti non può accontentarsi di vivere o di sopravvivere. L’accettazione supina di ciò che è non deve essere la giustificazione per non battersi perché le cose migliorino. La storia dell’uomo insegna che le cose possono essere cambiate, che i processi di inclusione democratica, seppure mediante scontro e fatica, possono affermarsi. La dittatura dei pochi, dei peggiori, dei mediocri, non è un destino ineluttabile, un accidente piovutoci per sbaglio sulle teste, una calamità naturale.

 

Le poche voci dissonanti rispetto al racconto di un’avvocatura istituzionale (parola che non significa nulla e che pertanto era inevitabilmente destinata ad avere enorme successo in seno ad una classe politicamente incolta), non possono e non devono continuare a pigolare. Non si può pensare di opporsi ad un assetto politico dominante, aiutato dalle istituzioni politiche, sostenuto da decine di milioni di euro all’anno, ramificato come una piovra all’interno dei meccanismi di cooptazione del consenso, se non si conduce una battaglia aspra, netta, priva di cedimenti. Tutto ciò in questi anni è sistematicamente mancato, non solo per carenza di qualità umane, ma soprattutto per inettitudine politica. La costruzione di un cartello unitario di associazioni democratiche può costituire una voce visibile, che ha in sé le risorse, umane, economiche e politiche, per raccontare all’Italia una storia scomoda, diversa da quella “ufficiale”.

 

La nostra versione, proprio come quella del mio adorato Barney, sarà impopolare, urticante, dura da digerire, ma presenterà ai cittadini italiani la verità sull’avvocatura di questi anni, su un Ordine Forense corrotto, autoritario, che deruba i propri iscritti, li sfrutta, sul piano economico e lavorativo, li vessa, favorendo, in combutta con la politica, una serie di norme che rendono difficile la sopravvivenza dei più deboli. E’ l’Ordine Forense il nostro vero e unico nemico. E’ la Cosa Nostra Forense che va abbattuta, se vogliamo la rinascita dell’avvocatura italiana. Corruzione, familismo, mediocrazia, gerontocrazia, sciatteria culturale e morale sono le cifre che hanno retto il potere di chi in questi lustri ha comandato gli avvocati italiani. A tutto ciò hanno fatto da contraltare la vigliaccheria, il silenzio, la paura, il tradimento, che hanno prosperato anche in quelle fasce di disagio che potevano dar luogo ad un’alternativa democratica di qualità. Se da questo magma, oggi confuso, disperso e sconfitto, non verrà fuori un’idea concreta, strutturata, ambiziosa, il nostro far politica forense sarà vano e di noi, all’interno della storiografia ufficiale dell’avvocatura italiana, resteranno pochissime tracce.

 

 

NAD si batte perché gli avvocati italiani liberi riacquistino il senso della propria indipendenza, riaffermino la volontà ad esercitare un ruolo politico nei processi di crescita democratica di una categoria consumata dall’autoritarismo e dalla brama di conservazione del potere. Sappiamo che questa guerra durerà ancora molti anni, ma noi siamo pronti a continuare a combatterla. Ci auguriamo che lo siate anche voi.

Avv. Salvatore Lucignano

 

 

 

 

 

 

 

 

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