Ormai gli allarmi sui mutamenti strutturali della società, sulle profonde inferenze che la tecnologia e l’invecchiamento avranno sulla società futura, sono all’ordine del giorno. NAD sta lavorando moltissimo per informare gli avvocati italiani su queste tematiche, che dovrebbero costituire il centro di un processo di rinnovamento della professione forense, capace di ragionare in termini concreti di come affrontare un futuro che è già alle porte e che impone ricette, in ambito lavorativo, previdenziale e rappresentativo, completamente diverse da quelle proposte dalle istituzioni forensi italiane in questi anni.
Karen Harris, managing director di Bain & Company, ha presentato qualche giorno fa un’analisi, l’ennesima, che apre scenari inquietanti sul futuro dell’economia e della società americana. Pubblicato il 7 febbraio 2018, il documento è attualmente disponibile online, al link riportato.
“Labor 2030: The Collision of Demographics, Automation, and Inequality.”
Lo studio, intitolato “Labor 2030: The Collision of Demographics, Automation, and Inequality.”, tende a dimostrare l’impatto distruttivo dell’automazione nell’ambito della perdita di posti di lavoro, ma spiega anche che l’invecchiamento della popolazione costituirà un altro fattore che contribuirà a cancellare interi pezzi di mercato, di consumatori, di produttori di beni e servizi che oggi contribuiscono alla produttività della società, così come noi la conosciamo.
Certo, lo studio non può essere assunto come parametro oggettivo di ciò che accadrà, perché i modelli usati per valutare lo sviluppo degli eventi risentono inevitabilmente dell’impostazione variabile e del punto di vista di chi sceglie i parametri di riferimento, ma è indubbio che alcuni fenomeni, già in atto e ben visibili, fin dalla fine degli anni 80, consentono di essere critici verso la direzione dei mutamenti di cui anche NAD si sta occupando.
La scomparsa dell’umano, sia in ambito produttivo che in veste di consumatore, è un elemento che non può passare inosservato. Allo stesso tempo NAD ha denunciato da tempo la scomparsa del reddito, l’impoverimento del lavoro, anche all’interno della classe forense italiana, come fenomeni sistemici, complessivi, che non possono più trovare adeguate spiegazioni, né idonee soluzioni, ragionando esclusivamente di comportamenti individuali.
Fino ad oggi i comandamenti del mondo globalizzato hanno trattato l’individuo come il dominus del proprio destino. Di fronte alla scomparsa del lavoro e del reddito da lavoro, due fenomeni devastanti per la tenuta sociale mondiale, la risposta delle classi dominanti è stata sempre quella rivolta al singolo, mirante a spingerlo a cercare diverse condizioni. L’individuo viene così invitato a migrare, a fare ciò che viene richiesto, a seguire la corrente, adattandosi ad essa. Non c’è dubbio che si tratta di un’impostazione eticamente condivisibile. La responsabilità individuale legata alle nostre condizioni di vita non può essere interamente demandata alla collettività. Ognuno ha il dovere, sia morale che funzionale, di ricercare condizioni di vita sostenibili, per sé e per la propria famiglia.
Che fare però quando interi ambienti, territori, collassano? Come sopperire a fenomeni di impoverimento di massa, che vanno a desertificare enormi aree geografiche, lasciando in loco enormi blocchi sociali che vanno verso la povertà e l’esclusione? A queste masse di individui si può rispondere che la soluzione è l’altrove? Non sembra che la politica possa assumere questo come elemento eticamente accettabile, a meno che non voglia considerare irrilevante la propria funzione di attività che abbia il compito di costruire benessere diffuso ed inclusione per tutti gli uomini di buona volontà.
Gli investimenti che l’economia mondiale farà per andare verso l’automazione non possono essere visti come libera ricerca del progresso. Se si dimentica che il fine ultimo dell’investimento è il profitto, dobbiamo accettare che la sostituzione di lavoro umano con lavoro umanoide, robotico, svolto da intelligenze artificiali, potrà sicuramente convenire a chi investe, a chi non dovrà pagare ferie, malattie, infortuni, ai suoi nuovi schiavi disumani, ma tutto ciò potrebbe avere una portata catastrofica per la vita di quelle figure professionali che verranno facilmente rimpiazzate dall’altro, dal diverso e dal diversamente efficiente.
NAD denuncia da tempo lo strozzamento generalizzato del lavoro.
Abbiamo lanciato allarmi inascoltati per quanto attiene alla scomparsa del reddito, alla concorrenza al ribasso, alla schiavitù del numero, che spinge all’assottigliamento del margine di utile legato alla prestazione, sia manuale che intellettuale. Il fine ultimo del lavoro è quello di offrire reddito e possibilità di vita al lavoratore. Se scompare il reddito emerge una delle figure più drammatiche viste nella società mondiale degli ultimi tempi: l’occupato povero, ovvero l’individuo che, pur lavorando, pur essendo occupato, non trae dalla sua fatica il reddito necessario a consentirgli di sentirsi incluso dallo sviluppo sociale.
Con la progressiva scomparsa del lavoro umano, questo processo si potrebbe acuire, generando disuguaglianze ancora più inaccettabili, provocando una crisi del rapporto tra la domanda e l’offerta di beni e servizi, che alla fine non potrà più essere superata facendo ricorso ad altri prodotti da vendere. Il rischio, tanto per essere chiari e brutali, è che non restino soldi per comprare niente e dunque che, prima o poi, non ci sia più niente da compare.
“Che ne sarà del mio cliente tra 10 anni?”
La domanda non è affatto scontata. Al contrario, affronta un aspetto importantissimo del rapporto tra costi e guadagni, globalmente intesi, all’interno della nostra società. Uno dei miti più devastanti per l’etica pubblica contemporanea è stato quello della concorrenza. “Se costa meno è meglio” è un mantra ossessivo, che abbiamo applicato in ogni ambito della nostra vita relazionale. La depressione dell’economia mondiale è stata in parte generata e sostenuta da questa visione tribale del concetto concorrenziale. La rincorsa al ribasso, al peggio, allo svilimento del valore dell’uomo, del lavoro, del prodotto, non può più essere accettata come fine ineluttabile dei processi di ottimizzazione dell’allocazione di valore. L’annullamento del valore connesso al lavoro si ripercuote sui consumi, sugli investimenti, ma ormai sta incidendo in modo profondissimo nel tessuto sociale mondiale, andando a creare barriere sempre più alte e invalicabili tra nuove forme di produzione di reddito e lavoro.
La speculazione, la rendita, l’irrazionalità connessa a remunerazioni che fanno riferimento a status e non a giustizia, né ad equa retribuzione dell’impegno dell’uomo, vengono giustificate dal sistema come frutto delle libere scelte del mercato. Si tratta di un falso grossolano, che tocca alla politica smascherare, per rimettere l’individuo e la società al centro dei processi economici.
E’ doloroso constatare come la miopia dei modelli cognitivi dominanti possa annebbiare anche le menti critiche più aperte al libero pensiero. Quando avremo azzerato i costi di tutto ciò che viene prodotto, quando ogni lavoratore sarà stato sostituito da una macchina più efficiente e meno costosa, quando ogni lavoro umano potrà essere svolto da un umanoide alimentato da fonti di energia rinnovabile, in grado di autoripararsi, di procedere autonomamente ai propri aggiornamenti, di sostituire totalmente persino l’opera dell’uomo necessaria a garantire un funzionamento che potrà dirsi praticamente illimitato, nel tempo e nello spazio, di cosa si occuperanno le centinaia di milioni di cittadini inoccupati?
La scomparsa dell’avvocatura di massa.
Queste domande hanno una strettissima correlazione con la morte dell’avvocatura di massa. Nel corso degli anni NAD ha sempre denunciato, coraggiosamente e spesso in posizione di totale isolamento, la propaganda interna all’avvocatura italiana, tesa a negare che il numero di avvocati presenti all’interno del paese sia in sé un elemento devastante per la sostenibilità della categoria.
Abbiamo informato i colleghi sui rischi, ormai diventati realtà concrete ed attuali, legati al progressivo aumento del numero di avvocati in Italia, spiegando che i fenomeni legati all’ingresso delle macchine pensanti nel mondo delle prestazioni forensi avrebbe generato ulteriori spinte al ribasso, sia sul reddito dell’avvocato umano, sia sulla possibilità di operatività dei giovani avvocati contemporanei.
Nuova Avvocatura Democratica n° 14 : Avvocatura di massa e Robot
Con i nostri video, i nostri tanti articoli legati al tema del valore del lavoro dell’avvocato umano, abbiamo sfidato i benpensanti, informato su ciò che sta accadendo, provato a parlare il difficile e spietato linguaggio della verità.
Lo faremo ancora, perché un avvocato deve sempre avere il coraggio di assumere posizioni scomode, quando servono a portare verità e giustizia nella società.
Avv. Salvatore Lucignano